L’inattesa e piacevole scoperta di un autore che nelle sue canzoni tratteggia storie di quotidiana intimità, in un momento in cui c’è bisogno di tornare a sperare, e che ha “militato” il suo talento in qualità di direttore artistico del primo Dolomiti Pride.

 

Credete nella teoria dei 6 gradi di separazione? A Massimo Lazzeri siamo arrivati – è il caso di dirlo – per serendipità, tramite la violoncellista, cantante e attrice Adele Pardi. Ci ha incuriositi la sua collaborazione nel brano I sogni che si avverano, all’interno di Vedi che c’è il Sole, ultimo album del cantautore trentino, uscito lo scorso anno.

Sulla sua pagina Facebook di sé dice: “Scrivo, recito, canto e insegno e a volte mi piace fare tutte queste cose insieme.” Attore e sceneggiatore teatrale (fra l’altro gestisce il teatro San Marco di Trento), negli anni recenti ha registrato una serie di album in cui ha raccolto fra l’altro canzoni proposte durante i suoi spettacoli, fermando così musica e testi che potessero rappresentare un ideale mezzo per trasmettere con semplicità e immediatezza, la bellezza del mondo che ci circonda, a cominciare da quello dedicato ai bambini. L’esperienza maturata in campo pedagogico gli ha permesso di trattare con semplicità e leggerezza anche temi importanti, quali la guerra, il razzismo, la diversità.

Non è un caso se l’ultimo album trasuda ottimismo e leggerezza già a partire dalla copertina dell’album, a opera di Marco Raffaelli. Qui è rappresentato l’autore disteso su un lettino da spiaggia, circondato da verdure e strumenti musicali, che pare stia tranquillamente godendosi la vita, ma in realtà (se focalizziamo meglio il disegno), ci accorgiamo che è immerso in un grande pentolone e che sta cuocendo lentamente.

 

 

Marco Raffaelli ed Elena Sorrentino sono anche gli autori del clip “a cartoni animati” La diversità, un brano che giocando sulle canzoni iconiche italiane, racconta con ironia la quotidianità delle coppie dello stesso sesso. “‘Sarà perché ti amo’, dice lui e ‘Maledetta primavera’ dice l’altro lui […] ‘Stupendo il tuo pensiero’ dice lei, ‘Sarei la tua venere storpia’ dice l’altra lei… La diversità è un’invenzione umana, è come un quadro astratto, un pessimo ritratto della società. Ci perdi due minuti, poi non lo guardi più”.

 

Cantautore, attore, scrittore di favole e racconti per bambini. Chi è Massimo Lazzeri?

Se facessi una classifica secondo il cuore: cantautore, attore, drammaturgo, regista. Cantare ha sempre fatto parte della mia vita, io canto in continuazione, magari sottovoce o a bocca chiusa e nemmeno me ne accorgo. Ho iniziato a scrivere canzoni a 15 anni, a 18 ho cominciato a studiare recitazione, perché mi ero convinto che mi avrebbe aiutato a interpretare meglio le canzoni. Ho seguito corsi in Italia e in Francia, sono andato a New York, dove ho frequentato una scuola di musical. Il teatro mi ha fagocitato: ho iniziato a recitare, a scrivere, a fare regia. Nei miei spettacoli ci sono però quasi sempre momenti in cui gli attori cantano dal vivo; non sono dei veri e propri musical, la struttura è più semplice, ma la parte cantata è comunque importante.

Qual è stata la molla che ti ha portato a registrare il tuo primo album Ti amo perché sì del 2014 e il progetto Secondo me, che è anche un libro di poesie, anzi, Quasi poesie, ma soprattutto d’amore del 2017?

Scrivere canzoni è un’azione che mi viene spontanea, non mi devo mettere a tavolino per scrivere. Le idee arrivano nei momenti più impensati e allora scrivo dove capita o registro al volo, anche con il cellulare, parole e musica. Poi con calma, a casa, rifinisco, modifico, completo.

Con il primo album, Ti amo perché sì, ho inseguito la possibilità di trovare un distributore, quindi, in parte, ne ha risentito anche la scelta delle canzoni da registrare, alcune più “commerciali”. Solo che poi il distributore non l’ho trovato, mi sono perso in mille lavori teatrali e, alla fine il cd è uscito dieci anni dopo essere stato registrato.

