L’omaggio alla famosa canzone di Björk Venus as a Boy, dal suo primo album solista, è il titolo evocativo di un cortometraggio queer che racconta tre vite che s’intersecano tra loro, e in cui Michele è l’oggetto del desiderio sia di Emanuele che di Ornella. Un triangolo fragile destinato fatalmente a spezzarsi.

 

In soli quindici minuti Venere è un ragazzo del giovane autore, attore e regista pugliese Giuseppe Sciarra riesce a dare spunti di riflessione a molteplici questioni riguardanti il genere, l’orientamento sessuale, la dipendenza affettiva, l’alcolismo, l’ossessione per la chirurgia estetica e la dipendenza dalla droga.

Michele veste i panni di un crossdresser che si prostituisce e contribuisce così anche al mantenimento della propria famiglia. Ha un rapporto conflittuale con una madre dedita all’alcool, alla quale cerca di riavvicinarsi ricordando teneri momenti della sua infanzia, e vive una complicatissima relazione sentimentale con Ornella, una donna ossessionata dalla chirurgia plastica ed estetica.

Michele diventa altresì l’oggetto del desiderio di Emanuele, amico e compagno di palestra. Emanuele vive l’attrazione come una scoperta che lo catapulta in un mondo che non conosceva e lo getta in una situazione d’incertezza e di confusione totale. Non trovando il coraggio, se non con l’immaginazione, di confessare a Michele il proprio sentimento, tra loro sussiste solo un eloquente scambio di sguardi. In questo intricato gioco di relazioni, Ornella è ossessionata dalla paura di perdere la giovinezza e con essa il potere che detiene su Michele.

Su tutto questo domina la colonna sonora del gruppo musicale baroque-pop britannico The Irrepressibles, dove la struggente voce di Jamie McDermott nel brano Two man in love riesce a completare in modo esaustivo ciò che le parole non dicono (ma vi suggeriamo anche di ascoltare la strappalacrime In this Shirt  di cui abbiamo scelto l’ultra-estetico videoclip tratto dal film ‘The Forgotten Circus” della regista Shelly Love, N.d.R.).

Abbiamo intervistato i produttori Andrea Natale e Stefano Tammaro di Cinetika, il regista Giuseppe Sciarra e gli attori protagonisti Davide Crispino, Tiziano Mariani e Maria Tona.

Andrea e Stefano parlateci della vostra casa di produzione, cosa avete in programma e perché?

Siamo una giovanissima casa di produzione nata da meno di un anno. Abbiamo in programma diversi documentari, che sono il settore che ci interessa di più al momento, e anche cortometraggi tra cui Venere è un ragazzo che abbiamo presentato in anteprima stampa italiana a Roma lo scorso dicembre, ma c’era già stata un’anteprima ad agosto a Bruxelles in occasione del “Fusion International Film Festivals – West Europe”.

A noi interessa raccontare storie particolari, diverse, che per esempio possono andare dall’emigrazione australiana a un calciatore che pur affrontando una malattia è riuscito a realizzarsi lo stesso nonostante le difficoltà. Ci interessano storie speciali che poi in realtà sono le storie di tutti i giorni che spesso non vengono raccontate o che non sempre ottengono la visibilità che meritano.

Cosa vi ha spinto a realizzare Venere è un ragazzo?

La storia. Giuseppe Sciarra è un regista molto creativo, impulsivo, una persona che ti travolge quando inizia a raccontare. La sua storia, il suo trasporto nell’esporla, il suo bisogno ci hanno coinvolto, e quindi abbiamo deciso di approfondirla anche noi. È una storia vera e anche questo ci ha spinto a sceglierla.

Qual è stato il personaggio che più vi ha affascinato leggendo il copione?

Quello di Ornella pur se è leggermente marginale rispetto ai protagonisti maschili. Una donna che nonostante tutto nutre un amore malato nei confronti di Michele, un amore triste che nasconde tante piccole sfaccettature.

Vi sono però tanti altri elementi in Venere è un ragazzo, non è un cortometraggio lineare ma sperimentale. Segue un canovaccio, però poi si lascia andare alle emozioni e la musica diventa l’elemento cardine. Loosing Dream e soprattutto Two men in love riescono a catturare tante piccole sfumature che le parole spesso non riescono a raccontare. È un corto composto di sensazioni, di occhiate, con un modo di girare di avanguardia che secondo noi Giuseppe è riuscito molto bene ad approcciare.

