Un film biografico rende omaggio e fa scoprire alle nuove generazioni e al grande pubblico uno dei grandi protagonisti, insieme con altri donne e uomini, della nascita del movimento LGBT italiano all’inizio degli anni ’70. Una storia che s’interseca con gli eventi di uno dei decenni più oscuri della nostra nazione.

 

Il quinto lungometraggio di Andrea Adriatico Gli anni amari, incentrato sulla figura di Mario Mieli, uno dei primi attivisti gay italiani e tra i più importanti di sempre, doveva uscire nelle sale cinematografiche il 12 marzo scorso. La data fu scelta intenzionalmente perché coincideva con quella del suo suicidio avvenuto il 12 marzo 1983 ma il lockdown causato dal virus Covid-19 purtroppo ha fatto saltare la distribuzione.

 

La pellicola vuole anche raccontare l’atmosfera dei cosiddetti “anni di piombo” (da cui l’allusione nel titolo: l’uccisione di Pier Paolo Pasolini o il sequestro di Aldo Moro sono due esempi), che nel nostro paese si snodano lungo il decennio del 1970 in parallelo allo sviluppo delle lotte moderne per i diritti civili LGBT, nate a seguito delle rivolte di Stonewall e della conseguente creazione del Gay Liberation Front negli Stati Uniti. Due semi gettati nel vento della Storia, che germoglieranno con costanza e di anno in anno in un numero sempre più grande di città e nazioni in ogni continente, non solo con i cortei dei pride.

Il pensiero e l’azione di Mario Mieli (militante, intellettuale, scrittore, performer…) furono talmente poliedrici, rivoluzionari e coraggiosi al limite dell’incoscienza, che sarebbe stato oggettivamente impossibile racchiuderli del tutto in un film che comunque dura 112 minuti. Gli sceneggiatori sono riusciti a evitare un tono da documentario mescolando, invece, reali episodi fondamentali della sua vita con ricostruzioni plausibili di quello che deve essere avvenuto come per esempio le dinamiche familiari.

La pellicola inizia al liceo classico Giuseppe Parini di Milano con un giovane Mario, studente già consapevole e sfrontato omosessuale che si diverte a usare la sua acuta intelligenza e profonda cultura per provocare chi incontra sul suo passaggio. È figlio di genitori benestanti, il padre era un industriale tessile di successo e la madre un’insegnante di lingue, penultimo di sette tra fratelli e sorelle. Mieli vive un rapporto complicato con la famiglia che, comprensibilmente in un’epoca in cui la parola omosessualità era ancora sinonimo di disturbo mentale, non sa bene come interagire con lui.

 

La regia di Adriatico osserva questi e altri aspetti chiave della sua breve esistenza come la vita notturna sfrenata e il viaggio a Londra dove avviene la scoperta dell’attivismo gay inglese; l’incontro con Corrado Levi (architetto e docente del Politecnico) e di un giovane Ivan Cattaneo (con cui nel 1975 condivise palco e invettive del pubblico al Festival del Proletariato Giovanile al Parco Lambro organizzato dalla rivista Re Nudo e dove gridò “oltre a battere dobbiamo combattere” e “lotta dura contronatura”); la contestazione, considerata lo “Stonewall” italiano, del 1° Congresso Italiano di Sessuologia a Sanremo organizzata dal Fuori! e la pubblicazione di Elementi di critica omosessuale con le prestigiose edizioni Einaudi (testo di non immediata lettura come i suoi articoli); le interviste televisive alla RAI e le sue ricerche su esoterismo e alchimia…

 

Mario Mieli riusciva a sedurre tutti coloro con cui entrava in relazione ma dietro la sfacciata “gaiezza” si nascondeva una solitudine che unita alla depressione, una malattia autentica, probabilmente lo porterà a decidere di togliersi la vita infilando la testa nel forno della sua abitazione a soli 30 anni.

Abbiamo chiesto a Nicola Di Benedetto, l’attore al suo debutto cinematografico che lo interpreta, come si è preparato per interpretare una persona così iconica per il mondo LGBT italiano ma anche così profondamente legata al suo tempo.

“Come ci si può approcciare a un personaggio dall’infinità cultura quale era Mieli? Studiando, solo così. Questo è stato il punto di partenza sul quale il regista Andrea Adriatico ha voluto lavorare come prima cosa.

Onde evitare di cadere nel macchiettismo, per non rimanere vittima solo dell’aspetto estetico, sul quale forse siamo troppo focalizzati oggi, è stato necessario riprendere in mano gli scritti fondamentali di Mieli, precursore e pioniere delle teorie di genere che solo oggi stiamo cominciando ad assimilare. Comprendere le motivazioni di quel travestitismo tanto eccentrico apre uno spiraglio del muro della nostra contemporaneità.

 

Interpretare Mario è stata un’opportunità unica per gettare uno sguardo al passato, a un’epoca dove le battaglie politiche erano comandate da esigenze sociali impellenti, ma soprattutto un’epoca in cui queste esigenze erano fortemente sentite. Oggi temo si sia affievolita la forza motrice che pretende il cambiamento, forse dovremmo ripartire proprio da questo. La ricerca della libertà e della felicità, che non sono il benessere, è il fine ultimo, spero che questo film sia da stimolo”.

Le sue parole fanno riflettere. Con gli occhi di adesso, in un mondo quasi soggiogato da Instagram e dai social media, Mario Mieli avrebbe avuto la stoffa dell’influencer? È politicamente più performante essere una “candela queer”, contro le norme ma destinata a spegnersi rapidamente, o essere un “falò LGBT” alimentato in continuazione dai passaggi generazionali e più conciliante verso il sistema?

Per usare un gergo in uso ai suoi tempi, andare in giro in centro a Milano da “travestita” (come faceva lui indossando gli abiti da sera i gioielli della madre) avrebbe ancora un impatto sovversivo, considerando la partecipazione al festival di San Remo 2020 di Achille Lauro di Gucci vestito? Uno dei pregi del film è sicuramente quello di saper suscitare molte suggestioni.

Chi ha conosciuto Mario Mieli mi ha detto che non era una persona facile e alcune sue provocazioni a un certo punto erano fatte cadere nel vuoto. Se molte persone ne condividevano valori e pensieri, come il fatto che l’unico problema degli omosessuali non era l’orientamento sessuale ma il rifiuto della società e la conseguente emarginazione, lui però aveva la sfacciataggine di manifestarli facendo rumore, come suggerisce l’omonima canzone di Raffaella Carrà che accompagna il trailer

Non penso che si offenderebbe se io lo definissi una Pazza con la p maiuscola e anche un Eroe, perché ci volevano non indifferenti dosi di follia e di temerarietà per attaccare un sistema culturale monolitico in cui qualsiasi forma di diversità o di devianza erano da annientare anche in modo violento e lui, pubblicamente e a più riprese, ci mise la sua faccia, la sua testa e il suo corpo “contro”, anche contro lo stesso movimento LGBT italiano che aveva contribuito a far nascere se lo considerò necessario.

Chissà come avrebbe affrontato l’arrivo della pandemia dell’AIDS e cosa avrebbe pensato di successive conquiste come unioni civili e matrimoni egualitari. Avrebbe storto il naso di fronte all’evoluzione contemporanea e capitalistica dei cortei dei pride? Non lo sapremo mai ma va detto comunque “Grazie Mario”, perché le nostre attuali libertà e felicità, pur se incomplete, le dobbiamo anche a lui.