Dopo due David di Donatello conquistati al cinema, Giuliana De Sio viene premiata Queen of Comedy dal Festival Mix di cinema gay lesbico e queer culture di Milano. Tema della nostra conversazione la sua lunga carriera, il legame con la comunità gay stabilito attraverso i suoi personaggi estremi e mai convenzionali, le istanze femministe e il ritorno sulla scena.

 

È uno dei volti più carismatici del nostro cinema: impossibile non ricordarla in Io, Chiara e lo scuro, Cattiva o Speriamo che sia femmina, ma assai amata anche dal pubblico della televisione grazie alle fiction come Il bello delle donne e Caterina e le sue figlie.

Giuliana De Sio alterna il lavoro per il grande e piccolo schermo all’impegno in teatro: dopo il successo decennale di Notturno di donna con ospiti, è tornata sul palcoscenico con Le signorine, testo di Gianni Clementi per la regia di Pierpaolo Sepe (al teatro Franco Parenti di Milano dal 23 ottobre al 3 novembre prossimo e poi in tournée sino a marzo).

Sempre sensibile alle istanze delle donne, Giuliana ha preso posizione accanto a Emma Bonino nella battaglia per la legalizzazione dell’inseminazione artificiale. Dopo qualche anno la ritroviamo in splendida forma a Milano dove il Festival Mix l’ha premiata come Queen of Comedy 2019, e al teatro Strehler le chiediamo di raccontarci della sua vita e della sua carriera con la schiettezza che da sempre la contraddistingue.

Cosa pensi sia stato riconosciuto del tuo lato professionale e umano con questo premio?

Di premi in una carriera di 40 anni ne ho ricevuti tanti, alcuni istituzionali e altri che non servono a niente. Questo viene da una comunità a cui appartengo e che mi ha visto spesso come un punto di riferimento dagli anni Ottanta. Lo so da quanto mi dicono e scrivono, ma a mia volta vorrei chiedere alla comunità LGBT il perché. Se devo darmi una risposta è forse perché questi spettatori amano i personaggi femminili estremi e so anche dove tutto è cominciato. Parlo del personaggio di Annalisa Bottelli nella fiction Il bello delle donne, che già era una produzione di stampo gay. Una vera stronza, mignotta e disonesta però a me piaceva e ho spinto per caratterizzarlo al massimo con una leggerezza che faceva ridere me e evidentemente anche gli altri. Avevo delle battute tremende: dovevo per esempio usare la parola “invertito” che non sentivo dagli anni Sessanta. Pensavo “adesso mi rovino…” e invece… Il pubblico è forse stanco di vederci solo come madonne.

Annalisa è un personaggio politicamente scorretto ma ce ne sono stati altri negativi, anche crudeli e cattivi…

Crudeli però sempre sofferenti. Magari ne avessi fatti di più! Non dimenticare che sono stata anche Emanuela Setti Carraro, la crocerossina e giovane moglie del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, uccisa con lui a Palermo dalla mafia. A teatro ho interpretato per 10 anni Adriana, protagonista di Notturno di donna con ospiti di Annibale Ruccello: una donna-bambina, ingenua e ignorante, una vittima designata che non ha nulla di volitivo. Ho quindi una gamma di personaggi da difendere, ma so che i preferiti dalla comunità gay – e non solo – sono quelli forti e anche io li preferisco. Se la mia carriera l’avessi fatta in un altro paese, penso sarebbe stata simile a quella di Isabelle Huppert, che ha interpretato assassine, ninfomani e masochiste però si è divertita, ha vinto premi e si è guadagnata la stima di tutto il mondo del cinema. In Italia non amano pescare nella follia, nella corda pazza: l’eccezione per me è stata quella di Cattiva, il film diretto da Carlo Lizzani a cui sono molto legata.

Nel tuo percorso analitico ti sei posta la domanda del perché un tal personaggio è stato reso da te in maniera così egregia?