Giuseppe, quanto è stata determinante la scelta della colonna sonora e come è nata la collaborazione con The Irrepressibles?

La collaborazione è nata in maniera del tutto casuale. Durante il montaggio della scena girata al Gay Village, ho chiesto una cosa abbastanza ardita: inserire Two men in love, una canzone che ho sempre adorato e che è scontato dire è un pezzo da pelle d’oca. Io vedevo che la canzone si sposava perfettamente a quelle immagini, anzi sembrava quasi che fosse stata scritta proprio apposta.

Allorché ho contattato Jamie McDermott credevo che non mi rispondesse e invece lo fece. Gli ho detto che avevo intenzione di inserire il loro brano all’interno del cortometraggio e che avrei voluto averne i diritti se a loro questo faceva piacere. Ho inviato loro tutto il lavoro cosicché potessero vedere di che cosa si trattava, Jamie ha visto la scena, l’ha apprezzata tantissimo, se n’è innamorato, mi ha fatto i complimenti e mi ha concesso di usare la canzone senza problemi. Quello che mi ha fatto è stato un grande regalo ed è stato davvero determinante, anche perché secondo me la colonna sonora fa l’ottanta per cento del film.

In circa un quarto d’ora sei riuscito ad affrontare temi molto distanti tra loro, tra cui in qualche modo anche il narcisismo maschile espresso all’inizio.

Diciamo che il cortometraggio nasce anche come teaser, perché noi vorremmo realizzare un lungometraggio. A me quindi serviva affrontare tutti questi argomenti per dire a dei produttori, con la speranza che ci finanzino, questo è quello che siamo in grado di fare, dateci la possibilità di fare un film e di sviluppare quello che è stato solo accennato.

Ho fatto una cosa abbastanza kamikaze, perché ho messo tanta carne al fuoco e questo è molto rischioso, però devo dire che sono soddisfatto del risultato. Nonostante io abbia inserito tanti temi, secondo me sono stati calibrati bene e mi rendo conto che chi vedrà il corto dirà: “Voglio vedere il dopo, voglio vedere come prosegue la storia”.

È come se tu avessi messo all’interno del cortometraggio tutto e ora dicessi al pubblico di trarre da solo le conclusioni.

Esatto, brava.

Esiste un tangibile contrasto tra Michele che si allena in palestra e Michele che si traveste per prostituirsi. La tua vuole essere una provocazione?

Da un lato effettivamente ho voluto essere un po’ provocatorio, sia col personaggio di Michele che con gli altri. Ho voluto un po’ esasperare il discorso dell’immagine, del guardarsi allo specchio. Tutti i personaggi bene o male si guardano allo specchio come per cercare la loro identità. Viviamo nella società dell’apparenza e tutti quanti noi abbiamo bisogno di darci uno scopo, attraverso il nostro viso, attraverso il nostro corpo, perché la società ci dice questo, ci dice di farsi vedere.

Il problema è che a volte l’apparenza non basta a dare delle risposte più profonde per quanto riguarda la nostra interiorità. Infatti, i personaggi hanno un fondo di disperazione legato proprio a questo, Michele, soprattutto, che si cerca in un’identità maschile e in un’identità femminile. Non sappiamo bene come si vive queste due cose, non sa scegliere tra il machismo e la femminilità, oscilla tra queste due identità.

C’è una scena, dove lui travestito da donna mentre ha un rapporto sessuale con un’altra donna si guarda appunto allo specchio. A me è arrivato come se lui non si riconoscesse, ma in realtà si piaccia.

Sono d’accordo con te. Lui non si riconosce ma allo stesso tempo si piace, perché chi si guarda eccessivamente allo specchio cerca in qualche modo un riconoscimento, e più ci si guarda in maniera ossessiva, anche in situazioni particolari come in questo caso durante un rapporto sessuale, più si ha l’esigenza di capire chi si è. I miei personaggi, tutti quanti, lo capiscono fino a un certo punto, anche Ornella, la donna matura che si fa il botox davanti alla macchina da presa.

Nel progetto di strutturazione del corto insieme a Tiziano Mariani, con cui firmi il soggetto, hai dovuto affrontare difficoltà oggettive?

