Un libro accusato di indecenza in Palestina ha la sua prima traduzione mondiale in italiano. Il romanzo ripercorre le vite di tre ragazzi, di cui uno è omosessuale, che vivono a Ramallah. L’omicidio inspiegabile di una giovane donna cambierà le loro vite per sempre.

foto: Ahmed Abu Hameeda per Unsplash

 

Abbad Yahya, classe 1980, è uno degli autori palestinesi più rinomati della sua generazione con all’attivo la pubblicazione di quattro romanzi. L’ultimo in ordine di tempo è “Jarīmah fī Rām Allāh” in italiano Delitto a Ramallah (ed. MReditori – collana Riyah) del 2016, opera al cui interno è presente anche un’intensa sottotrama con un protagonista gay.

Il titolo è fuorviante perché il libro non è un giallo, pur se una donna è assassinata all’uscita di un ristorante da uno sconosciuto per motivi che resteranno ignoti, ma attraverso una trama circolare racconta le vite di Ra’uf, Nur e Wisam e di come i loro destini s’incrocino a causa di questo evento che avviene dopo la seconda intifada nella capitale de facto dello Stato di Palestina.

La storia è divisa in tre parti, ognuna esposta a turno in prima persona da uno di loro, e ogni parte è divisa in brevi capitoli tutti aperti da una data e da una “informazione stampa” (5 marzo 2009 – L’esplosione di un’auto-bomba al mercato di Babel, in Iraq, provoca la morte di 12 persone. Reuters) che marca uno spazio parallelo alle vicende narrate.

Non è facile raccontare cosa succede a causa dei numerosi filoni narrativi che s’intersecano di continuo, ed eviterò di farlo non tanto per evitare di togliere le sorprese quanto perché i frammenti più interessanti di questo mosaico, a mio avviso, non sono i fatti ma i pensieri e le riflessioni dei tre protagonisti sulle proprie vite e sulle scelte che compiono in controtendenza rispetto a ciò che la società si aspetta da loro.

L’influenza che la tradizione, la famiglia, la cultura e la storia della Palestina hanno sulla quotidianità delle loro vite è preponderante, e il libro è molto politico in quanto non teme di alzare un velo su realtà che il governo ritiene meglio fare finta che non esistano per non perdere la propria capacità di comando.

La bruttezza della città, la disperazione, la corruzione, l’ottusità della polizia, i cambiamenti in atto nel mondo che travolgono i vecchi valori, la perdita di scopo per le giovani generazioni sono una metafora di una crisi profonda e una denuncia non troppo velata del fallimento politico e sociale della causa palestinese. Ed è per questo, in realtà, che il procuratore generale dell’Autorità palestinese mette all’indice questo libro contestando come scusa che “conteneva testi e termini indecenti che mettevano in pericolo la moralità e la decenza pubblica, e che potrebbero colpire la popolazione, in particolare i minori”.

È vero che i riferimenti sessuali sono abbastanza espliciti ma per un lettore occidentale non sono particolarmente sconcertanti, solo che nella cultura arabo-islamica non c’è spazio ufficiale per parlare di sesso fuori del matrimonio o per parlare di sesso gay. Aggiungete un paragrafo dove il personaggio omosesessuale vede un poster di Yasser Arafat che tiene un mitragliatore e lui lo immagina come un pene, e capite perché alcune persone minacciarono di bruciare le librerie che vendevano il romanzo mentre altri volevano linciare lo scrittore che è dovuto scappare a vivere in Germania.

Abbad Yahya

Volutamente di nuovo tralascio di fare un commento retorico sul pericolo della censura o di affrontare la irrisolta o non facilmente risolvibile questione dei diritti civili LGBT nel mondo, ma bisogna sapere che il capo dell’Unione degli scrittori palestinesi, Murad Sudani, affermò che il romanzo di Abbad Yahya viola “i valori nazionali e religiosi della società per placare l’Occidente e vincere premi”.

In un paese occupato, ha detto, il ruolo dello scrittore non è dividere ma generare speranza, guidare la resistenza. Di una società in cui sembra esserci posto soltanto per l’eroismo e l’amor di patria l’autore mostra, invece, un lato differente.

