L’editoria italiana rivolta alla gioventù presenta una positiva ma timida apertura alle tematiche LGBT. I libri per bambini e bambine però sono scelti e comprati dai genitori o da persone adulte principalmente eterosessuali. Che cosa succede quando parlano di sviluppi atipici dell’identità di genere?

 

Recensire libri per ragazzi/e o bambini/e pensati da persone adulte eterosessuali che decidono in autonomia o su richiesta di una casa editrice di trattare di temi legati all’orientamento sessuale o all’identità di genere, per me rappresenta una scelta e un’impresa ardua. Ne ho già stroncato uno perché lo ritenevo pericoloso per il modo in cui tratta le terapie riparative, ed elogiato un altro che racconta di Alan Turing come scienziato e come omosessuale.

Quando l’ufficio stampa di la Margherita Edizioni, che ha appena pubblicato Max e Giulia – Una storia di disforia di genere di Fulvia Degl’Innocenti (giornalista che collabora tra l’altro per l’Avvenire e Famiglia Cristiana) con le illustrazioni di Elena Pensiero, mi ha contattato per prenderlo in considerazione, ho pensato di abbinarlo a Buffalo Bella di Olivier Douzou (ed. Settenove).

Un’indicazione dell’autrice però mi ha fatto scoprire Nei panni di Zaff di Manuela Salvi con le illustrazioni di Francesca Cavallaro (ed. Fatatrac), e con una ricerca in rete sono approdato a Julián è una sirena di Jessica Love (ed. Franco Cosimo Panini). Quattro testi che parlano, in modo diverso tra loro, di bambine che si sentono maschi e di bambini che vogliono essere femmine, o di quattro persone piccoline che vogliono essere loro stesse liberamente.

Fino a qui sembra facile, ma esaminarli e parlarne è come tentare un tuffo con doppio carpiato con la speranza di non andare a schiantarsi all’impatto con l’acqua della piscina. È per questo motivo che prima di pubblicare quest’articolo ho deciso di farlo leggere in anticipo e commentare in privato da Monica Romano, presidente di ACET Associazione per la cultura e l’etica transgenere, che per Pridemagazine ha scritto di questo tema molto complesso.

Non ho idea, invece, di chi sia Eloisa che riceve un ringraziamento speciale per i “preziosi consigli” dati per Max e Giulia, e quali competenze abbia. So che è una donna transgender, perché me lo ha detto al telefono l’autrice, ma essere una persona LGBT non basta per avallare con cognizione di causa il contenuto di un libro a tema LGBT.

Essendo io un uomo biologico gay senza figli avrei preferito non dire nulla sulla questione dei bambini gender variant o gender creative che presentano una disforia di genere, perché non mi può competere. Ne posso parlare naturalmente, ma non dovrei prendere la parola, perché non è un’esperienza che ho vissuto in maniera diretta. Mi è solo capitato di iniziare a capirci qualcosa vedendo film come La mia vita in rosa di Alain Berliner, la miniserie TV britannica Butterfly, il recente documentario Petite fille di Sébastien Lifshitz per esempio, e pubblicando due articoli con punti di vista L e G.

So anche che adesso “disforia di genere”, vecchia classificazione patologica, è una definizione da evitare in quanto politicamente sconveniente. La nuova classificazione dell’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, ha depsichiatrizzato la condizione transgenere e non la considera più una malattia mentale, bensì un disturbo della salute sessuale.

“Disforia di genere” però è presente sulla copertina di Max e Giulia pur non essendo un racconto medicalizzato o medicalizzante del/la protagonista. Poiché un analogo sottotitolo ha creato problemi di promozione a un altro libro che parla dello stesso argomento e che abbiamo recensito qui, si può suggerire di toglierlo o di cambiarlo in caso di futura ristampa.

Comunque è impossibile evitare, si rischia di rasentare la censura, che persone altre da noi parlino di noi o per noi. Persone cisgender eterosessuali possono parlare di tematiche LGBT e farlo in cattiva fede, come quando il quotidiano la Verità scrisse che la rivista Pride aveva inventato l’omocausto, o in buona fede come ritengo sia il caso di Max e Giulia e di Buffalo Bella, che ho entrambi letto.

Questi due brevi volumi si avvicinano con delicatezza e dolcezza al tema, però a mio avviso fanno solo un mezzo passo che non è falso, ma che fa “solamente” capire che è importante essere ciò vogliamo essere senza vergognarcene e le altre persone ci devono accettare. Se in generale da bimbe essere scambiate per un maschio non è tanto grave e magari ci si scherza sopra, ben diverse sono le reazioni se le parti sono invertite.

La realtà è che un/a bambino/a o un(’)adolescente che presenta o si affaccia alla variazione di genere entra, e fa entrare la sua famiglia, in un labirinto dal quale ne può uscire con una diagnosi che lo porterà a valutare se prendere farmaci bloccanti della pubertà, o magari solo a sentirsi transgender senza sentire il bisogno di ormoni né di ricorrere alla medicalizzazione del corpo, la condizione “trans-no med“.

Oppure scoprirà di essere un ragazzo gay “effeminato” o una ragazza lesbica “maschiaccia” che ha passato una fase di ricerca di sé per auto-identificarsi. Va benissimo così in ognuno di questi casi, però nessuno di questi casi si può semplificare con una favola. Se letta all’infanzia denota apertura mentale, ma in casi specifici (si stima attorno all’1%) non aiuta chi di quell’infanzia con una variabile incognita nell’equazione della crescita se ne prende cura. Per capire consiglio questa intervista scientifica con consigli ai genitori.

