La loro perfomance sul palco del teatro Strehler ha chiuso le esibizioni musicali ospitate dal 35° Festival MIX di Milano, mandando il pubblico in visibilio. I Melancholia, per noi i vincitori morali dell’edizione di X Factor Italia 2020, la più apertamente queer fino a ora, ci hanno aperto i loro cuori e le loro menti.

foto: Giorgia Garofalo

 

Nati a Foligno nel 2015, i Melancholia, trio composto da Benedetta, Fabio e Filippo, iniziano a produrre musica in cui la genuinità del rock urbano viaggia in simbiosi con l’elettronica. I loro riferimenti principali sono Björk, Muse, Radiohead e più in generale la scena hip-hop ed elettronica underground statunitense.

Iniziano a farsi conoscere partecipando a numerosi festival di musica alternativa (primi all’Emergenza Festival del 2018), ma è con l’edizione di X-Factor del 2020, sotto la guida di Manuel Agnelli, che arrivano al grande pubblico, grazie alla loro capacità di miscelare vari stili, attirando così l’attenzione da parte di giovani appassionati di vari generi.

Al termine della loro esperienza televisiva, nel marzo del 2021, esce il loro primo EP What Are You Afraid Of?, biglietto da visita e contenitore di canzoni nate a partire sin dai loro primordi. È seguito a due mesi di distanza dal singolo Medicine, emblema della loro voglia di esprimersi al pubblico attarverso una musica che arrivi al cuore e alla mente delle persone, attraverso un linguaggio diretto. Li abbiamo incontrati a Milano prima che salissero sul palco per uno showcase incendiario.

Guardando il vostro primo vlog per X-Factor 2020 percepiamo un senso di evanescenza trascendentale, quasi come se foste capitati al programma per puro caso e che mai vi sareste attesi che Manuel Agnelli vi avrebbe scelto nella squadra dei Gruppi. È andata veramente così?

Benedetta – Assolutamente sì. Noi non ci aspettavamo né di entrare né di proseguire né alla fine di uscire. Quindi è stata tutta una grandissima risata dall’inizio al termine del percorso. In realtà lo possiamo definire anche divertente, perché non ci aspettavamo nulla di tutto questo e… sì, eravamo un po’ delle presenze particolari quindi direi che, per come ci è andata, è andata molto bene.

La scelta di cantare in inglese è dettata dalle vostre ispirazioni e trascorsi musicali, da un’esigenza per accedere a un pubblico più vasto, o un’attitudine “naturale” insita nel vostro sound?

Benedetta – Forse un po’ tutte e tre le cose messe insieme, perché almeno io e Fabio veniamo da una cultura molto più internazionale, siamo molto più esterofili che…

Fabio – …“italianofili”…

Benedetta – …mentre Filippo ha molte fondamenta nel cantautorato italiano. Poi credo anche che la maniera di esprimersi in inglese è sempre molto più fluida, e nel genere che facciamo si inseriva molto più facilmente dell’italiano, quindi è stato un po’ un mix tra le tre cose.

foto Rosamaria Coniglio

Il vostro sound amalgama atmosfere che attingono sicuramente dall’elettronica, ma anche al post-rock (Leon ci ricorda molto i primi Muse, ma nella vostra musica ci ritroviamo Björk, i Radiohead, gli Skunk Anansie e tant’altro ancora). D’altra parte la vostra generazione è nata agli albori del nuovo millennio, quando Internet e la rete già erano una realtà in via di espansione, e avete a disposizione talmente tanti riferimenti musicali, che è facile attingere o quantomeno ispirarsi alle varie correnti e provare nuove e interessanti “contaminazioni” musicali. Chi sono per l’appunto le vostre muse ispiratrici?

Benedetta – Per me forse la musa principale, l’hai citata, è Björk, perché la invoco sempre prima di suonare, ma se devo guardare al nuovo millennio anche Poppy è un’artista che è estremamente interessante e che appunto mi sta insegnando molto in quest’ultimo periodo.

Fabio – Ci sono i Twenty One Pilots, ci sono i Muse… C’è veramente tutto quello che un pochino traspare dai nostri brani. Sono scene artistiche che in realtà ci piacciono e se dovessi sceglierne una non ci riuscirei a preferirla su qualcun’altra, ma Muse e Twenty One Pilots su tutti.

Filippo – Sono d’accordo pure io, sì.

Benedetta – Però la musa di Filippo è assolutamente Slash (ride).

Filippo – Quella non c’entra niente, quindi evito sempre di citarla, però effettivamente è così.

Cambiamo registro ed entriamo nel merito di questo festival. Fino a nemmeno una decina di anni fa erano veramente pochi gli artisti italiani a metterci la faccia, poiché l’orientamento sessuale era tabù. Si preferiva quindi celarsi dietro risposte accomodanti e tutto sommato politicamente corrette del tipo “con chi vado a letto è una faccenda privata che non riguarda e non deve riguardare i miei fan”. Peccato che un artista – secondo noi – è credibile e apprezzabile, di là delle proprie capacità, quanto più è sincero e trasparente con il proprio pubblico. Anche perché, grazie al proprio operato (una volta si diceva “militanza”), può fungere da elemento di supporto, o essere un riferimento rassicurante, se volete, per tutti quei giovani che non trovano la forza di emergere e di fare coming out. Da anni oramai, soprattutto grazie alle nuove generazioni di artisti come voi, questo pudico velo è caduto. Quanto vi ritrovate in ciò che affermiamo?