 

Il secondo album è nato da un impeto. Nel teatro che gestisco era previsto un concerto, per il quale abbiamo noleggiato un pianoforte a coda. Ho pensato “già che c’è il piano… cosa mi costa aggiungere un contrabbasso, una batteria, una chitarra, un paio di fiati?…” Guarda caso i musicisti che volevo erano tutti disponibili e così li ho rinchiusi in teatro per tre giorni. Abbiamo registrato suonando sempre insieme, quasi un live. Non è un disco perfetto, ma c’è una bella energia. L’ho chiamato Secondo me. Se lo si capovolge, diventa un libro che si intitola Quasi poesie, ma soprattutto d’amore. Ci sono canzoni anche molto intime, che ho scritto per degli uomini e quindi uso il maschile (cosa che non ho fatto nel primo album).

Quando ho detto al sassofonista 24enne che gli altri musicisti mi sembravano perplessi nel sentirmi cantare “È arrivato l’inverno e sei arrivato tu”, al maschile, all’inizio non capiva, poi ha detto: “Scusa Massimo, senza offesa, che sei gay e che canti al maschile non gliene frega un cazzo a nessuno”. Fine delle paranoie.

C’è un filo conduttore tra i primi due dischi e il più recente Vedi che c’è il Sole?

Vedi che c’è il Sole, è un disco che raccoglie canzoni che ho scritto per alcuni spettacoli teatrali, ma anche brani d’impegno sociale, se vogliamo dare un’etichetta. Ci sono tanti duetti, mi piace cantare con altri, e hanno collaborato tanti musicisti, è un lavoro molto collettivo.

Nasci come scrittore teatrale, soprattutto per bambini e ragazzi. Qual è secondo te il modo migliore per promuovere un mondo inclusivo alle nuove generazioni o trattare temi non sempre felici, come racconti nel brano Quel giorno?

La leggerezza e la semplicità. Si può parlare degli anni di piombo, della guerra, della morte anche con ironia. Sempre con rispetto, certo, ma senza scivolare nel dramma. O magari facendolo, ma giusto per il tempo necessario. Quel giorno è un dialogo impossibile tra un figlio e il padre, che non c’è più perché è stato assassinato dai terroristi. È ispirata a una storia vera e nel disco la voce del padre è quella di Pippo Pollina, un cantautore siciliano che vive in Svizzera ed è molto famoso lì e anche in Austria e Germania.

Quando hai scritto il brano Vedi che c’è il Sole quali erano i tuoi sentimenti, o meglio cosa ti faceva presagire qualcosa di positivo in mezzo al grigiore quotidiano?

Io sono un ottimista cronico, Vedi che c’è il sole mi rappresenta molto, chi mi conosce sa che, anche nel buio più fitto, riesco a trovare un puntino di luce. E, se non c’è, me lo invento.

In Lascio tutto c’è la volontà di non soffermarsi sul passato, sui propri errori, sulle delusioni, di andare avanti facendo scorta delle esperienze belle e brutte. È in tal senso un’appendice a Vedi che c’è il Sole o c’è qualcosa in più?

È la canzone che conclude lo spettacolo Piombo. Ci sono momenti nella vita in cui l’unica cosa da fare è voltare le spalle al passato e guardare avanti, nella speranza che il meglio debba ancora arrivare.

 

Che tu sia il benvenuto è un altro brano che ci ha sorpresi per la genuina semplicità nel raccontare ciò che spesso ancora viene taciuto o addirittura falsato (“Che tu sia il benvenuto nei miei pensieri, in ogni stanza, in ogni cassetto, dentro al mio letto, fra le mie gambe, sulla mia pelle, fra le mie lune, fra le mie stelle”). Ci spieghi la genesi e l’idea di questo brano e di Tutto quanto sa di te, che in qualche modo, troviamo a esso legato?

Che tu sia il benvenuto è stata scritta all’inizio di una storia, con la voglia di conoscersi e di accogliere nel proprio mondo un’altra persona. Di accogliere tutto di quest’altra persona, senza voler cambiare niente. Tutto quanto sa di te l’ho scritta, invece, alla fine della storia più importante e più lunga che ho vissuto. Anche a distanza di anni rimangono delle tracce, delle sensazioni.

