Un bellissimo film premiato al Festival di Cannes denuncia il potere velenoso dei condizionamenti sociali a cui tutti e tutte siamo sottoposti, soprattutto come persone LGBT, e casualmente anticipa una tragedia avvenuta in Francia, dove un tredicenne si è suicidato per l’omofobia vissuta a scuola.

 

Il regista belga Lukas Dhont a soli 26 anni stupì il mondo con Girl, il suo primo lungometraggio in cui raccontava la storia di Lara, un’adolescente con la passione della danza classica che deve imparare a gestire il proprio corpo in attesa dell’operazione chirurgica di riassegnazione del sesso, perché è nata maschio e il suo nome di battesimo è Viktor.

Presentato al Festival di Cannes nel 2018 e vincitore della Caméra d’Or e della Queer Palm, Girl fu anche selezionato per rappresentare il Belgio ai premi Oscar 2019 nella categoria del miglior film in lingua straniera. A Cannes 2022 con il suo secondo film Close, storia di due tredicenni amici per la pelle che si confronteranno con il pregiudizio LGBT, il regista ha meritatamente vinto il Gran premio della giuria e, incredibile ma vero, è entrato nella cinquina selezionata per l’Oscar 2023 nella categoria “Miglior film in  straniero”.

È l’empatia il filo rosso che lega queste due narrazioni. La prima fa capire a chiunque le fasi iniziali della transizione di genere, tra terapie ormonali e continue consultazioni di medici e psicologi e la relazione della protagonista con il suo corpo che non accetta. La seconda, invece, racconta il peso delle percezioni degli altri verso di noi, con le pressioni mentali che ne conseguono.

In Girl la meravigliosa famiglia di Lara le è vicina e la sostiene in tutto e per tutto, ma nell’esclusiva accademia di danza dove è stata ammessa le sue coetanee non la capiscono e di conseguenza non la accettano per chi è, bensì per quello che proiettano su di lei. La disciplina della danza rimarca l’assoluta determinazione della protagonista nell’affrontare le sue decisioni (la sua felicità finale è anticipata da un’azione molto drammatica). Più complesso è gestire un clima di transfobia non giustificabile però “logico” in una società non ancora in grado di capire e sostenere le persone transgender.

Close, invece, pone lo sguardo sui preadolescenti Léo e Rémy, che vivono la loro amicizia in maniera quasi fusionale, raccontandosi di tutto e condividendo ogni emozione con un’intimità anche fisica che non ha niente di sessuale. Gli sguardi degli adulti di riferimento, i genitori di entrambi e il fratello grande del primo, sono benevoli e acconsenzienti e non vedono nel loro legame altro che tempo libero e avventure vissute in libertà. L’inizio dell’anno scolastico li vede anche compagni di classe in prima liceo, e sarà “l’effetto farfalla” che provocherà un dirompente uragano nelle loro giovani vite.

 

Il loro rapporto “troppo affettuoso”, infatti, non passa inosservato tra alcuni degli altri studenti che iniziano a pensare e a chiedere loro se stiano insieme come una coppia gay. Tra chi li accetta (le femmine) e chi inizia a prenderli di mira (i maschi) si inserisce l’incapacità, sia da parte dei ragazzini che degli adulti, di capire e gestire l’evolversi della situazione. Léo si spaventa del nuovo sguardo degli altri su si sé e inizia ad allontanarsi dal sensibile Rémy, che non capisce il repentino cambio di atteggiamento di quel “quasi fratello” con cui condivideva ogni cosa con tutta innocenza.

Il film procede lento e inesorabile verso la tragedia del suicidio di Rémy, vittima di un’omofobia che non è apertamente esplicitata, perché qui non è in gioco l’eventuale scoperta dell’orientamento sessuale dei protagonisti, quanto i conflitti provocati dal sentire di doversi conformare a dei ruoli di genere precostituiti per sentirsi inclusi dal gruppo, dalla difficoltà del crescere e dai diversi tempi di maturazione di ogni persona. Il tutto avviene in un ambiente sociale normale che non concepisce se non di riflesso l’opzione dell’universo arcobaleno. Oramai si sa che le persone omosessuali esistono, però se non se ne conosce nessuna non si può necessariamente sapere com’è la loro esistenza e come comportarsi.

Iniziando ad allenarsi a hockey su ghiaccio Léo fa scelte che non vuole spiegare, e considerata l’età è giustificabile che non abbia gli strumenti mentali per comunicare adeguatamente con l’ex amico che si ritrova sempre più respinto e solo. Mentre il primo riesce a integrarsi, il secondo si chiude sempre di più in se stesso. Comprensibilmente Rémy a 13 anni è incapace sia di gestire questo dolore da amore non corrisposto sia di parlarne con la madre che lo sollecita vedendo che qualcosa non va più. Per mettere insieme i pezzi del puzzle che la morte del figlio ha creato, dovrà aspettare una confessione di Léo, divenuta incontenibile per il senso di colpa.

Purtroppo, quanto questo intelligente e drammatico film è autentico lo dimostra la storia di Lucas, uno studente di una scuola media francese di provincia, che si è tolto la vita il 7 gennaio secondo la sua famiglia per motivi di bullismo omofobico. Paradossalmente le nostre lotte e le nostre vittorie forgiano il coraggio di essere sé stessi e sé stesse in precoce età a persone LGBT che, dichiarandosi apertamente tali, si rendono vulnerabili a conseguenze verso cui non hanno le protezioni o gli strumenti adeguati per restarne incolumi.

In Italia AGEDO ha pubblicato di recente la seconda edizione di Sei sempre tu – Guida informativa su omosessualità e varianza di genere a cura di Elena Broggi ed Enrico Maria Ragaglia (ed. Erickson, 15 euro). Un libro esemplare che a mio personale avviso rappresenta esattamente la nostra responsabilità a spiegarci e a farci conoscere meglio dentro e fuori la nostra comunità, sempre più differenziata e inclusiva per orientamenti sessuali e plurime identità di genere. La nostra evoluzione storica comporta nuove sfide che vanno affrontate di petto, affinché bullismo, suicidi e violenze a qualsiasi età diventino quanto prima solo un orribile ricordo.