Benedetta – Quello che dici è assolutamente in linea con quello che è il nostro concetto di fare musica, perché la prima cosa che mettiamo sul piatto è la verità. In quello che noi diciamo, in quello che noi suoniamo sul palco, in quello che è appunto la nostra espressione, la verità c’è sempre.

Probabilmente perché anche noi siamo sempre stati celati, io anche dal punto di vista della sessualità, loro in tante altre cose. In qualche modo ci siamo sempre nascosti, quindi quando penso che l’arte deriva da un’esigenza così forte di volersi esprimere e di voler urlare fuori quello che veramente si pensa, di voler vivere veramente la vita, ed esprimersi per quello che sei, allora si parla per forza di verità.

Il motivo per cui noi arriviamo così tanto alle persone è appunto il fatto che la gente si rivede in noi, vede in quello che facciamo quello che loro ancora non riescono a fare o che comunque è una loro difficoltà.

Io sono cresciuta grazie alla musica. Loro (indicando gli altri componenti della band) mi conoscevano prima che la facessi: ero una persona estremamente timida, estremamente chiusa in me stessa e avevo paura di qualsiasi cosa. Crescendo, salendo sul palco, conoscendoli e poi conoscendo le persone che realmente mi vogliono bene, ho capito che non devo avere paura di niente, e il mio velo è completamente caduto. Quindi adesso siamo anche molto fieri di portare questa voce al di fuori delle nostre menti. È veramente un privilegio poterlo fare.

Fabio – Dal punto di vista di come ci poniamo sul palco, nei nostri primi tempi eravamo molto chiusi in noi stessi, era come se suonassimo solo per noi, eravamo rivolti uno verso l’altro. Poi ci sono state quell’evoluzione e quella maturazione che ci hanno fatto fare quel salto in avanti e giungere diritti al pubblico.

Citando il vostro singolo, qual’è la vostra “medicina”?

Benedetta – Loro per me, assolutamente, e il suonare con loro.

Filippo – Lei è la nostra (ride)

Abbiamo intervistato anche Vergo, vostro collega di X Factor 2020, e come pettegolezzo gli abbiamo chiesto se per caso Filippo e Fabio stavano insieme. Si è messo a ridere e ha risposto che sono entrambi fidanzati con una ragazza. Poi scopriamo in un’intervista che Benedetta è in coppia con Granger (ex Seawards, X Factor 2019). Ti senti un’icona, o come coppia delle icone, per la comunità lesbica? Siete riconosciute o non così tanto?

Benedetta – Si sa, e si sa dal momento in cui noi lo abbiamo voluto far sapere. In realtà è successo poco tempo dopo che ci siamo messe insieme. Abbiamo avuto la fortuna di fare un’intervista per Rockit durante il mese del pride in cui abbiamo parlato di diverse tematiche.

Giulia era molto più inserita di me, soprattutto qui a Milano, in varie altre sfaccettature della comunità, non tanto nel Festival MIX. Purtroppo noi in Umbria non abbiamo mai riempito questo divario, quindi anche per me vivere personalmente questa realtà mi fa molto bene, perché riesco anche meglio a inserirmi, ed è una cosa che io ho sempre temuto. Questo perché l’ho sempre vissuta appunto proprio da paese, del tipo “sì è vero, sono omosessuale” però sempre accompagnata dalla paura che il contadino arrivi con il forcone (ride).

Filippo, non sappiamo se conosci lo slang della nostra comunità, ma sai che sei assurto al rango di icona bear dal momento in cui sei apparso sul piccolo schermo? L’altro giorno ho detto a un amico che ha uno studio di registrazione a Milano che andavo a intervistarvi e lui ha gridato: “Ahhhh, il chitarrista!”

Filippo non commenta e sorride.

La parola queer in realtà è molto ambigua, può essere usata con significati molto diversi in base all’ambito in cui la si usa. Sentite di appartenere alla categoria della queer music e se sì che senso gli date voi, se no dove vi posizionate?

Benedetta – Per me queer vuol dire qualcosa che va comunque fuori dallo schema di “normotipo”. Noi possiamo immedesimarci in questo contesto, soprattutto perché a livello di attitudine abbiamo quella voglia di dire la verità. Quindi ci sono molte cose che ci possono identificare in quel genere e per noi è anche bello farne parte. Inoltre noi siamo stati in un’edizione di X factor estremamente queer, dove finalmente siamo riusciti tutti e tutte a uscire fuori con le nostre personalità, e quel tipo di esperienza ci ha spinti oltre, ci ha fatto fare ancora quel passo in più per darci confidenza.

Nel sound che avete creato appositamente come sigla del Festival MIX di quest’anno (che potete ascoltare qui) declamate “more love, love matters”, più amore, l’amore ha importanza. La musica può essere anche un’espressione politica molto dirompente. Per cosa vi piacerebbe lottare se doveste scrivere una “canzone manifesto”?

Benedetta – Io penso che un po’ lottiamo nel nostro piccolo, però ovviamente non tanto come manifesto, per la salute mentale. È una cosa che ci teniamo a presentare e per cui noi abbiamo sempre combattuto e che ci spinge molto a voler diventare in qualche modo portavoce, o qualcosa di simile, per questo tema. Si vedrà, diamo tempo al tempo. Dobbiamo ancora crescere e tante cose stanno succedendo.