Autore del libro Camminavo rasente i muri (autobiografia tascabile di un transessuale), Massimo D’Aquino ci regala un’emozionante lettera aperta, perché “non si smette mai d’essere attivisti, neppure in pantofole e il solo scriverne mi riempie il petto di fuoco”.

 

È una vita alquanto insolita quella di una persona transessuale, perlomeno lo è stata la mia. Soltanto ora, alla soglia dei sessant’anni, ho l’opportunità e la capacità di comprendere il complesso disegno che mi ha portato a essere l’uomo transessuale che sono.

Innanzitutto iniziamo con il dire che già solo la parola “transessuale” è stato per me uno scoglio durissimo da accettare, una volta appurato d’esser tale. La mia condizione nulla aveva a che fare col sesso, perché quindi darle una connotazione significante altro da me? O meglio: quello che avevo tra le mutande non mi apparteneva e mai avrei potuto mostrarmi nudo, di conseguenza il sesso, inteso come piacere, era avulso dalla mia vita. Io, nella parola transessuale non mi ci riconoscevo e già solo pronunciarla mi procurava imbarazzo.

Oggi mi definisco con fierezza “un uomo transessuale” (me lo sono pure tatuato addosso) ma come ci sono arrivato?
 La prima cosa da fare è dare una collocazione e una connotazione storica agli eventi: siamo nei primi anni settanta in un piccolissimo paese della provincia lombarda quando scopro che posso diventare un uomo anche fisicamente e quello diventa il mio pensiero fisso.

Imitare i gesti e i comportamenti degli uomini che mi passano davanti è la prima strategia che adotto, l’unica attuabile a quattordici anni.
 Volgo indietro lo sguardo e vedo un ragazzino tenero che si atteggia a fare l’uomo, raccogliendo per strada un profluvio di stereotipi maschi per farli propri.
 Ancora acerbo e indefinibile, ogni volta che “passavo” da maschio era un’effimera conquista che si dissolveva con la scoperta della loro verità su di me.
  Senza mai espormi troppo per il terrore d’esser scoperto, eccola la mia vita insolita. Nessun ballo in discoteca o tuffo in piscina, poche intime amiche e intimi amici cui raccontare la mia storia misteriosa, fantastica e molto, molto fantasiosa e chieder loro di chiamarmi Massimo.

Di quel periodo ricordo la continua voglia di far esplodere la mia giovinezza, la vergogna di farlo e la rabbia come fossi in gabbia. Soffocavo ogni alito di femminilità che potesse trasparire dal mio corpo e sempre per la paura d’esser scoperto, non sono mai scappato da una provincia che allo stesso tempo mi opprimeva e mi proteggeva. Mi conoscevano tutti quindi non potevano farmi del male: ero la donna-uomo.

E intanto la mia vita insolita continuava. Era come se qualcosa o qualcuno mi spianasse la strada purché, a qualsiasi costo, io raggiungessi il mio scopo: essere un uomo a tutti gli effetti!
 Un uomo con una donna accanto, un buon lavoro, una casa di proprietà, la spesa al sabato e a lavar la macchina la domenica per poi andare a pranzo dai suoceri; due gatti, le cene con gli amici, le vacanze a Capri; un pene. Punto.

Un mondo costruito passo a passo, mattone dopo mattone, con una disperata, infinita e inaspettata forza di volontà, a dispetto di tutte le brutture che questa mia vita insolita mi riservava.
 Finalmente! Direte voi che avete avuto la briga di leggere fin qui. Non così per me.

Il muro che m’ero costruito tutt’attorno mi stava uccidendo, più andavo avanti con quella vita, più l’aria mi mancava. Io non ero l’uomo che, dal di fuori, osservavo sorridere e dire con forza: “Sono felice!”. Mi annientavano le menzogne che ero costretto a raccontare su di me, sul mio passato. Mi logorava essere riconosciuto, ancora una volta, per quello che non ero e dopo così tanta fatica per esserci arrivato.

Ciò che ha trasformato la vergogna in fierezza è stata la presa di coscienza, la piena consapevolezza che non ero io a essere sbagliato, era sbagliato quello che la gente si aspettava io fossi. Era sbagliato averli assecondati ed essermi uniformato a loro, mentendo su di me. Io dovevo far parte di questo mondo e far conoscere la mia storia per aiutare chi, nella mia stessa condizione, soffriva. Non potevo più nascondermi, tanto meno a me stesso.

Una serie infinita di “coincidenze”, potrei scriverne per giorni, mi hanno portato per mano, scelta dopo scelta a oggi, libero da quel muro. Proprio come la storia, incredibile, che mi fece arrivare a Crisalide Azione Trans, dalla provincia soffocante alla metropoli. Da lì cominciò la demolizione di quel muro spesso e pesante che mi toglieva vita quotidianamente.

Grazie a Crisalide e a tutte le persone che ne fecero parte con me, trasformai la vergogna in fierezza, l’umiliazione in lotta e la paura in coraggio.
La cosa buffa è che non si smette mai d’essere “attivisti”, neppure in pantofole e il solo scriverne mi riempie il petto di fuoco.

Essere amati pur mostrando d’essere differenti dalla norma, con tutte le fragilità che una vita insolita può averci riservato è un grande premio. L’amore è il premio più grande che la passione per la vita meriti.

Orbene, da questo mio umilissimo “pulpito”mi permetto di darvi qualche consiglio: non fingete mai d’essere qualcosa che non sentite d’essere; non permettete a nessuno di costringervi in una vita che non vi fa stare bene, ma fatelo sempre con gentilezza. “Se parlerete sottovoce, saranno costretti a tacere per potervi ascoltare”.