Sul sito della casa editrice la presentazione di Max e Giulia dice “Quella che l’Orango Rosa propone nel nuovo libro della collana è la storia di Giulia, una bambina dalle guance rosse e dagli occhi grandi, che guardano il mondo curiosi. Giulia non ama le bambole, né le gonne o le calze lunghe, e preferisce giocare con la sua automobilina rossa, che ha voluto a tutti i costi. Si sente molto più a suo agio indossando jeans e maglietta anziché calze lunghe che pungono e gonne che la fanno sentire strana. Quando va in piscina, vorrebbe entrare nello spogliatoio riservato ai maschi, ma Matteo e Viki, i suoi genitori, davvero non capiscono il suo comportamento.

Spesso, quando si guarda allo specchio, Giulia si sente triste, eppure non sa come far comprendere il suo disagio ai genitori. Vorrebbe solo smettere di sentirsi imprigionata nel corpo sbagliato… ed essere chiamata Giulio. L’unico a capirla senza porsi il problema di giudicare è il suo cane, Max, che è anche il narratore di questa storia”.

I suoi genitori dopo un primo momento di spaesamento lo accettano senza problemi, e vissero insieme felici e contenti e soprattutto senza ansie né paure, beati loro. La storia finisce con un messaggio dell’Editore. “Questa era la storia di ‘Max e Giulia’. Ora però, dobbiamo cambiare il titolo perché è diventata la storia di ‘Max e Giulio’. Non tutti i bambini come Giulio hanno una storia uguale: non per forza amano le macchinine rosse e odiano le bambole. Ma i bambini come Giulio hanno una cosa in comune: quando si guardano allo specchio non si riconoscono, spesso si sentono ‘imprigionati’ e ciò li fa sentire tristi. Per fortuna esistono amici come Max, che sanno ascoltare il cuore e le emozioni delle persone a cui vogliono bene.

La storia di Giulia ha un lieto fine, perché Max è una spalla forte e Viki e Matteo compiono lo sforzo calarsi nei panni della figlia, provando a capire i motivi che la portano verso una scelta così decisa. L’Orango Rosa però sa che questo genere di epilogo non è la regola e si augura che questa storia possa aiutare altri bambini che vivono la stessa situazione.”

Nella realtà non ci si può affidare a un cane, ci vuole per esempio un servizio come il S.A.I.F.I.P. – Servizio per l’Adeguamento tra Identità Fisica e Identità Psichica dell’ospedale San Camillo Forlanini di Roma, ma esistono strutture al riguardo in molte altre città italiane. Sarebbe alquanto opportuno indicarlo sempre in caso di ristampa. Anche sui “ruoli di genere” (le bambole alle bambine e le macchinine ai bambini) sarebbe opportuna qualche spiegazione aggiuntiva.

Buffalo Bella è presentato così. “Ci sono persone che nascono e crescono sicure della propria identità – maschile o femminile – e il loro modo di vivere e comportarsi corrisponde alle aspettative del resto del mondo.

Ci sono persone, invece, che percepiscono di essere «altro » rispetto a ciò che appaiono e il loro modo di vivere più autentico e naturale non corrisponde a nessuna delle aspettative che la società ha su di loro.

Questa è la storia di una bambina appassionata di cowboy, che si diverte a confondere il lui e il lei, che qualcuno chiama Annabil, parafrasando Buffalo Bill, mentre lei preferisce farsi chiamare Buffalo Bella.È un lui o una lei?

Se da bambina la confusione sembra un gioco buffo, crescendo la questione diventa tutt’altro che frivola.

Giocando con le rime e con le parole, Olivier Douzou e la traduzione italiana di Giusi Quarenghi narrano i dubbi di una bambina alla ricerca della propria identità.

Le vocali maschili, femminili e neutre, «o», «i», «a», «e», «u» sono sempre in grassetto, facilitando la lettura. Le illustrazioni, realizzate in nero, a matita grassa, evocano la ruvidità della narrazione e la sfocatura dell’identità che si va definendo.

Un libro raro, che ha avuto un grande successo in Francia, in grado di affrontare uno dei temi più spinosi e meno conosciuti della nostra epoca con poesia e serenità”.

Se “elle” di Buffalo Belle in francese indica “lei”, in italiano ella/egli denotano uno stile ricercato, e la traduzione pur se lirica è ermetica: secondo me una persona, piccola o grande che sia, non capisce che si parla di transessualità infantile. C’è bisogno d’informazioni più approfondite per poter usare il libro al meglio. La varianza di genere in età evolutiva, infatti, può essere mobile e il fattore temporale conta. Chi mostra tendenze tipicamente assimilabili a essa potrebbe non manifestarle in età adolescenziale o adulta. In ogni caso le difficoltà sono dietro a ogni angolo basta pensare ai parenti, agli amici, alla scuola ecc.

Considerando che anni fa a nessun editore veniva in mente di trattare questi temi, tanto di cappello a queste iniziative. Resto però convinto che prima di avvicinarvisi è più che opportuno, direi doveroso, informarsi e soprattutto informare correttamente, perché nelle favole tutt* vissero felic* e content*, ma nessun* spiega come ci riescano…

Una nota finale. La marca di prodotti per capelli Pantene, che anche in Italia ha promosso un’operazione di inclusione e sostegno della comunità transgender, per la sua recente campagna pubblicitaria negli Stati Uniti presenta una famiglia con due mamme lesbiche e la loro giovane figlia trans che spiega che ha lasciato crescere i capelli per dare libero corso alla sua espressione di genere. Sarebbe meraviglioso vedere questo spot anche nelle televisioni italiane, ma per ora da noi resta un’idea da… fantascienza.