Quanto il nostro corpo e le sue posture sono costruite dallo sguardo di genere su di noi? L’arte e la cultura legata al mondo dei drag king sfuma i contorni di quanto pertiene alla fragrante percezione di sé, e scompiglia quanto è esecuzione di una partitura di genere.

 

Vincolare la percezione che abbiamo di noi a un’identità di genere specifica diventa una gabbia che impedisce di percepirsi realmente e quindi di percepire l’altro. Cosa si intende però quando si parla di genere? Una realtà corporea o una costruzione culturale e linguistica?

Quello che da molti è chiamato “genere biologico” spesso si sovrappone al “ruolo di genere”, funzionale alla società patriarcale, ma ostacolo oggi a relazioni autentiche e felici. Forse tutto ciò appare più chiaro se parliamo di stereotipi occidentali vigenti nella cultura tradizionale su chi o cosa “è un uomo” e su chi o cosa “è una donna”.

Il laboratorio esperienziale che si è svolto a Roma il 23 e 24 febbraio 2019 dal titolo “Attraversare il maschile” è partito dall’assunto che un corpo, qualsiasi ne sia l’attribuzione di genere, può abitare il maschile che, come dice Judith Butler, filosofa post-strutturalista statunitense che si occupa di femminismo e teoria queer, è una copia senza originale, a significare che il maschio che emerge alla fine del laboratorio non è meno “vero” del maschio riconosciuto dalle nostre carte d’identità anagrafiche.

La tradizione da cui proviene questa pratica è il “drag”, nato come performance di cabaret en travesti, ma è in particolare il drag kinging che dagli anni ’90 negli Stati Uniti ha trasformato le tecniche delle male impersonator (donne che si travestono da uomo) in rivendicazione politica contro il binarismo dei generi, per far emergere la realtà più autentica di un continuum tra poli opposti (maschile e femminile), che i corpi possono abitare partendo dalle proprie più genuine percezioni.

Senza pretesa di esaustività cito tra i primi drag king Diane Torr, Dred e Bridge Markland, protagonisti del documentario Venus Boyz di Gabrielle Baur, e Judith/Jack Halberrstam che scrive negli anni novanta Female Masculinity, fino ad arrivare a tempi più prossimi con Paul B. Preciado, filosof* e performer.

In Italia nel 2014 è stato pubblicato dalle edizioni ETS il libro Il re nudo. Per un archivio drag king a cura di Michela Baldo, Rachele Borghi e Olivia Fiorilli, un’opera significativa sul kinging nella quale si trovano foto e testimonianze della maggior parte dei king Italiani. Nel 2015 Cecilia Grasso realizza Al di là dello specchio, un film documentario sul laboratorio oggetto di quest’articolo.

Personalmente pratico da anni nella vita e sul palcoscenico il kinging. Ho ideato e organizzato fino al 2015 con gli Eyes Wild Drag, gruppo storico gender drag italiano di cui ero parte, il festival Internazionale di arte e contaminazione queer “Genderotica”, avendo sempre nel cuore la voglia di collocare il fenomeno del transgenderismo in un quadro di vitalità e non di patologia, e di promuovere soprattutto le pratiche corporee volte alla liberazione delle nostre energie erotiche/vitali.

Dopo oltre dieci anni di conduzione di laboratori di attraversamento di genere mi sono chiest* se il senso di questi andasse oltre le istanze di riappropriazione di uno spazio comunitario per chi non si riconosce in uno dei due generi maschile o femminile. È stato l’incontro con l’associazione Labirinti, e in particolare con Daria di Bernardo, a darmi la possibilità di trovare risposte portando questa pratica anche fuori dal circuito squisitamente queer.

Lavorando insieme e confrontandoci negli ultimi quattro anni con tant*, abbiamo capito quanto sia fondamentale per chi, che sia uomo o donna, è cresciuto in famiglie e/o contesti sociali più o meno marcatamente patriarcali, abitare lo stereotipo del genere maschile: quello egemonico, quello occupatore di spazio, individualista e narcisista.

È un atto che fa conquistare uno sguardo nuovo su di sé, non a partire da valutazioni razionali ma dalla posizione di forza di un’esperienza del nostro corpo: è il corpo, con le sue posture virili e conseguenti emozioni, il protagonista che troverà un nuovo spazio di espressione per guardarsi/ascoltarsi/percepirsi ed entrare in relazione con l’Altro.

È un’esperienza che comincia con regole semplici e che, arricchita dall’apporto del vissuto e della sensibilità di ogni partecipante, diventa un viaggio mai scontato nella rappresentazione di sé e della propria identità.

Nel laboratorio si costruisce maieuticamente il nostro corpo/abito, indossando un nuovo sguardo sul reale. Ciò che infine prende vita non è uno scimmiottamento del maschile sociale ma il corpo di un maschile personale e peculiare che emerge dai propri modelli di riferimento, immaginari erotici,
background antropologici.

Ultimo passaggio proposto è un’uscita in king nello spazio pubblico: una consapevole performance di genere in cui poter sperimentare l’invisibilità del neutro maschile e abitare come fosse un luogo la “con-fusione” tra osservator* e osservat*.

Chi fosse interessat* ad avere maggiori informazioni può contattare: biancodragking@gmail.com