In una serata unica di “teatro-documento” a Roma, Pino Strabioli ha incontrato Andrea Baldenstein per parlare del suo libro autobiografico in cui narra del difficile percorso di transizione e il cambio d’identità da donna a uomo.

 

Andrea Baldestein è un uomo di cinquantotto anni, non molto alto di statura, e come la maggior parte di noi uomini trans FtoM della vecchia guardia è mite, sereno. Per il titolo del suo libro però è stato fermo, deciso e chiaro, così da non avere dubbi: Non sono una donna! (ed. EMI 4book), perché lui donna non si è mai sentito. “Quando la mattina mi svegliavo, mi coprivo con le lenzuola, spostavo il pigiamino e guardavo verso il pube, per vedere se ero diventato un bambino.”

Il suo scritto è diventato il filo rosso di una serata speciale con il regista teatrale, attore e conduttore televisivo Pino Strabioli a dialogare con lui su un palco. Un evento scenico che Silvano Spada, il direttore artistico dell’Off Off Theatre di Roma, ha voluto organizzare il 13 maggio scorso.

L’inadeguatezza di Francesca (così si chiamava Andrea) e la sofferenza per la mancanza di un pene è una costante in molte parti del testo, scritto con un linguaggio semplice e comprensibile, che racconta gli scontri, le frustrazioni, le delusioni limitandosi a descrivere i fatti.

Ogni episodio è scandito dalla tristezza e dall’amarezza di non essere nata nel corpo che desiderava, soprattutto quando il suo cuore iniziò a provare i primi sussulti d’amore. La forza interiore la spinse allora a inseguire a ogni costo la via della felicità e la possibilità di realizzare il sogno che custodiva nel cuore fin da quando era piccola.

Francesca, infatti, non vuole continuare a vivere nell’inquietudine. Non vuole sempre sentirsi derisa e umiliata. Nonostante gli accadimenti e le difficoltà, cerca sempre di tirar fuori il suo coraggio. E il coraggio, sorretto da un amore improvviso e inaspettato, la condurrà a fare scelte importanti.

Quest’opera è molto “fisica”, con nessuna digressione interiore. È poco intimista e fa di un corpo sbagliato il movente di ogni azione. Il suo percorso di transizione dal genere femminile a quello maschile ha un excursus identico a quello della maggior parte dei ragazzi FtoM. Sono vicende che, fossero raccontate da altri cento ragazzi transessuali, ripeterebbero all’infinito le stesse cose con le stesse parole.

È un libro che ci voleva, adatto soprattutto a lettori completamente estranei alla tematica transgender, perché ci accompagna a fare un primo timido passo verso la neonata bimba transessuale che spende mezzo secolo della sua vita per arrivare a essere un uomo.

È un libro gentile che si fa leggere senza disturbarci troppo, ma devo dire che lo spettacolo non mi ha emozionato molto perché ne condividevo il vissuto. Se io fossi stato completamente estraneo ai fatti però ne sarei uscito profondamente turbato. Bravo, infatti, Andrea nell’affrontare il tema del bullismo subìto in prima persona, e della violenza subìta in casa da un padre despota che alla fine si redime.

Incontro Andrea alla fine dello spettacolo. Ha gli occhi colmi di gioia per l’affetto che il pubblico gli sta dimostrando. La felicità, questo è ciò che infine conta. Sgualcito da mille abbracci lo intervisto, ma prima pongo alcune domande a Pino Strabioli.

Come si è avvicinato a questo mondo? Cosa ne sapeva prima e cosa ha imparato stasera?

La mia presenza qui è dovuta a Silvano Spada che è il direttore del teatro Off Off e mi ha chiesto di accompagnare Andrea in questa sua confessione, in questa serata di narrazione, di racconto. L’ho fatto molto volentieri perché mai come ora, in un momento storico così buio, così orrendo, dove veniamo giudicati per qualsiasi differenza, credo sia importantissimo con naturalezza, semplicità e verità raccontare certi percorsi dolorosi, complicati come quello di un passaggio, appunto, da femmina a maschio e quindi ho detto subito di sì.

È stato emozionante stare sul palco insieme ad Andrea che era la prima volta che ci andava su un palco. Era terrorizzato e quindi ho giocato con lui, mi sono emozionato e ho ascoltato la sua storia. Ho molti amici che da uomini sono diventati donne, di quello sappiamo un po’ di più, ma era la prima volta che mi avvicinavo a una donna che invece nasce con la consapevolezza di essere un maschio e vive cinquant’anni della propria vita verso quell’obiettivo, determinata a diventare un uomo, ad avere un pene e a considerarsi eterosessuale pur essendo in un corpo di donna.

Su questo si potrebbe discutere molto ma secondo me dobbiamo accettare la psiche di ognuno di noi, ed è legittimo che Andrea, che nasce come Francesca, si è sentito maschio, ha vissuto da maschio e adesso finalmente è un maschio.

