Ha vinto l’ambito premio Queer Lion alla 76a edizione della Mostra del Cinema di Venezia nell’ambito della Settimana della Critica. Il film “El príncipe” del regista cileno Sebastián Muñoz si svolge tra le mura di un carcere, teatro di sanguinose lotte di potere, dove si sviluppa la relazione tra un maturo boss e un seducente ventenne accusato di omicidio.

 

Non sì è ancora spenta l’eco delle sanguinose rivolte nelle carceri italiane accadute nei mesi scorsi che, iniziate con le richieste di tutele da parte dei detenuti dopo i casi accertati di Covid19, hanno poi fatto registrare un bilancio di ben 15 decessi a causa dell’overdose di metadone, da loro sottratto dalle infermerie dei penitenziari.

È noto come l’universo carcerario sia un coacervo di soprusi, tensioni e violenze che spesso degenerano, e il cinema da sempre ha tratto ispirazione da questo ambiente claustrofobico. Basta ricordare i celebri Papillon, Fuga di mezzanotte, Le ali della libertà, Nel nome del padre e Hunger (questi ultimi di taglio politico), fino a Dead Man Walking.

Ipocritamente negata anche ai giorni nostri, nelle prigioni è da sempre esistita la variabile dell’omosessualità a cui talvolta anche lo schermo ha dato voce e visibilità, a partire dal poetico e indimenticabile Un chant d’amour, unico film dello scrittore e drammaturgo Jean Genet (di cui Rainer Werner Fassbinder porterà sullo schermo Querelle de Brest che proprio a Venezia creò uno scandalo incandescente), e più recentemente con Il bacio della donna ragno del regista Hector Babenco.

 

Diventato ormai un’istituzione nell’ambito della Mostra del Cinema di Venezia, il Queer Lion (che lo scorso anno festeggiava la 13a edizione) ha premiato El príncipe, pellicola diretta dal cileno Sebastián Muñoz (al suo debutto in un lungometraggio dopo 20 anni di lavoro come scenografo) con Alfredo Castro (l’attore feticcio del regista Pablo Larrain) e Juan Carlos Maldonado, giovane e prestante volto televisivo al suo primo ruolo da protagonista.

Il film è tratto da un romanzo di Mario Cruz dei primi anni settanta diventato di culto anche perché, a causa della sua tematica gay, ne fu proibita la vendita nelle librerie e lo si poteva reperire solo nelle edicole della capitale Santiago. La motivazione della giuria recita: “…È un accorato spaccato della vita in una prigione cilena nel quale gli intensi rapporti emotivi tra i detenuti fanno da contrappunto alla brutalità della realtà carceraria…”

Siamo nel Cile del 1970, alla vigilia dell’ascesa al potere di Salvador Allende. Nella città di San Bernardo, durante una notte dall’alto tasso alcolico, il ventenne Jaime uccide in un impeto d’ira il suo migliore amico in quello che ha tutta l’aria di essere un omicidio passionale. Trasferito in carcere, impara a conoscere presto la spietata legge di quel luogo.

La sua bellezza viene subito notata dal maturo Riccardo, soprannominato “lo stallone”, una sorta di ras a cui i compagni di cella obbediscono ciecamente e al quale concedono molti privilegi, compresi quelli di natura sessuale. Violando in modo piuttosto brutale la sua verginità lo costringe forse per la prima volta a un rapporto con un uomo.

 

I giorni passano e tra i due oltre al sesso (non più vissuto dal ragazzo come violenza) subentra una fortissima amicizia, molto prossima a un sentimento d’amore. Riccardo, sposato e padre, diventa il suo mentore e lo ribattezza “il principe”, insegnandogli a farsi rispettare e garantendogli una sorta d’immunità nei confronti dei compagni, fino a lasciarlo libero di trovare piacere con altri coetanei.

Come spesso succede, il carcere è anche teatro di scontri di potere, non solo tra prigionieri e secondini (“lo stallone” per sfregio viene barbaramente penetrato da uno di questi con un manganello) ma tra gli stessi detenuti. Infatti Riccardo ha un nemico che lo vuole detronizzare per acquisire i suoi privilegi e sarà solo un duello con esiti mortali a decretare il vincitore, alla muta presenza di Jaime, spettatore impotente che ha preso coscienza della sua vera identità sessuale e compreso finalmente la vera ragione di quell’efferato omicidio.

 

In questo pregevole prison movie risuonano gli echi di Genet, Jarman e Fassbinder: un percorso di formazione alla vita e all’amore in cui sono assai bene esplorate le dinamiche del desiderio e del potere. Ospite a Venezia, abbiamo chiesto a Sebastian una sua riflessione: “Sin dalla prima lettura del romanzo di Cruz, sono rimasto colpito dalla forma e dalla cura con cui descriveva il corpo, dalla sua presenza pervasiva nelle pagine: ho capito che anch’io, omosessuale, non dovevo aver timore di esibire il mio e che dovevo impegnarmi a mostrare l’omosessualità sia come relazione sessuale che come sentimento. Con El príncipe ho inteso veicolare ai giovani il messaggio che non devono nascondersi ma palesare apertamente la propria sessualità che è del tutto naturale.”