L’Europarlamento ha inaugurato la “transizione etica”, esortando gli Stati membri anche al riconoscimento dell’omogenitorialità su tutto il territorio dell’Unione Europea. Gli USA rispondono con il “Respect for Marriage Act”, l’ultimo miglio della lotta per l’uguaglianza. E l’Italia cosa farà?

 

Un cambiamento epocale è in atto, e potremmo chiamarlo “transizione etica” in ossequio alla grammatica del PNRR. Tra i percorsi obbligati per la rinascita e la resilienza degli Stati membri della UE in seguito alla pandemia, infatti, sono state previste due transizioni urgenti e irrinunciabili: quella digitale e quella ecologica, sebbene quest’ultima sia funestata dalle conseguenze catastrofiche, economiche ed energetiche dell’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia.

Il 7 dicembre L’Europarlamento ha votato a maggioranza una nuova risoluzione che esorta gli Stati membri a rimuovere ogni ostacolo al godimento dei diritti fondamentali da parte dei membri della comunità LGBTQ+. La ratio della proposta, come spiega una nota di Bruxelles, è “incentrata sull’interesse superiore e sui diritti del bambino. La genitorialità stabilita in uno Stato membro dovrebbe essere riconosciuta in tutti gli altri Stati membri, senza necessità di ricorrere ad alcuna procedura speciale”. I “genitori dello stesso sesso” così come i “matrimoni o le unioni registrati in uno Stato membro, dovrebbero essere riconosciuti allo stesso modo in tutti i Paesi UE”, quindi anche “i coniugi e i partner dello stesso sesso dovrebbero essere trattati come quelli di sesso opposto”.

“Sono orgogliosa delle nuove regole sul riconoscimento della genitorialità presentate oggi nell’Unione Europea”, ha dichiarato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Vogliamo aiutare tutte le famiglie e i bambini che vivono tra uno Stato e l’altro. Perché se sei genitore in un Paese, sei genitore in ogni Paese”.

L’urgenza di promuovere questa transizione etica nasce dall’evidente disparità di trattamento e di tutela giuridica delle famiglie omogenitoriali, in particolare nelle nazioni più ostili alla comunità arcobaleno come Ungheria, Polonia e Romania. Anche l’Italia negli ultimi anni ha visto crescere l’insofferenza nei loro confronti, e sono ancora oggi vittime di una serie di cortocircuiti normativi che le rendono di fatto famiglie di serie B. Il tutto fomentato dalla Destra e dal Vaticano, e sposato da una larga fetta di elettorato.

Nel caso di specie, il paradosso che vivono questi nuclei familiari è che, in assenza di comuni regole sovrannazionali, lo spostamento da uno Stato diciamo “virtuoso” a un altro, rende automaticamente i loro figli degli apolidi, concretizzando una discriminazione inaccettabile.

“Sono circa due milioni i bambini ai quali è negato il rapporto giuridico con i genitori” nei casi in cui “il nucleo familiare si trasferisce in un altro Stato membro che non riconosce la genitorialità stabilita precedentemente dal Paese membro di origine. Questa situazione non è accettabile per la Commissione UE”. Sono parole del Commissario per la giustizia Didier Reynders, relatore della proposta contro la quale hanno votato, oltre ai tre Paesi citati – che in conseguenza delle loro politiche discriminatorie dovranno affrontare le temute procedure d’infrazione, tra sanzioni economiche e azioni giudiziarie – anche gli eurodeputati italiani di Fratelli d’Italia, della Lega nonché parte di Forza Italia, divisa tra favorevoli, contrari e astenuti. Viceversa su questo tema si è registrata una convergenza unanime di PD, M5S e di Italia Viva. La risoluzione è passata con 387 voti favorevoli, 161 contrari e 123 astensioni.

Didier Reynders

Non resta che attendere la reazione del governo Meloni, in particolare della Premier, dei suoi vice Antonio Tajani e Matteo Salvini, e della Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Maria Roccella, già portavoce del Family Day, paladina della cosiddetta famiglia naturale e in quanto tale protagonista di numerose esternazioni smaccatamente omofobiche che hanno fatto molto discutere.

Il Governo ha già espresso disappunto sulla decisione, anch’essa storica, del Tribunale di Roma, che accoglieva il ricorso di due mamme riconoscendo la “falsità”, sui documenti d’identità dei membri delle famiglie omogenitoriali, delle diciture “mamma” e “papà” come esige il Decreto Salvini, peraltro non ancora annullato dal Governo.

“La carta d’identità è un documento con valore certificativo”, ha dichiarato il giudice, “destinato a provare l’identità personale del titolare, che deve rappresentare in modo esatto quanto risulta dagli atti dello stato civile di cui certifica il contenuto. Ora, un documento che, sulla base di un atto di nascita dal quale risulta che una minore è figlia di una determinata donna ed è stata adottata da un’altra donna, indichi una delle due donne come ‘padre’, contiene una rappresentazione alterata, e perciò falsa, della realtà ed integra gli estremi materiali del reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico (artt. 479 e 480 cod. penale)”.