Quello che traspare è un messaggio di felicità, di positività, di amore e io credo questa sia la strada giusta…

Appunto, è quello che dicevo prima. In un momento in cui tutto viene condizionato e giudicato, è importante raccontare con levità, con gioia, dei percorsi assolutamente difficili come subire delle operazioni invasive, subire il bullismo da ragazzina, passare per dei dolori…

E siccome purtroppo oggi questa società, e specialmente questa politica, continua a riproporcelo, quasi a tirarcelo in faccia l’odio verso l’altro, verso il diverso, verso chi ha un colore diverso dalla nostra pelle, verso chi ha diversi gusti sessuali, queste non sono banalità ma secondo me vanno ricordate.

La cosa bella di Andrea è questo percorso alla felicità, questo perdono che in fondo lui fa con grazia anche verso chi l’ha deriso e umiliato, e lui stesso dice: “Questa sera per me deve essere una festa, io sono qui per raccontare la mia felicità.” Andrea l’ha raggiunta e noi abbiamo vissuto con lui questa gioia.

Io credo che quando si viene chiamati per partecipare a iniziative come questa sia un dovere esserci soprattutto oggi, in questo momento storico dove ci stanno tirando per i capelli per riportarci al medioevo, e queste cose andrebbero sempre fatte in spazi protetti, come può essere un teatro.

Esistono dei miei colleghi, io faccio televisione, che rendono circense tutto, per cui questo stesso esperimento potrebbe essere manipolato se portato sul piccolo schermo, in alcuni programmi orrendi dove il messaggio può essere capovolto e questo va assolutamente tutelato. Dobbiamo tutelarci dalla spettacolarizzazione e dal pietismo.

Io presentando l’ho detto: “Noi stasera siamo qui per ascoltare, per capire. Fuori di qui c’è qualcuno che prova disgusto, che prova pena, che prova ribrezzo per cui noi dobbiamo combattere chi prova il ribrezzo, dobbiamo difendere invece chi ha questa urgenza di raccontare la propria storia, ma va tutelata, non va messa in mano a chi, mi riferisco a molti miei colleghi televisivi, fa dell’essere umano carne da macello e questo non mi piace.”

Andrea, mettere in piazza il proprio vissuto più intimo è senz’altro un’azione coraggiosa. In termini di catarsi personale quanto ti è servito scrivere e raccontare queste cose così intime?

Io ho iniziato a scrivere un diario per me. Poi mi resi conto che alla fine era un modo anche per aiutare altre persone che magari stavano facendo il percorso che avevo iniziato a fare io, ma non solo quello. La sofferenza che uno ha ancor prima di fare tutto il percorso, il SAIFIP (Servizio di Adeguamento tra Identità Fisica e Identità Psichica, N.d.R.), il testosterone e quindi… era più su di me sì, ma diciamo anche che era a 360 gradi. Questo libro l’ho scritto per incoraggiare chi ha bisogno, ma anche per incoraggiare l’essere umano inteso come essere umano a realizzare i propri sogni, qualunque esso sia il sogno, cioè fare l’infermiere, il medico, il pittore…

Anche quello così assurdo da voler diventare un uomo! 

Certo, certo… Perché tu non puoi arrivare a ottant’anni, se uno ci arriva, girarsi indietro e dire: “Cazzarola, non ho fatto quello che volevo fare”. Guarda tu, magari per pregiudizio o per la paura o per qualsiasi cosa, no? Quindi ti chiudi in te stesso.

Senti Andrea, noi, e dico noi perché tu sai benissimo che io ho fatto il tuo stesso percorso e tra l’altro siamo coetanei, abbiamo la possibilità di vivere una seconda vita. Che cosa ci portiamo dietro del nostro vissuto precedente e che cosa invece vogliamo dimenticare?

Mah! Guarda, dimenticare le sofferenze. Uno deve dimenticarle anche se non è facile, no? Bisogna però portarle dietro comunque.

Sicuramente si è uomini ma con una forte sensibilità, quindi sicuramente una cosa in più rispetto all’essere Maschio proprio. Perché il nostro soffrire, il nostro stare male, il nostro comunque prendere botte, anche insomma parlare con la famiglia, essere additato dagli amici ci ha fatto soffrire. Ma è un bagaglio proprio nostro personale che, una volta che diventi uomo, non può fare altro che avere quel valore aggiunto, quella dolcezza e sensibilità che un uomo/maschio difficilmente ha.

Il disagio ci obbliga a fare molte rinunce. Quando iniziamo a percepire questo disagio, specialmente da adolescenti, facciamo tantissime rinunce. Tu hai lasciato il liceo Artistico, io quello Scientifico. Avremmo potuto eccellere in qualche sport per esempio, chissà? Queste rinunce pesano e uno cerca poi di conquistarle tutte assieme quando finalmente riesce a essere un uomo e a salire su un palco per raccontare la propria storia senza timore. Tu sei riuscito a recuperare il peso di qualche rinuncia fatta? Quale rinuncia ti è costata di più?