Sì, abbiamo dovuto affrontare diverse difficoltà. Inizialmente c’era una sceneggiatura ma dato che io volevo qualcosa di più reale, di più autentico, ho mandato a quel paese quella sceneggiatura e ho chiesto agli attori di improvvisare e di darmi qualcosa di privato. In alcuni casi hanno avuto qualche timore e li capisco, perché ho chiesto loro cose anche molto intime da mettere nei personaggi e secondo me ci sono riuscito. Per esempio la scena in cui Maria Tona e Tiziano Mariani litigano, il personaggio di Ornella piange e Maria in quella scena ha pianto realmente, anche perché tra lei e Tiziano c’è una relazione anche nella realtà. Un’altra scena in cui si coglie la realtà è la scena tra Tiziano e la madre, anche perché la madre è la vera madre di Tiziano.

Hai dato una chiave di lettura un po’ diversa e nell’ottica del neorealismo?

Esatto, ho voluto fare qualcosa che fosse un po’ neorealista, e come ti ho detto ci sono alcune dinamiche tra i personaggi che sono vere. Tiziano e Maria stanno insieme anche nella realtà, lei è una donna che ha vent’anni più di lui e devono affrontare nella quotidianità una sfida alle convenzioni. Vivono questa cosa liberamente, e io ho voluto trasporre sullo schermo la loro storia con l’espediente del travestitismo. La madre di Tiziano è la madre reale di Tiziano, con i suoi reali problemi di alcolismo che non nasconde. Io voglio la verità in quello che faccio, altrimenti penso che non si arrivi alle persone.

Mi ricordi Giovanni Verga, uno dei più grandi scrittori italiani che ha messo in ogni sua opera il tormento, la maledizione delle famiglie, il verismo.

Magari! Comunque sì, lui è uno del sud come me e anche i miei personaggi sono molto tormentati. Venere è un ragazzo è un corto che alcuni amano tantissimo e altri no ma non si resta indifferenti. Se lo segui bene ti entra dentro, se ti distrai un attimo lo perdi.

A Bruxelles in occasione del “Fusion International Film Festival/ West Europe” la tua opera ha ottenuto tre nomination nelle categorie LGBTQ miglior attore protagonista di un film in lingua straniera e miglior sceneggiatura originale di un cortometraggio straniero. In Italia ti aspetti lo stesso consenso oppure hai avvertito che nel nostro paese ancora non c’è una cultura tale da valorizzarlo?

Questa è una bellissima domanda e non so cosa dirti, perché l’Italia è scissa in due. C’è una parte degli italiani che secondo me si sta emancipando nei confronti di queste tematiche, è aperta verso la fluidità di genere. Lo vedo nella gente, nelle persone che conosco che non si definiscono solo omosessuali o solo eterosessuali bensì pansessuali o addirittura non amano definirsi. Per contro c’è un’altra parte degli italiani che è molto chiusa, non è aperta verso l’omosessualità, figuriamoci verso tutto il resto. Secondo me in Italia questo corto avrà un’accoglienza alterna, ci saranno contesti in cui verrà accolto bene e altri in cui non verrà capito.

Che cosa ti ha lasciato questo lavoro nel suo insieme, cosa è cambiato?

È cambiato tanto perché io ho realizzato tanti corti autoprodotti, mentre questo è il primo lavoro che posso definire professionale con una casa di produzione seria alle spalle, un’equipe di lavoro che mi ha fatto conoscere meglio la macchina del cinema e che mi ha dato l’opportunità di fare qualcosa che potesse arrivare a più persone, che mi desse la possibilità di espormi, di mettermi in gioco e di farmi conoscere. Io spero che questo sia solo l’inizio di altre cose che ho voglia di fare, perché ho una grande urgenza di comunicare. Ne approfitto per ringraziare Chiara Ferrara per l’ottimo lavoro svolto in sede di montaggio, Enrico Manfredi Frattarelli per la fotografia e Andrea Giaccone per il mixaggio audio.

Gli argomenti che hai trattato nel tuo corto ormai sono stati sdoganati dai mass media come fenomeni di realtà prima nascoste e ghettizzate. Oggi se ne parla e se ne sparla, ma tu cosa vuoi che la gente colga e qual è il messaggio che vuoi trasmettere?

Io voglio che la gente si dimentichi delle etichette, di quelle che sono date all’orientamento sessuale e all’identità di genere, e che guardi le persone per quello che sono in sé. In questo caso i tre protagonisti hanno in comune il fatto che hanno bisogno d’amore, hanno bisogno di amarsi e di essere amati, ne hanno un bisogno disperato.

Nella scena del Gay Village c’è un’assenza che io ho avvertito: ci sono gay, un crossdresser etero, lesbiche, c’è questa donna ossessionata dalla chirurgia estetica, ma manca la figura di una persona transessuale. Come mai?

