Uno fra i più famosi DJ internazionali costretti allo stop forzato ci racconta la sua passione per la musica e di come in questi tempi sia necessario trovare strade alternative, in attesa di tornare tutti e tutte a ballare.

 

Claudio De Tullio all’anagrafe ma ora in arte Claudio Houston in questo periodo di lockdown che ha colpito l’intero pianeta e messo a soqquadro il mondo della notte ci ha dato l’opportunità di parlare della sua storia, dei suoi progetti attuali e di come vede il futuro prossimo del divertimento anche in salsa arcobaleno.

È incredibile come la sua giovane storia (compirà 34 anni il prossimo agosto) si sia intrecciata con quella di chi ha dato vita molti anni fa alla musica house pur restando da questa parte dell’Atlantico. Oramai ha la stoffa del DJ navigato che però ha mantenuto l’umiltà e la curiosità di chi, da bravo apprendista, si è sempre messo in ascolto dei “grandi”: Frankie Knuckes e Kenny Carpenter su tutti. Da loro ha imparato parecchi trucchi del mestiere ma ha anche ricambiato il favore con consigli e suggerimenti.

 

Tutto ebbe inizio nei primi anni del nuovo secolo, compiuti da poco 13 anni, grazie a suo padre che è un ex DJ nonché musicista e a Nicola Conte, DJ e compositore che influisce sulla sua crescita artistica. Al riguardo ricorda: “Con Nicola c’è stato da subito un grande feeling che ha portato a un confronto di cultura sulla musica e ad approfondirla scambiandoci titoli sui generi più diversi, dal jazz all’afrobeat passando per la house”.

Ancora ragazzino inizia a esibirsi in locali in voga come il Gorgeous ma un’esperienza fondamentale è stata quella maturata presso il DAMS di Bologna, dove ha studiato Musicologia. “In realtà, prima ancora che DJ, sarei voluto diventare un giornalista che si occupa di musica, ma quando hai vent’anni gli eventi si succedono in maniera così veloce che ho continuato a fare ciò che già da anni avevo sperimentato”.

Claudio cresce ascoltando e catturando suoni da ogni dove ma ha un chiodo fisso: Frankie Knuckles. Lo contatta esibendo tutta la sua preparazione e passione nei confronti di quello che notoriamente è conosciuto come “il padre della house music”. Frankie resta allibito di fronte a tanta devozione da parte di un giovane fan proveniente da un luogo per lui remoto, e inizia con lui uno scambio di materiale sonoro e di idee.

“Fu Frankie a presentarmi successivamente a Kenny Carpenter, leggenda dello Studio 54 a New York e icona del Ministry of Sound londinese. Sono sempre stati buoni amici ma musicalmente in contrapposizione tra di loro. Frankie stava a Madonna come Kenny stava a Britney Spears: l’antitesi a confronto. Io da furbetto cercavo di accalappiarmi le grazie di entrambi”.

Claudio e Kenny Carpenter

 

A questo punto però occorre aprire una parentesi e fare un passo indietro citando Crisco disco, il libro di Luca Locati Luciani uscito nel 2013 per le edizioni Volo libero, che ripercorre la storia e le lotte per i diritti della comunità LGBT attraverso il clubbing.

“Il Paradise Garage, locale aperto nel 1977 dai proprietari della West End Records, Mel Cheren e Michael Brody, all’84 di King Street nel Greenwich Village era un club per soli soci, in prevalenza gay di colore, ubicato in un ex garage, da cui il nome. […] La pista poteva accogliere più di 2000 ballerini contemporaneamente, ma la cosa più strepitosa del locale era la musica: qui non si veniva per fare il voyeur di celebrità (come nel celeberrimo e contemporaneo Studio 54, N.d.A.), anche se qualche personaggio noto di passaggio c’era sempre (su tutti Andy Wharol e Keith Haring, mentre Madonna iniziò qui a farsi notare, N.d.A.), ma per ballare sulla disco del tipo più tribale, vicina alle sue radici black proposta soprattutto dal DJ Larry Levan (altri DJ del locale furono Frankie Knuckles, Sharon White, Jim Burgess, John Luongo e David Morales). […] Un sottogenere di musica dance prodotta a partire dagli ultimi anni ’70 e i primi anni ’80 venne chiamato garage proprio dal nome del locale. Il Paradise Garage chiuse nel settembre del 1987 e poco dopo Levan fu uno dei molti DJ disco a morire di AIDS, ma le sonorità dei primi anni del locale avrebbero influenzato la musica house di fine anni ’80, primi anni ’90, così come, contemporaneamente, quelle di un altro locale attivo a Chicago, chiamato Warehouse (da cui il nome house music, N.d.A.), in cui mixava Frankie Knuckles”.

Qui va detto per dovere di cronaca che la proposta di esibirsi al Warehouse arrivò a Knuckles proprio dal collega e amico Larry Levan, già con lui al Paradise Garage, il quale rifiutò l’offerta di trasferirsi per non abbandonare il suo amore newyorkese Michael Brody, proprietario del suddetto locale.