Dormi, figlio dormi, Quando tutto questo e Siamo tutti sullo stesso barcone sembrano legate da un unico tema conduttore: l’antirazzismo, l’inclusione…

Sono tematiche che mi sono molto care. Siamo tutti sullo stesso barcone parla ovviamente di migranti, ma anche del fatto che noi potremmo forse immaginare quello che hanno passato per venire nel nostro paese, ma capire completamente certamente no. Perché, pur con tutti i limiti e i difetti, noi viviamo in un paese stupendo.

Ieri ero un bambino… Il segreto per risolvere i problemi dei grandi è guardare il mondo con gli occhi dei piccoli?

No, anche i bambini hanno i loro problemi. Ma ricordarsi che, come dice Antoine de Saint-Exupéry, (l’autore di Il piccolo principe, N.d.R.) “tutti i grandi sono stati bambini” può servire. Io ho sempre in mente idee e progetti, una buona parte di quelli che penso li realizzo, ma non credo che questa vita mi basterà a realizzarli tutti.

A proposito di bambini: Storie di Gianni è un CD contenente i brani dello spettacolo Storie di Gianni de Il teatro delle quisquilie, scritto e messo in scena con la tua compagnia nel 2016. I testi sono ispirati a Favole al telefono di Gianni Rodari, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. Cosa ti ha colpito della sua produzione, cosa ci ha insegnato Gianni Rodari?

Gianni Rodari ha scritto storie e filastrocche meravigliose che piaceranno sempre ai bambini, con situazioni a volte surreali e personaggi nei quali i piccoli si ritrovano o si vorrebbero ritrovare. In alcune storie ci sono anche dei grandi insegnamenti. La mia preferita è La strada che non andava in nessun posto, nella quale un bambino percorre una strada, convinto che lo porterà da qualche parte: infatti arriva ad un castello nel quale una bella signora gli dona un carretto pieno di tesori.

Nello spettacolo Storie di Gianni racconto alcune delle sue Favole al telefono e canto una decina di canzoni che vanno ad arricchire la narrazione. È uno spettacolo semplice, ma le parole di Rodari fanno sempre restare a bocca aperta i piccoli spettatori e, spesso, anche i grandi.

Non solo teatro, ma anche “concerti da salotto e da giardino”. Qual è la dimensione e l’impatto di queste performance, rispetto a un concerto in piazza o in un locale?

Cantare davanti a trenta, ottanta, dieci persone in un giardino, in un garage o in un salotto permette un grande ascolto. Le persone che partecipano ai miei “Concerti da salotto e da giardino” vengono per questo, per ascoltare le mie canzoni, gli aneddoti e le storie che racconto, a volte integrate da brevi video. Poi c’è anche un momento in cui si mangia e si beve insieme, si condividono idee e pareri.

 

Alla prima (e unica per ora) edizione del Dolomiti Pride svoltosi a Trento nel 2018, hai partecipato attivamente come organizzatore nonché direttore artistico. Se dovessi redigere una stima non solo sulla partecipazione, ma sullo stato emozionale al finale, qual è stato il tuo “sentire”?

Al Dolomiti Pride del 2018 c’erano diecimila persone che, per la città di Trento, che conta centomila abitanti, sono tantissime. Mancavano le autorità principali; la Provincia ci ha negato il patrocinio: un’occasione persa, che peccato. Ho lavorato a questo pride per mesi, insieme ad altri: tempo, fatica, passione, entusiasmo. Siamo stati ripagati sia dalla quantità di persone che dall’atmosfera di gioia e di festa, che ha lasciato uno strascico di settimane.

Ho assunto il ruolo di direttore artistico della serata, coordinando tutti quelli che si sono avvicendati sul palco dopo la parata, dai cantanti alle drag queen. Alla fine della serata il capo della polizia è venuto a congratularsi per l’organizzazione e ci ha riportato i commenti entusiastici di alcuni suoi colleghi, che erano venuti di malavoglia e solo per dovere. Durante la serata ho cantato un brano allora ancora inedito dedicato a due amici che si sono sposati, La diversità e alcune canzoni iconiche italiane: era da anni che aspettavo di cantare in pubblico Almeno tu nell’universo!!!