Malgrado questo testo sia così intriso di riferimenti molto distanti dalla nostra vita “europea”, uno stile di scrittura molto raffinato rende comunque la lettura davvero coinvolgente, e la vera sorpresa per me è stata la capacità di Abbad Yahya di raccontare l’amore e le sue sfumature, ma soprattutto il dolore lancinante che si arriva a provare quando la vita lo porta via.

Se Wisam è in coppia con la ragazza assassinata e Ra’uf è alla ricerca della fantomatica Dunia, Nur è perdutamente innamorato di Ra’uf, e quando questi sparirà dall’appartamento che condividevano insieme senza dare spiegazioni né lasciare tracce, seguiremo il percorso interiore di Nur per arrivare a dimenticarlo in modo da smettere di soffrire. Dolore accompagnato languidamente dalle parole di Fairouz, la cantante più nota e amata in gran parte del Medio Oriente.

Per capire quanto sia iconica basta sapere che quando il presidente francese Émanuel Macron atterrò a Beirut per la sua visita di due giorni poco dopo la potente esplosione che ha quasi distrutto il porto e la città, non si presentò dal neo primo ministro Mustapha Adibo o dal presidente Michel Aoun ma andò dritto a casa di Fairouz che non ha voluto la presenza dei media mentre riceveva la sua seconda Legion d’onore (la prima le era stata consegnata da Jacques Chirac nel 1998). Solo un’autentica diva assoluta che oggi ha 85 anni, compare molto raramente in pubblico e non rilascia dichiarazioni, può permettersi di fare una cosa del genere.

Confesso che dopo aver letto il verso “Mi hai lasciato a guardare le cose e a ricordare te” ho provato un impellente bisogno di andare a tagliarmi le vene per la disperazione. Chi non ha avuto il cuore spezzato almeno una volta nella vita non potrà apprezzare appieno le struggenti, meravigliose pagine in cui Nur ricorda la vita trascorsa con Ra’uf. Una vera e propria educazione sentimentale esperita senza punti di riferimento.

Di certo Abbad Yahya non voleva scrivere un romanzo gay e come commenta Joumana Haddad sul New York Times nell’articolo A Palestinian Novel Unearths Dirty Secrets in the Arab World, un romanzo palestinese porta alla luce segreti volgari nel mondo arabo, non ci possono essere omosessuali in un mondo che cancella la realtà e dove la virilità “vera” è definita da un’eterosessualità sciovinista. Però noi esistiamo ovunque, e ben vengano alleati eterosessuali in grado di parlare di noi quando in modo autoritario noi non siamo autorizzati a farlo.

In occasione della presentazione del libro in streaming organizzata dalla libreria Antigone di Milano abbiamo fatto due domande all’autore.

Come mai ha scelto di inserire un co-protagonista gay e di parlare in maniera così intensa del suo dolore d’amore quando Ra’uf scompare? Io mi sono ritrovato in pieno, ma penso che quelle pagine sono universali e molto belle.

Ringrazio per la domanda e per il bellissimo commento. È difficile rispondere. Perché un personaggio dovrebbe avere una certa caratteristica, perché dover giustificare la presenza di un personaggio nel romanzo? Sembra una domanda strana. Perché non ci deve essere un personaggio omosessuale? Di solito sono le donne a cercare di analizzare, a destabilizzare la figura maschile. Io ho cercato di farlo con Nur. Con il suo ruolo lui guarda gli uomini della famiglia, quelli tradizionali e li analizza dal suo punto di vista cercando di sviscerare il machismo tradizionale palestinese.

Pensa che in futuro la questione LGBT in Palestina, grazie ai giovani e al loro desiderio di modernità, potrebbe cambiare? Israele sfrutta molto l’immagine di essere gay friendly, penso al pride di Tel Aviv.    

Ottima osservazione. Israele usa questa questione e propone o si mostra come se Tel Aviv fosse il paradiso dei gay in generale. Sicuramente molto probabilmente ci sarà un miglioramento e il presente è meglio del passato. In Palestina ci sono molte organizzazioni della società civile che stanno cercando di migliorare la libertà in senso generale. Tutti provano a chiedere o a trovare libertà di culto, di genere, di parola ed espressione, di sesso, di vivere. Non c’è niente meglio dei palestinesi che sanno cosa è il valore della libertà.