Tornando ai giorni nostri, l’amicizia di Claudio con Knuckles e Carpenter si consolida tanto che nel marzo del 2014 i due gli propongono di fare da apripista al Ministry Of Sound, e l’occasione è più unica che rara. “Per la prima volta vengo catapultato in un mondo fatato, io ragazzo sconosciuto, mai uscito dal guscio italiano, anzi dal guscio barese. In quell’occasione il locale contò quattromila presenze e fu una serata memorabile, anche perché si trattò purtroppo dell’ultimo DJ set di Frankie che sarebbe morto pochi giorni dopo”.

 

L’episodio al Ministry Of Sound è seguito a breve distanza da un altro colpo di fortuna. “Pochi giorni dopo conobbi Stefano Longhi diventando DJ resident al suo Donoma di Civitanova Marche con la serata denominata House Heroes. Indirettamente Frankie mi fornì l’aggancio in quanto avrebbe dovuto suonarci poco dopo l’ultima serata a Londra. Questo mi ha portato a confrontarmi con DJ di fama internazionale come Black Coffee, Derrick May, Claptone, Mark Knight e Kevin Saunderson. Infine, storia più recente del 2016, mi hanno offerto di ‘tappare un buco’ all’hotel Borgo Egnazia, un luogo magnifico.

Ero titubante poiché mi avvertirono che l’audience avrebbe avuto un’età media piuttosto elevata e quindi avrei dovuto calibrare e adattare bene le mie scelte musicali. Feci colpo sia sui gestori della struttura sia sugli organizzatori dell’evento, in gran parte manager di Las Vegas, che di lì a poco mi invitarono a diventare resident DJ in entrambi quei luoghi fantastici”.

Claudio e Anna Dello Russo

 

All’inizio di marzo 2020 il Covid19 prima in Italia poi in Europa e negli States obbliga alla chiusura forzata tutti i locali, obbligando al fermo improvviso e improrogabile la maggior parte dei lavoratori nell’ambiente dello spettacolo. Tra i loro, ovviamente, anche i DJ professionisti. “Avrei dovuto partecipare a un festival in Australia e avevo oltretutto in cantiere una collaborazione con un’altra etichetta londinese: diversi progetti rimandati o andati a monte. È così per molte persone che lavorano nel mio ambiente. Dovremo reinventarci tutti quanti ma nel frattempo questo è un periodo in cui prendersi del riposo per chi, come me, è abituato a vivere sempre sotto stress con orari a volte disumani. Un buon momento per fare ricerca e creare nuova musica”.

Immaginiamo adesso per un attimo la scena londinese piena di gay club e di gente che ci lavora a tempo pieno, centinaia di persone che vivono in una delle capitali più care al mondo. È lecito domandarsi che qualcosa accadrà se non è già accaduto… “Londra è una realtà molto bella dal punto di vista della night life gay, come per esempio la meravigliosa notte dedicata al Paradise garage oppure Horse Meet Disco. Molti amici purtroppo hanno pensato di tornare in Italia proprio perché impossibilitati a sostenere gli alti costi in questa città.

Sicuramente chi come me vive facendo questo mestiere deve cercare altre strade, almeno sino a quando le cose non torneranno come prima. Dovremo soprattutto tutelarci da molti personaggi farlocchi che fanno spettacolo e dovrà nascere un sindacato per gli addetti ai lavori. Non voglio polemizzare ma andrebbe fatta una selezione di persone che possono educare il pubblico alla buona musica ed eliminare chi magari non ha nulla da dire, se non con cafonate inconcludenti e di cattivo gusto. Credo di poterlo affermare senza falsa modestia, perché ho alle spalle 20 anni di consolle e sono uno che si è sudato tutto. Soprattutto so cosa vuole dire avere passione per la sola musica!”.

Reinventarsi e cercare nuove strade. Claudio ha già in cantiere un progetto che lo porterà a dedicarsi anima e corpo alla carriera di producer e remixer. Per questo motivo ha deciso di cambiare il cognome in Houston, non prima però di remixare per Mattia Trani il suo Move On. Mattia è figlio del compianto Marco Trani, uno dei pionieri italiani nell’arte del missaggio e denominato anche il “Frankie Knuckles bianco”, colui che assieme a Corrado Rizza scrisse il libro I Love The Nightlife (ed. Wax Production), la storia della disco in Italia dalla fine degli anni settanta ai primi anni novanta.

 

In prossima uscita, sempre firmato Claudio Houston e in collaborazione con il produttore Zibadan, The Perfect Time per Klubasic Records e un altro lavoro per Major Underground, una sub-label di Sony Music. “Major Underground si prefissa di riportare in auge gli albori della house music, quel suono alla Frankie Knuckles e Larry Levan che attualmente è stato un po’ dimenticato.

In questo periodo, inoltre, ho sentito molti amici DJ e abbiamo scambiato molta musica cercando oltretutto di sostenerci a vicenda con buoni consigli di cucina, quella non guasta mai, sempre mantenendo un pizzico di ironia. Comunque, se mi è permesso, vorrei dare un consiglio a tutti: io riesco a essere concentrato quando so che accanto c’è una persona che mi ama e che mi sta vicino, soprattutto in questi momenti in cui è facile farsi prendere dallo sconforto.

Ma pensiamo al mese del pride e se mi chiedeste quale brano per la promozione dei diritti LGBT io dovessi ergere a bandiera non esiterei. Sarebbe I Was Born This Way di Carl Bean, un brano che ha fatto storia perché cantato da un pastore omosessuale e di cui Larry Levan produsse un mix favoloso al Paradise Garage nel 1983”.