Attraverso un dialogo figurato tra una lesbica francese del 2022 e altre lesbiche che hanno vissuto in Europa fino a più di un secolo prima di lei, un ottimo documentario rimette la nostra storia nella corretta prospettiva. Il nostro incontro con la regista Marie Labory al 37° MiX Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer di Milano.

 

È risaputo che le nostre esistenze LGBT sono state cronicamente non trascritte o non trasmesse, cancellate o censurate al punto che si può affermare che la maggioranza delle persone arcobaleno non è proprio consapevole di appartenere di pieno diritto alle molteplici evoluzioni dell’umanità sin dall’antichità. Ricostruire percorsi che ci colleghino a una conoscenza più approfondita di noi stesse come lesbiche è quindi un obiettivo primario da perseguire, per quanto sia oggettivamente complesso e non solo perché la trasmissione della Storia è stata prerogativa praticamente esclusiva degli uomini.

Lesbiennes, quelle histoire?, Lesbiche, quale storia? (in francese la frase contiene la sfumatura “ma di cosa stiamo mai parlando?”), è un documentario trasmesso per la prima volta il 17 maggio scorso sul canale francese Histoire TV in occasione della giornata mondiale contro l’omobilesbotransfobia. In quasi un’ora la regista Marie Labory, che ha scritto questo lavoro necessario insieme all’autrice e produttrice Florénce d’Azémar, fa emergere un secolo di storia saffica europea dalla Belle Époque fino al 1999, anno della legge che promulgò il PACS, il patto civile di solidarietà, che porterà nel maggio 2013 al matrimonio egualitario sotto la presidenza di François Hollande grazie alla forza di volontà e alla determinazione di Christiane Taubira, Ministra della Giustizia sotto il governo di Jean-Marc Ayrault.

Grazie ad approfondite ricerche d’archivio e testimonianze dirette di molte studiose e attiviste, Marie ripercorre e presenta le strade percorse dalle sorelle d’Oltralpe, insieme a donne inglesi e tedesche che hanno lasciato un segno malgrado il loro orientamento sessuale fosse pubblicamente negato e di conseguenza negate le loro esistenze. Persone pubbliche che hanno gridato forte e chiaro la loro identità mettendosi contro l’ordine morale e politico, le istituzioni familiari e mediche.

Diviso in capitoli, si parte con “Le pioniere” (1900-1914) passando per “Le ribelli” (1918-1945), “Le cancellate” (1945-1964), “Le guerriere” (1964-1982), fino a “Le liberate” (1982-1999). È un racconto collettivo, non come di solito capita focalizzato solo su una persona, trasmesso su un canale televisivo nazionale in prima serata, con la sfida raccolta e vinta della scarsità di materiale audiovisivo disponibile che è molto poco perché “le lesbiche hanno avuto la tendenza ad adottare l’adagio ‘per vivere felici, viviamo nascoste’”.  Così la regista ha legato la sua storia personale alle loro, come una lettera indirizzata a sé stessa.

Conosciamo lei bambina di 8 anni che durante una gita al mare scopre di nascosto che due donne possono amarsi, e sente in modo confuso che anche lei vorrà essere così. Poi altri ricordi, i suoi dubbi e le comprensibili difficoltà, come rivelano anche alcune pagine manoscritte del suo diario di adolescente che vive in provincia, in cui scrisse all’età di quindici anni “sono anormale”. Anni passati a nascondersi, a rifiutarsi, anche a odiarsi fino al coming out a 21 anni. Se oggi a 42 anni, madre di due gemelli concepiti con la procreazione medicalmente assistita, invece, può dire forte e chiaro: “Sono lesbica”, è perché altre donne hanno osato dirlo ben prima di lei, e si scopre allora che non per tutte la vita fu solo un dramma, anzi. “Nel secolo scorso ci furono donne che parlavano della loro omosessualità, che la vivevano con gioia, senza mai snaturare ciò che erano, e che si mostravano bellissime, forti, attraverso il loro coraggio, la loro sicurezza, la loro integrità”.

Come ha avuto origine questo progetto ed è stato difficile realizzarlo?

Questo documentario è stato creato per la televisione, e chi dirige il canale dove è stato trasmesso è gay, lui ha deciso di farlo e me lo ha proposto. Per questo ha un formato classico e pedagogico, pensato per il grande pubblico e accessibile a chiunque. Ho avuto piena libertà e la parte difficile è stata che gli archivi sono molto cari e non avevamo molti mezzi a disposizione.

Come hai scelto di sviluppare i capitoli in cui hai diviso la trama?

In effetti io avrei adorato fare un film sulla storia di quelle donne che non si vedono, che non abbiamo visto e che sono state schiacciate dalla storia. Ci sarebbero però voluti anni e anni di ricerche, perché quegli archivi personali sono spesso spariti, le famiglie se ne sono sbarazzati o perché sono nascosti. Magari ci sono delle foto ma resta il dubbio se fossero lesbiche, perché quella parola non era mai pronunciata. Ho dovuto rinunciare all’idea, troppo poco tempo e non abbastanza materiale. Per questo motivo, invece, ho iniziato a parlare di quelle lesbiche che erano emerse e avevano parlato, donne che soprattutto all’inizio del ‘900 dello scorso secolo avevano i soldi e i mezzi per essere indipendenti e non mettere le loro vite in gioco se parlavano apertamente della loro omosessualità. Ho iniziato così, e magari un giorno riuscirò a fare un altro film sulle donne che non conosciamo o che conosciamo poco.

A mano a mano che la matassa si dipana si sviluppa la storia delle lotte e delle conquiste per i nostri diritti.

Quello che si vede con lo scorrere dei capitoli è come nella storia di tutti i diritti, che siano le donne o le persone omosessuali, ci sono momenti dove di colpo tutto avanza rapidamente, pensa a Berlino degli anni ’20 dove c’era una visibilità incredibile, e a un certo punto c’è un contraccolpo e si torna indietro e si deve ripartire. Il documentario quindi vuol anche essere una messa in guardia. Il canale televisivo vorrebbe che si faccia un seguito, ma a quel punto non saremmo più nella stessa storia perché dagli anni 2000 si parla delle lotte per il matrimonio egualitario, per laPMA, per l’adozione. Penso che un giorno si farà però è un’altra impostazione. Io ho molto amato e mi ha molto emozionato lavorare sugli archivi e vivere racconti che ho vissuto da lontano o proprio per niente.

Grazie soprattutto a internet adesso l’accesso alle informazioni è facile.

Adesso ci sono sempre più studi lesbici mentre un tempo il prezzo da pagare era estremamente elevato, perché ci sono un rigetto e una lesbofobia profonda da sempre, e la lesbofobia è associata alla misoginia: si considera che una lesbica si mette al di fuori della società. Il fatto che una donna non è più desiderabile per la maggioranza, quindi per gli uomini, è uno degli ultimi tabù secondo me. Tutte le donne di cui parlo dicevano apertamente di essere lesbiche, anche se se ne parlava molto poco, mentre le altre erano rese totalmente invisibili. Ho la sensazione che la parola lesbica adesso sia più carica di un senso politico, perché ce ne siamo riappropriate noi come lesbiche, e volevo che sin dal titolo fosse ben chiaro che si parlava di lesbiche e che si fosse obbligati a pronunciare questa parola in continuazione, “è un film sulle lesbiche”, “sto lavorando al suono di un film sulle lesbiche” ecc.  Ero contenta di sentire questa parola, mi sembrava importante che questo termine riapparisse e che io lo facessi esistere.