Anche le “azioni vincolanti” (fino al 2025) in materia LGBTQ+ promosse dall’ex ministra per le Pari opportunità Elena Bonetti e varate all’ultimo da Draghi prima di lasciare Palazzo Chigi sono state considerate un vero e proprio sgambetto dal nuovo Governo pur essendo espressione di un “processo condiviso” dall’ex Consiglio dei Ministri.

Recependo una raccomandazione non vincolante del Consiglio d’Europa del 2010, la norma regola quattro diverse fattispecie: l’educazione, il lavoro, la sicurezza (e le carceri) e i media (e la comunicazione). In sintesi, si blindano il congedo parentale dei genitori dello stesso sesso; nuovi incentivi alle aziende che assumono lavoratori e lavoratrici transgender; l’inserimento nei contratti collettivi di clausole anti discriminatorie; il controllo della rappresentazione mediatica della comunità LGBTQ+; il “doppio libretto” (carriera alias) per studenti e studentesse transgender universitari.

Infine, ma importantissimo in una fase storica in cui la deriva ultracattolica domina una larga parte della scena politica internazionale, le necessarie misure atte a contrastare i “trattamenti di conversione” ispirati alle teorie – tutt’altro che scientifiche – cosiddette riparative o di riorientamento sessuale.

Negli Stati Uniti, nemmeno una settimana dopo la risoluzione varata dall’Unione Europea, il presidente Biden, sostenuto anche da una componente repubblicana del Congresso, è riuscito a far approvare il cosiddetto Respect for Marriage Act, un pacchetto di norme che amplia la tutela dei matrimoni tra cittadini dello stesso sesso, oltre che di quelli interrazziali. Armonizzando le istanze della comunità LGBTQ+ con il principio della libertà religiosa, la nuova legge impone un compromesso importantissimo: il riconoscimento delle nozze egualitarie da parte di tutti gli Stati, anche in quelli che ancora esercitano la (legittima) facoltà di negare il rilascio delle licenze matrimoniali alle coppie arcobaleno. “L’America”, ha dichiarato Biden, “ha compiuto il passo finale per garantire l’uguaglianza di tutti”.

Va precisato che gli interventi della UE e dell’amministrazione USA, non devono considerarsi esclusivamente delle scelte spontanee frutto di una maturazione etica dei due continenti, né dei semplici atti dovuti finalizzati a riequilibrare l’evidente disparità di trattamento tra cittadini.

È aderendo nel 2015 all’Agenda 2030 – i cui principi sono stati recepiti nel 2020 anche dall’ambizioso progetto di rinascita e resilienza del Vecchio Continente attraverso il Next Generation EU – che tutti gli Stati membri dell’ONU si sono impegnati, tra i 17 obiettivi dirimenti per lo sviluppo sostenibile che riuniscono in un approccio olistico e integrato Ambiente, Economia, Istituzioni e Società, ad attuare nuove politiche volte a realizzare anche l’uguaglianza di genere.

Ciò detto, qual è la direzione che intende intraprendere l’Italia? Il 14 dicembre il deputato PD Alessandro Zan ha condiviso sui social un’interessante riflessione accostando gli scatti che immortalano da una parte Biden nel momento della firma del Respect for Marriage Act, e dall’altra Vladimir Putin che sigla l’ennesima legge contro la comunità arcobaleno russa con la quale diventa perseguibile – e perseguitabile (!) – ogni cittadino che osi anche solo pronunciare la parola “gay”, egli commenta: “Due immagini che ritraggono lo stesso gesto, eppure così diverse, a pochissimi giorni di distanza. E l’Italia da che parte vuole stare”.

La risposta è semplice e amara. In un momento in cui la convergenza del Bel Paese con l’Europa, non certo nelle corde di questo esecutivo, ma favorita dalla grave crisi energetica ed economica che stiamo vivendo, impone al Governo Meloni di seguire pedissequamente l’Agenda Draghi, salvo piantare bandierine ideologiche contro la comunità arcobaleno e “ripagare” talune categorie di elettori come no-vax, piccoli e grandi evasori ecc. con concessioni antieconomiche e inique (per esempio innalzamento al tetto dei contanti; reintegro del corpo sanitario non vaccinato; sospensione delle multe ai no-vax; disparità contributive e condoni fiscali), l’Italia si collocherà nel mezzo.

Sarà l’immobilismo ancora una volta la soluzione. In fondo, come disse Giorgia Meloni all’attivista arcobaleno Marco Marras quando a inizio settembre questi salì sul palco in cui la futura premier teneva il suo comizio davanti al pubblico cagliaritano: “Tu hai già le Unioni civili, quindi puoi fare quello che vuoi”.