Il testo base della legge Zan contro l’omotransfobia e la misoginia è approdato alla Camera, ma la presenza dell’espressione “identità di genere” ha scatenato reazioni contrarie da varie parti. Abbiamo chiesto una spiegazione sui pericoli insiti in queste opposizioni e la posizione sul tema da parte della comunità T.

Questo articolo senza aggiunte qui presenti è già apparso su https://progettogenderqueer.wordpress.com/blog/

 

 

La proposta di legge dell’onorevole Alessandro Zan per proteggere le persone LGBT dalla discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere sta subendo i soliti attacchi clerico-fascisti, a cui si unisce un “coro” gender critical di persone (spesso eterosessuali) che vorrebbero far saltare la legge, e di persone (spesso omosessuali) che vorrebbero “semplicemente” eliminare “identità di genere”, per sostituire questo termine col più rassicurante ed eteronormativo “transessuali”. Vediamo quali sono i motivi per cui questa modifica sarebbe sbagliata.

La transessualità è un concetto “psichiatrico” e deprecato dalla comunità T

La comunità T da decenni depreca “transessuali”, termine nato in ambiente eteronormativo per descrivere la condizione di “varianza di genere” come patologica. La comunità T preferisce termini come gender variant o transgender. Una delle battaglie del movimento transgender è quella per la depatologizzazione, battaglia già affrontata dagli e dalle attivisti/e omosessuali per quanto riguarda l’omosessualità, in passato considerata malattia mentale dal DSM e dall’OMS.

 

Al risultato ottenuto dalla comunità omosessuale trent’anni fa si è finalmente avvicinata la comunità transgender: a partire dal 2022 la nuova definizione di incongruenza di genere metterà la parola “fine” alla patologizzazione delle persone transgender, com’è stato stabilito con la revisione dell’ultima versione dell’ICD dell’OMS.

Non è richiesto un “diploma di gay/lesbica”, perché chiederlo alle persone transgender?

Se una persona gay, lesbica, bisessuale dovesse denunciare un abuso non verrebbe chiesta “prova” di omo/bisessualità. Non siamo in Medio Oriente, non controllano il fondoschiena per avere la prova che uno sia “gay” (non certo per tutelarlo!).

Perché, invece, dalle persone transgender ci aspettiamo un “diploma”? Che poi… magari fosse un diploma: è un certificato patologico, frutto di una mentalità eteronormativa in cui il “normale” certifica la persona transgender, non tanto la sua identità di genere (ammesso che sia certificabile dall’esterno e che non possa semplicemente essere autodeterminata), ma il suo “soffrire di disforia”. È come se alle persone gay, ormai emancipate da questa situazione formalmente dal 1990, ma in realtà da molto prima, si chiedesse un certificato in cui affermano di “soffrire di omosessualità”.

Perché togliere “identità di genere” e non togliere “orientamento sessuale”?

Sembra che non sia in discussione “orientamento sessuale”. Sembra che nessuno voglia sostituirlo con “gay e lesbica”, e se la sostituzione riguardasse solo l’identità di genere, la legge presenterebbe una grave asimmetria oltre che delle fallacie logiche.

 

Il fatto che non vengano nominati gay e lesbiche, ma che si parli di “discriminazioni per orientamento sessuale” tutela chiunque sia discriminato “per” questa tematica, quindi un bisessuale per esempio (che non rientra strettamente nella parola “omofobia”, e che non è detto che sia discriminato solo dagli etero), ma anche un/una etero “di ruolo di genere non conforme” che fosse scambiato per gay.

Se nella legge fosse quindi sostituito il concetto di “orientamento sessuale” con “i gay e le lesbiche”, un etero con tanto di moglie e fede nuziale al dito che fosse aggredito perché indossa un paio di pantaloni rosa, e quindi con una “motivazione omofoba”, non potrebbe ricorrere alla legge in quanto “non gay”. Questa impostazione fa sì che non sia punito l’aggressore (perciò il suo comportamento omofobo), ma sia quasi la vittima che deve “dimostrare” di essere qualcosa per poter essere tutelato.

Fare leva sul “movente” della discriminazione e non sull’effettiva identità/orientamento del soggetto è una logica virtuosa che potrebbe portare, se fosse lasciato “identità di genere”, a proteggere sia le persone che effettivamente sono T sia quelle che potrebbero sembrarlo a chi agisce transfobia. Che senso ha “peggiorare” il linguaggio inclusivo dell’attuale proposta di legge?

“Transessuali” non tutela tutte le persone T, forse meno della metà

Una legge deve essere pensata per proteggere le persone LGBT che porterebbero un oppressore davanti a un giudice. Per la maggior parte dei giudici, “transessuale” indicherebbe la persona all’interno del percorso medico-legale, con tanto di “perizia” e di medicalizzazione del corpo.

 

Ci sono persone però che questo percorso non possono farlo (per ragioni fisiche, ma non solo), che sono troppo giovani per farlo (ma già visibilmente “gender non conforming”), o che non desiderano farlo (perché, pur essendo T, non desiderano un cambiamento chirurgico o anche solo ormonale). Le persone che rientrano in queste categorie, di solito, hanno un peggior passing e quindi sono più riconoscibili come transgender e maggiormente esposte a mobbing, bullismo e discriminazioni.

Inoltre, anche se non si crede che sia così, sono una grandissima fetta di popolazione T e non binary. Si pensi agli adolescenti di “genere non conforme” se bullizzati per la loro “androginia”, tanto da desiderare il suicidio. Sarebbe giusto lasciarli sforniti da quest’arma di difesa contro la transfobia solo perché non sono sul “binario” di un percorso medico-legale?

Il tentativo di “schiaffeggiare” il movimento culturale T, la retorica dei “poveri derelitti”

Un certo tipo di femminismo e di movimento gay maschile “gender critical” desidera “schiaffeggiare” l’attivismo T che tanta cultura ha fatto sul concetto di identità di genere. È comodo, per molti, considerarci dei “poveri transessuali”, nati nel corpo sbagliato, dei “derelitti” da proteggere dagli sputi e dalle botte dei protettori.

 

Se però smettiamo di essere “i transessuali” e diventiamo dei fier* portatori di un’identità di genere variante, se siamo autori, contestatori del percorso canonico, se alziamo la testa contro il “transificio” dei professionisti che vorrebbero lucrare sui nostri corpi e cambi di nome/genere, se iniziamo a dare fastidio a qualcuno che va oltre “il pappone”, se possiamo dare fastidio anche a loro (autori binari, biologisti e “omonormativi”) allora qualcun* vuole che nessuna legge ci protegga.

Come il cattolico vuole continuare a dire che i gay sono malati senza che una legge lo possa punire, la TERF e il gay “gender critical” vuole continuare a dire che il fidanzato di un FtM è un etero, la compagna di una donna MtF è una etero, che una donna T non è una donna, che un uomo T è una donna, e così via.

Vogliamo continuare a dare queste “garanzie” a chi, con belle e sofisticate parole “di sinistra”, esercita transfobia?