Sì, ho recuperato tantissime cose. Adesso io parlo con i miei cinquantotto anni, quindi con l’esperienza di una vita trascorsa da donna e adesso come uomo. Le rinunce che mi sono costate di più sicuramente sono non essere andato all’università, avrei voluto fare il medico… E poi amavo lo sport ma a livello maschile. Mi sarebbe piaciuto giocare a tennis però non mi andava di mettere la gonnellina, oppure il nuoto ma t’immagini?! Certo delle rinunce ci sono state, però purtroppo fanno parte della vita. La cosa importante è che poi alla fine uno insegua comunque i propri sogni appena ci può riuscire e ci arrivi.

Che cosa ha voluto dire sapere che potevi finalmente, come dici tu, diventare un uomo?

Guarda, questo è un sogno come già dicevo… All’età di sei anni, dai sei anni fino ai quindici anni, io mi vedevo brizzolato, uomo adulto, un po’ di barbetta e addirittura scrittore tipo Hemingway, sai. Mi vedevo sul mare, sognante. Io ho sempre amato scrivere, ma essendo bambina che scrivevo? Poi i tempi erano quelli che erano: già eri additato come gay, figurati se gli dicevi: “Guarda, io non mi sento donna ma mi sento uomo”. Ti rinchiudevano in manicomio, perché i gay allora erano addirittura additati come malati, quindi figurati se uno poteva dire una cosa del genere.

Nel tuo libro si percepisce continuamente la sofferenza per un corpo sbagliato, come se fosse soltanto colpa del corpo se tutto quello che ti circonda va in un’altra direzione. Non credi che dare tutta questa importanza al corpo sbagliato entri in contraddizione con l’essere capace di vivere un rapporto fisico con una donna come quello che tu hai raccontato nell’episodio della cabina al mare? Tu dici: “Non era un rapporto tra due corpi, era un rapporto d’amore tra due anime”. Quindi lì non viene a cadere questo discorso del corpo sbagliato, questa importanza che dai al corpo?

No, non è quello. Sai che cos’è? È che comunque poi nei rapporti, almeno io, così mi succedeva, mi vergognavo a spogliarmi. Magari rimanevo con le mutandine, mi sentivo proprio a disagio. Perché era così da sempre. Io da bambina mi ricordo a tre o quattro anni dicevo: “Ma perché mio fratello c’ha il pipino e io ce devo avè n’antra cosa? Com’è ‘sta storia?”

Diciamo che la differenza che va marcata è quella tra orientamento sessuale e identità di genere. Quindi se una lesbica può essere fiera del proprio corpo e viverlo senza problemi per noi questo diventa impossibile.

Scusami ma se uno come te o come me ha voluto intraprendere questo percorso, evidentemente è perché non si sentiva a proprio agio con il corpo, altrimenti rimanevamo donna e cade tutto il discorso. È normale che se uno fa questo tipo di trasformazione è perché si sente a disagio col proprio corpo. Lo stesso fatto che la voce cambia, la barba, i peli sul corpo, il fisico cambia. Ti piaci di più, ti riconosci, altrimenti uno rimaneva o gay o lesbica.

Per me è una questione un po’ diversa, nel senso che l’orientamento sessuale prescinde dal proprio sentirsi. Si può essere transessuali e contemporaneamente gay.

Sì, sì, io ho un amico che ha fatto il mio stesso percorso e va con gli uomini, però ha dovuto adeguare il proprio corpo perché non si sentiva a proprio agio. È come se io ti metto un vestito stretto, strano e tu mi dici: “Scusa ma che m’hai messo addosso? Io questo vestito non lo voglio, io voglio quello. Con quello mi sento bene, anche se poi devo fare le stesse cose, però sto bene con quel vestito.”

Un’ultima domanda che tocca un tema controverso. Cosa pensi della triptorelina, cioè di questo ormone che blocca la pubertà negli adolescenti che manifestano incertezza nell’accettare il proprio genere?

Bella domanda questa! Ci sono i pro e i contro, magari un/a bambino/a in quel momento si sente così, poi passa quell’attimo. È meglio che scelga lui/lei. Come nella religione, decido di essere ateo, buddhista ecc. Un conto è che ci arrivi a diciotto o vent’anni, che è pure ancora presto secondo me, perché è un percorso che poi alla fine non è che torni più indietro.

Se e quando finisce il percorso di transizione secondo te, Andrea? Quando dici: “Ah! Sono arrivato!”?

Io penso che c’è sempre da andare avanti, è una sfida con se stessi. Sono diventato uomo ma questo non vuol dire niente. C’è un cammino interiore da continuare.