Purtroppo quando si realizza un lavoro di soli quindici minuti bisogna fare una selezione. Io mi sono concentrato su queste realtà però sono molto attento alla condizione transessuale, anzi credo che per quanto riguarda il mondo transessuale ci siano ancora da fare dei passi in avanti non da poco, soprattutto nel nostro paese. Penso che la lettera T sia la più discriminata nel mondo LGBT. Io vorrei tanto realizzare qualcosa con una protagonista o un protagonista transessuale perché ci tengo davvero. Le ritengo persone coraggiose, che si sanno guardare veramente dentro e le stimo tantissimo, anzi stimo più le persone trans che i gay stessi, e lo dico da persona gay.

Davide, parlaci del ruolo come Emanuele e di come ti sei preparato.

Quando mi è stato presentato ho subito notato la particolarità del personaggio. Ho accettato di interpretarlo perché ho capito sin da subito che si trattava di un uomo sensibile e profondo, come lo sono anch’io nella vita di tutti i giorni.

Diciamo che il messaggio che si vuole dare è quello di un conflitto interiore che Emanuele vive ogni giorno tornando a casa dalla sua fidanzata e ritrovandosi a pensare a Michele, vecchio amico d’infanzia che ritrova in palestra. Un conflitto che molte persone devono affrontare, quindi mi sono preparato con tanta sensibilità, tanto cuore e tanta verità.

Secondo te oggi in Italia essere una persona omosessuale, pansessuale, transessuale è un problema ancora tangibile o no?

In genere si afferma che l’Italia rispetto a questi temi sia sempre un po’ arretrata. Dobbiamo tener conto però di una cosa molto importante, e cioè che in Italia c’è il Vaticano che in qualche modo tiene un po’ il freno a mano tirato su questi argomenti. Io racchiudo tutto quello che ho da dire su questa domanda in questa mia osservazione: per me tutto quello che è amore, tutto quello che è vero, tutto quello che è bene per se stessi è bene per gli altri e merita di vincere e di andare avanti.

Quindi nel 2020 sì, ci possono essere problemi se visti dall’alto, però se partiamo dal basso, dai cittadini comuni, credo si possa vedere tutto sotto un’altra ottica. Senza orizzonti, perché l’amore non ha sesso e io, che sono eterosessuale, ho ricevuto davvero tanto dal personaggio di Emanuele. Mi sono messo in discussione e da alcune scene molto profonde e particolari ho avuto davvero un ritorno di energia positivo. Sono veramente commosso e toccato, e spero davvero che questo corto possa diventare un lungometraggio.

Tiziano, cosa ha significato per te vestire i panni di un crossdresser?

Il travestitismo è un tema verso il quale ho un approccio già collaudato, perché faccio l’attore da ormai sedici anni e mi ha sempre affascinato la maschera, l’immedesimarsi in un altro essere, quindi ha significato ripercorrere un cammino che faccio spesso.

Quello del crossdresser è stato un sentiero molto affascinante perché non l’avevo mai affrontato, però molte persone mi hanno sempre detto che ho dei tratti androgini. Tre anni fa ho conosciuto Giuseppe e poiché lui è una persona molto sensibile al riguardo, ho trovato l’occasione giusta per esaminare questo soggetto.

Tu hai già recitato in due film ispirati a fatti di cronaca. Uno parla del satanismo delle sette e nell’altro un gioco si trasforma in tragedia. Preferisci interpretare personaggi scomodi o borderline?

Devo dirti la verità: “Sì!”. Per quanto riguarda le pellicole che citi è stato il destino che mi ha portato quei due ruoli. Erano progetti ambiziosi, sono stato coinvolto e ho accettato per farmi le ossa. In Venere è un ragazzo ci sono invece tante connessioni personali, molte sfaccettature di Michele, un personaggio che io non avevo mai affrontato, che sono realmente cose che mi coinvolgono in prima persona. È stato un viaggio affascinante e, soprattutto per il rapporto con mia madre e mio fratello, è stata una catarsi. È stato un atto di coraggio e in questo devo ringraziare Giuseppe che mi ha aiutato tanto.

Cosa ti ha lasciato il ruolo di Michele a livello interiore e c’è stato un cambiamento nella tua percezione della diversità?

Michele ed Emanuele hanno due caratteri completamente diversi. Fin dall’inizio del corto Michele ha già affrontato la sua sfera evolutiva, cioè le sue paure, le sue nevrosi. È un personaggio risolto e lo vediamo da come si muove tra la palestra, il rapporto di amicizia con Emanuele e quello con la famiglia. È in grado sostenere diversi problemi perché è un uomo evoluto.