Nell’analisi che è durata decenni non ho mai affrontato né il tema del mio percorso artistico né quello del processo interpretativo: non sentivo il bisogno di portarli in quel contesto. Io lì sono sana, so perfettamente cosa vado a fare, sono sempre insoddisfatta essendo una perfezionista, invece nella vita mi ritrovo caotica, litigo con gli oggetti, sono priva di senso pratico, per esempio non ho idea di quanto costa un chilo di zucchero…

Sei da poco tornata in teatro. Ricordo un nostro incontro nel 1992 in occasione di Crimini del cuore, la pièce americana con la regia di Nanni Loy. Com’è cambiata dentro la Giuliana di allora rispetto a quella di oggi?

Penso di non essere cambiata da quando avevo 18 anni, semmai lo sono professionalmente. Più forte e coraggiosa, in scena soprattutto. È il teatro che ti dà la prova del cambiamento. Davanti alla macchina da presa, che è il mio vero amore, ho sempre dei complessi. Sul palcoscenico mi sento libera mente al cinema, per il quale ho un carisma, una faccia, non mi sento sicura, non ho mai un buon rapporto con la mia immagine. Quando mi rivedo divento la peggior nemica di me stessa, non mi piaccio perché mi sembra di aver fatto troppo o troppo poco, come se non avessi trovato la misura giusta. Che poi non è vero, perché in Cattiva, per esempio, la misura l’avevo trovata. A teatro non ti rivedi ma lasci al pubblico il giudizio.

In Crimini dl cuore eravate, insieme a Elisabetta Pozzi e Pamela Villoresi, tre brave e celebri attrici. I rumours dicevano di una certa atmosfera “effervescente” tra voi: ti trovi più a tuo agio accanto a colleghi maschi?

Il problema allora era un elemento tra noi che soffriva di competizione, un virus che non mi ha mai toccato. Non perché non mi senta sicura ma perché se un/una collega è più bravo di me ed esercita un impatto sul pubblico anche nei momenti in cui non sono in scena, io ne sono orgogliosa e felice per la riuscita dello spettacolo. Nel mio percorso artistico ho visto persone che questa cosa invece la vivono malissimo. Mi trovo a mio agio e ho affiatamento con chi ha talento, con chi entra e prende lo spettatore per la giugulare e non lo lascia più. Succede con Isa Danieli, la mia partner nelle Signorine: dal momento in cui appare mette le carte in tavola, con quella voce bassa, roca e incazzata e con quella fisicità che ipnotizza il pubblico stabilisce subito chi è la protagonista.

Chi siete nella pièce?

Siamo due anziane zitelle, una (Isa) molto più vecchia dell’altra, claudicanti nel corpo e nell’anima. La maggiore si è chiusa nel suo mondo autistico fatto di nemici ed è avara in modo patologico: arriva al punto di non accendere la luce o il riscaldamento, costringendo l’altra a vivere come una bambina che ascolta di nascosto la musica alla radio. È un rapporto tragicomico che però alla fine si capovolge: un ictus lascia la prima paralizzata e succuba della sorella minore che la deve accudire.

Tornando a come vengono raccontate le donne sullo schermo, penso al film di Max Croci La verità, vi spiego, sull’amore in cui interpreti Roberta, una nonna decisamente non convenzionale…

Anche quello è piaciuto molto ai gay. La donna è raccontata dai media, dalla letteratura e dai giornali in una maniera che non è, lontana dai dati di realtà, quindi dobbiamo pensare noi a raccontarci. Roberta è una signora matura che rivendica il diritto all’erotismo, al divertimento e all’amore, rompendo lo schema che la vorrebbe alle prese con i nipoti e la beneficenza.

Oltre all’impegno con il teatro nella prossima stagione, hai altri progetti nel cassetto?

Vorrei tornare a fare la televisione, ma la TV dovrebbe tornare a essere qualcosa di vicino alla vita vera e non a quella edulcorata delle serie buoniste.