Terza età e condizione LGBT è un binomio che tendiamo a nascondere sotto lo zerbino, eppure riguarda chiunque di noi prima o poi. L’opera prima di un regista italiano che vive in Francia, candidata dai nostri cugini d’oltralpe ai premi Oscar 2021 per il miglior film straniero, alza un velo su un tema poco esplorato dal cinema generalista: l’amore lesbico tra due donne mature.

 

La riapertura delle sale cinematografiche dopo tanti mesi, a causa delle precauzioni messe in atto per contrastare la diffusione del Covid-19, è una ventata di aria fresca non indifferente, e sorprende piacevolmente che tra i primi titoli in proiezione ci sia il film a tematica lesbica Due di Filippo Meneghetti.

Questo numero lasciato “da solo” nel titolo mi suggerisce la condizione di nascondimento che come persone omosessuali abbiamo vissuto per decenni. Vite sottotraccia per proteggerci da una società che non accettava o tollerava a malapena le nostre esistenze, e per cui era inconcepibile che potesse esistere amore autentico tra due persone dello stesso sesso. Può sembrare strano, ma anche i concetti di “coppia gay” o di “coppia lesbica” alla luce del sole li abbiamo conquistati, ed è da qui che sono poi nate l’idea e la realtà delle odierne famiglie arcobaleno.

La pellicola narra di una relazione affettiva e di reciproca cura tra due donne settantenni che tutti pensano siano solo vicine di casa molto amiche tra loro. Una trama che, mescolando stilemi del melodramma e del thriller, le pone a un certo punto al bivio tra continuare l’autocensura gestendo la paura del rivelarsi agli altri per quello che si è, si è fatto, si vive nel quotidiano, e la libertà di autodeterminarsi.

Nina e Madeleine formano una coppia in segreto da dieci anni, perché Madeleine era sposata, è rimasta vedova e ha due figli grandi e un nipote molto giovane. Se il rapporto con la figlia e il nipote è molto affettuoso, il figlio non ha mai digerito la freddezza che la madre provava nei confronti del marito.

Le due protagoniste vivono in un paese della provincia francese e stanno programmando di vendere i loro due appartamenti in dirimpetto sullo stesso piano per trasferirsi a Roma, città dove si erano conosciute e innamorate molti anni prima. Per fare questo però Madeleine deve fare coming out con la famiglia ma non trova mai il coraggio bloccata da sensi di colpa e vergogna. La pressione e l’ansia cui la sottopone Nina, donna tedesca con una mentalità molto più pragmatica e aperta, saranno la concausa di un improvviso ictus che sconvolgerà i piani e la loro routine quotidiana.

Il loro amore non visibile, infatti, inizia a essere messo a dura prova: Nina si ritrova di punto in bianco esclusa dalla vita di Madeleine ed è vista come un’intrusa di cui non si capiscono le azioni, nessuno sapendo che è la persona che la conosce meglio di chiunque. La presa in cura di una badante prima e il ricovero in una struttura medica in seguito peggioreranno le cose, fino a quando la figlia di Madeleine, scoprendo finalmente la verità, si trova a confrontarsi con imbarazzo e senso di tradimento e davanti alla necessità di capire e accettare la realtà delle cose, venendo a patti con segreti familiari inconfessati.

Due è un film d’autore impegnativo e di evidente qualità, ma mi pone anche domande sul fatto che sono occhi maschili, etero o gay poco importa, che interrogano la vita e il desiderio parlando di esperienze femminili che non potranno mai vivere direttamente in prima persona. Come però ho scritto in un altro articolo, è impossibile e sarebbe sbagliato evitare che persone non LGBT raccontino di noi, e lo possono fare bene o male, in buona o cattiva fede tanto quanto lo potrebbe fare o lo fa chi appartiene di diritto alla comunità arcobaleno. 

Non è un’osservazione lapalissiana considerando il dibattito che sta nascendo nell’industria cinematografica sull’opportunità che attori e attrici etero continuino a recitare parti LGBT, o la riflessione che propone Disclosure, il documentario Netflix che affronta il tema della rappresentazione delle persone transgender nella storia dei media, dimostrando come lo sguardo della cinepresa sia sempre stato impietoso nei loro confronti.

Considerando, inoltre, che di solito le nostre tematiche girano principalmente solo nel ristretto circuito dei festival di cinema LGBT, presentare Due a un pubblico generalista italiano è ancora un vero e proprio miracolo culturale, come era già accaduto nel 2018 quando nelle sale approdò Le ereditiere del regista paraguaiano Marcelo Martinessi, anch’esso con attrici che offrono un’interpretazione magistrale di due donne lesbiche in terza età.

Chela e Chiquita sono due sessantenni che formano una coppia di fatto lesbica che sta insieme da trent’anni, ma nascosta in una società sudamericana maschilista e reazionaria. Nate entrambe in famiglie agiate, sono cadute economicamente in disgrazia e si trovano costrette a mettere in vendita tutto quello che possiedono in casa, dai mobili all’argenteria e i quadri. Un incontro fortuito con una giovane donna permetterà a Chela di improvvisarsi tassista per sbarcare il lunario, accompagnando le ricche signore borghesi del circondario che si riuniscono il pomeriggio per le loro partite a carte. Questo e altro a insaputa di Chiquita che è finita temporaneamente in prigione per un debito non pagato.

La questione della (sotto)rappresentazione al cinema, soprattutto femminile, è talmente importante e complessa da aver fatto nascere nel 2019 LesFlicks, un portale inglese di video su richiesta pensato da e per un pubblico di donne lesbiche, bisessuali, queer, di cui abbiamo parlato qui.

Sempre in Gran Bretagna, l’intimità erotica tra persone over 60 inizia a rompere la breccia del tabù grazie alla campagna sociale promossa dall’organizzazione benefica Relate che offre terapia relazionale e consulenza per coppie, famiglie e giovani. Intitolata Let’s Talk the Joy of Later Life Sex è stata eseguita gratuitamente dal fotografo di moda Rankin che ha immortalato in raffinato bianco e nero cinque coppie di persone anziane (di cui una di uomini gay), “segmento di mercato” che si trova di rado ritratto nei media e nella pubblicità.

“Abbiamo tutti bisogno di intimità ora più che mai. L’età è davvero solo un numero”, dice il fotografo che aggiunge: “Questa campagna si proponeva di rompere le convenzioni, e l’ha fatto. Sia davanti che dietro la telecamera”. Applausi a scena aperta.