Emanuele, invece, è un personaggio che vorrebbe affrontare il tema del cambiamento, della percezione di essere attratto dallo stesso sesso ma non ne trova il coraggio. Credo che sia affascinante la relazione tra Emanuele e Michele perché nello stesso tempo si attraggono e si scontrano. Questo rapporto controverso mi ha aiutato anche in quello con mia madre al di fuori dal corto, perché anche con lei c’è sempre stato un rapporto d’amore e odio. Dopo questa esperienza ci siamo parlati e c’è stato un passo in avanti verso una riconciliazione. Per quanto riguarda la diversità, io non ho mai avuto problemi nell’affrontarla. Ho molti amici gay e molte amiche lesbiche e sinceramente ero già pronto ad affrontare questa parte.

Maria nel corto tu interpreti Ornella, ossessionata dalla chirurgia estetica. Cosa pensi delle donne che lo sono, e non credi che questa corsa alla conquista dell’eterna giovinezza tolga ogni peculiarità alla propria femminilità?

Questa è una cosa che mi vede protagonista non solo come attrice, perché nella vita ho una mia società che lavora in quest’ambito e quindi conosco perfettamente il settore. Ogni giorno sono a contatto con donne che chiedono questo, e a mia volta ne ho approfittato.

Spaventa perdere la bellezza, spaventa perdere quel senso di potere che si ha nella giovinezza, soprattutto quando sei stata molto bella. C’è una sorta di dipendenza, di malinconia nel non avere più tutto questo e la chirurgia diventa uno strumento che va a colmare quel vuoto che senti.

Detto ciò, io come attrice ho rappresentato una persona con una grande disperazione, mentre nella vita reale io penso che sia un gioco. La nostra forza la dobbiamo avere dentro ed è importante renderci conto di quanto siamo più fortunati rispetto a tante cose che sono molto più gravi, come malattie o problemi familiari. Se il mezzo serve a dare delle soddisfazioni ma non diventa una dipendenza, va benissimo, ma nel momento in cui qualsiasi cosa diventa dipendenza c’è sempre un problema. Il mio personaggio è completamente dipendente da diverse cose, tra cui la droga, quindi ha dei grandissimi vuoti che non riesce a colmare.

Ornella, infatti, è una donna dipendente dall’amore per Michele e disposta ad accettare qualsiasi cosa…

Noi donne spesso abbiamo questo grandissimo problema, a volte siamo disposte ad accettare qualsiasi cosa e ci portiamo dietro dei fardelli e dei sacchi che dovremmo buttare via. Non so per quale motivo, per quale disegno di questa natura invece ne diventiamo assoggettate.

Questa cosa di non rompere è un abuso, però in quell’abuso c’è qualche cosa che è difficile da cui staccarsi. Io sono una donna molto passionale nella vita e nei momenti in cui ho avuto dei problemi d’amore ho perso il controllo della mia personalità, della mia forza. Quindi ho lavorato in quei ricordi, in quelle memorie. Noi attori andiamo a smuovere le cose che ci fanno comodo per affrontare un personaggio. Ho lavorato su questa cosa che prendeva la priorità nella mia vita, l’amore mi accecava e non vedevo tutto il resto.

Michele si traveste e si prostituisce andando con altre donne. Tu come accetteresti di vivere un simile rapporto? Esistono centinaia di donne che si prostituiscono per mantenere uomini, in definitiva sarebbe la stessa cosa vissuta al contrario, una sorta di parità di condizioni non trovi?

Io penso che nella vita esistano i compromessi, Michele è un uomo molto più giovane di Ornella, quindi devi mettere in ballo che stai forzando una direzione di due età diverse, due esperienze diverse.

In amore ci sono dei sogni che noi abbiamo ma spesso la realtà è ben diversa, e secondo me vince la saggezza, cioè capire se alcune cose sono intollerabili oppure se su alcune cose possiamo far finta di non vedere. Le accettiamo se dall’altra parte ne vale la pena, se però diventa una violenza, una cosa senza rispetto dovremmo avere la forza di interrompere. Ornella pur di ottenere questo amore che è un amore malato, negativo per lei, è disposta a qualsiasi cosa. Nei suoi occhi c’è la malinconia, la felicità effimera che sta vivendo è un bluff e nel bluff si fa male.