È il primo romanzo della letteratura italiana su un amore tra donne. Una storia che si svolge alla fine della seconda guerra mondiale in Sicilia, dove la passione ingenua e totale tra Dina e Delia si scontra con l’ordine patriarcale e le fratture dell’Italia alla soglia della Liberazione.

 

Negli ultimi mesi del secondo conflitto mondiale Dina conosce Alfonso che la conduce da un paese dell’Emilia-Romagna nella natia Sicilia. Qui inizierà una fragile storia di amore e passione ma non tra loro bensì tra Dina e Delia, sorella di lui. Immergetevi ora nel contesto storico e sociale, e provate a immaginare l’evoluzione inesorabile del rapporto affettivo e carnale tra due donne, che sarà violentemente stroncato dall’ordine arcaico e tirannico dei poteri intrecciati di famiglia, mafia e polizia.

La Sicilia di quasi ottant’anni fa è una terra in cui s’incontrano (e ovviamente si scontrano) passioni negate, le istituzioni, il patriarcato, le voci delle malelingue, le tradizioni fossili, la religione, gli istituti d’igiene mentale… E poteri forti quanto nascosti come il maschilismo tossico, la ritualità del quotidiano, l’immobilismo sociale, la diffidenza sarcastica nei confronti delle persone che giungono dal Nord e in particolare delle donne.

Di questo parla l’autrice Bibi Tomasi in Il paese di calce (edizioni Il Dito e la Luna), una vicenda triste, bellissima, implacabile e appassionante, narrata con un linguaggio poetico e musicale molto evidente nelle prime pagine, cesellato frase dopo frase con parole che sono lettere e soprattutto suoni. Una narrazione che descrive un viaggio interiore e contemporaneamente una vera e propria e continua traslazione geografica, dato che la storia inizia nei pressi di Bologna, poi si sposta a Firenze e infine giunge in Sicilia dove apparentemente si ferma.

 

In realtà si tratta solo di una sosta, una pausa asfissiante prima di un ulteriore viaggio/fuga disperato delle due protagoniste all’interno della regione stessa, tra solfatare e paesini diroccati, elementi questi che conferiscono a Il paese di calce la dimensione epica e tragica e la connotazione raminga di un road movie fatto di carta.

Interessanti oltre alle figure di Delia e Dina anche quelle delle altre donne: la madre di Alfonso che per salvare le apparenze vorrebbe costringere il figlio a sposare Dina, e quella di un’altra suocera (potenziale), la madre del fidanzato di Delia, disperso in guerra, che dimostra nei confronti della futura nuora atteggiamenti che solo un vampiro con tendenze da stalker potrebbe avere. Per non parlare della sorella di Alfonso alla quale qualcuno dovrebbe dare qualche dritta sul concetto di solidarietà femminile.

E poi ci sono “le zitelle”, un gruppetto di donne che vivono in un ambiente che le vorrebbe sposate e dome, ma il cui stato civile le relega invece alla periferia della società e concede loro un margine di azione superiore e diverso da quello delle donne maritate. Un insolito nucleo muliebre questo che indaga, osserva, contrappunta, scopre, rivela e commenta l’azione assumendo così le dimensioni, il carattere, il fatalismo amaro, l’ottimismo claudicante, i toni e la funzione di un coro da tragedia greca.

Insolita, se confrontata con le usuali descrizioni di regione solare e assolata cui siamo abituati, è la Sicilia descritta dalla Tomasi. Dura, arcaica, tagliente come una pietra, invernale (o autunnale nei casi migliori), con fenomeni atmosferici aggressivi, sfiancanti e stordenti come pioggia, vento, neve.

Curiosa è la genesi di questo romanzo. La prima edizione risale al 1999, ma la stesura della vicenda ha origini più lontane nel tempo. Scopriamo nella postfazione, infatti, che la storia narrata è autobiografica e la prima versione risale addirittura agli anni ’50 con un altro titolo Ira a Sud ed era raccontata in prima persona.

Si è poi passati a una seconda (e a ulteriori possibili titoli come L’altro aspetto) narrata in terza persona, dove tra le altre cose i personaggi avevano nomi diversi. Altre rielaborazioni del testo che hanno accompagnato Bibi Tomasi per tutta la sua esistenza. L’edizione che possiamo leggere oggi, invece, è curata dalla scrittrice, giornalista e traduttrice Margherita Giacobino che illustra bene le evoluzioni del romanzo, conducendoci passo a passo in una lettura sinottica dei vari adattamenti che si sono succeduti nei decenni.

Il Dito e la Luna (casa editrice specializzata in tematiche femministe e lesbiche, che negli anni ha pubblicato romanzi di Dorothy Allison e Leslie Feinberg, le poesie di Renée Vivien e raccolte di saggi e di scritti di autrici quali Audre Lorde, Valerie Solanas e Marie-Jo Bonnet, N.d.A.) impreziosisce questo romanzo regalando alle lettrici e ai lettori anche due capitoli inediti della prima versione, che meglio ci fanno capire le trasformazioni del testo e la personalità della Tomasi che non è stata solo un’apprezzata scrittrice ma anche poetessa, fotografa, attivista, nonché una delle fondatrici della Libreria delle Donne di Milano e della rivista Aspirina (ora Erbacce).