Una musicista di enorme talento militò nella resistenza olandese contro l’invasione nazista durante la seconda guerra mondiale. Era ebrea da parte di padre, lesbica e insieme a un amico gay salvò la vita a migliaia di persone innocenti. Questa è la sua incredibile storia.

foto: Frieda Belinfante dirige l’orchestra e il coro dell’Università di Amsterdam, 1937 (proprietà USHMM – 48758)

 

Poiché la Storia è scritta dai vincitori e spesso e volentieri si dimentica dei protagonisti secondari, la comunità LGBT ha imparato l’assoluta importanza di redigere e trasmettere la propria, andando a scoprire e valorizzare le gesta di eroine ed eroi che spesso non hanno cambiato in meglio solo le nostre esistenze, bensì quelle di chiunque.

Nel documentario trasmesso in Gran Bretagna a inizio marzo dal canale Channel 4 Stephen Fry: Willem & Frieda – Defying the Nazis, l’attore, scrittore, presentatore TV, militante gay famosissimo in patria, racconta di come è venuto a conoscere le azioni di Willem Arondéus e Frieda Belinfante, apertamente omosessuale lui e lesbica lei negli anni ’30 del XX secolo, che unirono i loro talenti e rete di contatti per combattere la Gestapo. Willem morirà fucilato e le sue ultime parole saranno: “Dite al mondo che gli omosessuali non sono codardi”, Frieda si salverà in maniera rocambolesca.

Nacque ad Amsterdam il 10 maggio 1904 in una famiglia di origini ebraiche sefardite da parte di padre (motivo per cui il cognome è ispanico), prominente pianista, mentre la madre era una gentile. Iniziò lo studio del violoncello a 10 anni e da ragazzina era presa in giro per le dimensioni delle sue mani. Chi la derideva però non poteva immaginare che in futuro quelle stesse mani avrebbero suonato egregiamente, condotto orchestre, incitato alla resistenza e tenuto testa al nazismo.

Nel 1937 divenne la prima donna in Europa a ricoprire il ruolo di direttore artistico e direttore di un ensemble professionale, la Het Klein Orkest, incarico che mantenne fino a quando l’occupazione tedesca dei Paesi Bassi nel 1940 interruppe la sua carriera musicale che riprese solo al termine della seconda guerra mondiale. Numerosi intellettuali e artisti furono ostacolati durante quel periodo per i motivi più svariati, e dal momento che Frieda era omosessuale e aveva un padre ebreo si sentì ovviamente chiamata in causa.

Frieda Belinfante

Forte del suo spirito combattivo si mise in azione e dopo aver fatto amicizia con l’illustratore Willem Arondéus, insieme al gruppo partigiano noto come CKC iniziò a falsificare documenti di identità. Era un’attività molto pericolosa, punibile con la morte, che richiedeva anche molto denaro. Quando la Resistenza iniziò a esaurire i fondi, lei decise di chiedere aiuto a Henry Heineken che gestiva la nota azienda di produzione della birra.

L’imprenditore appassionato di musica faceva parte del consiglio di amministrazione dell’orchestra Concertgebouw, per la quale aveva suonato. Heineken si rivelò propenso ad aiutarla, ma aveva le mani legate in quanto qualunque prelievo bancario importante sarebbe stato controllato dai nazisti. Frieda allora ebbe un’idea geniale: gli avrebbe venduto l’adorato violoncello a una cifra enorme, cento volte superiore al valore reale.

Willem Arondéus

Quando il CKC si rese conto che per continuare a falsificare documenti di identità senza problemi era necessario distruggere quelli originali in modo che non fosse possibile un eventuale confronto, bombardarono gli archivi dell’anagrafe presenti nel municipio della città nel 1943. I tedeschi come conseguenza si vendicarono pesantemente e iniziarono ad arrestare i membri del gruppo. Frieda si rese conto che era ora che scomparisse, soprattutto dopo un’irruzione nella sua casa.

La Belinfante riuscì a fuggire assumendo l’identità di un uomo e andando in giro vestita con abiti maschili per tre mesi. Il suo travestimento era talmente convincente che persino la propria madre non la riconobbe quando la incrociò per strada. Nel momento in cui la rete su di lei si strinse ulteriormente, la musicista fu costretta a fuggire all’estero, e dopo varie peripezie riuscì a rifugiarsi in un campo profughi in Svizzera, dove cercò di rallegrare la triste atmosfera del posto offrendo lezioni gratuite di violoncello.

Frieda vestita da uomo

Frieda fu rimpatriata nei Paesi Bassi non appena terminata la guerra. Rimasta delusa dallo scarso riconoscimento che i membri della Resistenza ricevevano in patria, nel 1947 decise di emigrare negli Stati Uniti. Dopo una breve sosta a New York, città da lei ritenuta troppo grande, viaggiò per gli USA con il suo violoncello originale che aveva riacquistato.

Finirà con stabilirsi a Laguna Beach in California, dove continuò a dirigere orchestre con successo, anche se spesso vittima di pregiudizi legati al suo genere e al suo orientamento sessuale. Nel 1987 l’Orange County e la cittadina di Laguna Beach hanno designato il 19 febbraio come “Frieda Belinfante Day” per onorare il suo contributo alla cultura musicale.

Un precedente documentario su di lei dal titolo ...But I Was a Girl: The Story of Frieda Belinfante era stato prodotto negli Stati Uniti nel 1999 per la regia di Toni Boumans, in cui parla dell’impatto della Shoah sulla sua vita e della sua posizione di donna lesbica all’interno della Resistenza olandese.

Pioniera, radicale, combattente, nel corso della sua vita la Belinfante dovette affrontare pregiudizi e persecuzioni di vario tipo sia per il suo orientamento sessuale sia per le origini ebraiche sia per il ruolo di direttrice d’orchestra in un mondo ancora dominato dagli uomini. Affrontò ogni attacco a testa alta, con la sicurezza di essere sempre nel giusto e guidata dal motto “Se penso di poterlo fare, vuol dire che posso farlo”.

Morta di cancro nel 1995 all’età di 90 anni, esistono più di tre decenni di recensioni critiche a livello internazionale che documentano le sue doti musicali superlative. Ora che la sua eredità ispiratrice è stata finalmente riscoperta, anche la sua figura come attivista e icona LGBT rimarrà per sempre viva, come una musica infinita capace di echeggiare attraverso il tempo e lo spazio.

 

Maggiori informazioni sul sito Music and the Holocaust

Questo articolo in versione ridotta è già stato pubblicato su Barnebys Magazine