Due ragazze lesbiche, un gruppo di neonazisti con leader vegano, quattro genitori scambisti, un ex fidanzato ancora innamorato, politica, religione, famiglia… Un regista finlandese di culto prende questi ingredienti e li frulla aggiungendo umorismo, iconoclastia e violenza quanto basta, portando sugli schermi una satira pungente della contemporaneità.

 

Quando si è degli uomini gay e per caso capita di pensare alla Finlandia, la prima cosa che viene in mente, e probabilmente anche l’unica, sono i disegni di Touko Valio Laaksonen, meglio conosciuto universalmente con il nome d’arte di Tom of Finland. Un artista celebre per le sue straordinarie illustrazioni erotiche che hanno profondamente influenzato la cultura omosessuale maschile del ventesimo secolo.

La conoscenza di Teemu Nikki, invece, è sicuramente più circoscritta agli appassionati del cinema d’autore. Regista autodidatta e pluripremiato (anche al Festival del cinema di Venezia 2021), candidato dal suo paese agli Oscar per miglior film straniero nel 2019, esce in contemporanea nelle sale italiane e sul sito IWONDERFULL.it il suo quarto lungometraggio dal titolo NIMBY.

NIMBY è un acronimo per not in my backyard, non nel mio giardino cortile, spazio verde presente nelle villette unifamiliari, ma questa frase in inglese ha anche il senso idiomatico di “purché mi lascino in pace o non si vedano”. Un po’ come quando ci viene detto “non ho nessun problema ad accettare gli omosessuali, purché non siano in casa mia”. È su questo gioco che si sviluppano, anzi avviluppano, le vicende presenti nella pellicola, divertente e irriverente quanto profonda, dove i contrasti tra convinzioni opposte sono pressoché illimitati.

La storia incomincia nella capitale Helsinki con Mervi e Kata che formano una giovane e innamorata coppia lesbica interrazziale, entrambe però non sono ancora dichiarate in famiglia. L’arrivo dei genitori di Kata, la cui madre è una famosa politica iraniana musulmana (sposata con un tedesco ebreo) che deve partecipare come relatrice a una conferenza, le spinge a tornare nella casa natale di Mervi in provincia per affrontare il primo dei loro reciproci coming out.

Non appena approdate nel piccolo paese di campagna, alle due protagoniste capiterà una concatenata serie di sfortunate sorprese, che inizia con una manifestazione pubblica neonazista contro un centro accoglienza per rifugiati, cui prende parte anche Mika, ex fidanzato di Mervi e figlio dei migliori amici dei suoi genitori. Quello che Mervi ancora non sa mentre lui sì, è che da anni e di nascosto i quattro adulti sono in una relazione poliamorosa fra loro.

Il sopraggiungere nella villa di famiglia di Mervi dei preoccupati genitori di Kata, in ricerca della figlia che non gli ha comunicato dove si trovasse, provocherà la reazione degli estremisti di destra che occuperanno gli spazi del giardino assediando tutti al suo interno. Non passa troppo tempo e dentro le mura esplodono litigi, discriminazioni e recriminazioni di ogni genere. All’esterno nel frattempo…

La morale di questa sorta di favola contemporanea, notevolmente sopra le righe (in originale è recitato in finlandese, tedesco e inglese e il caos linguistico incrementa ulteriormente l’ironia), è che dobbiamo imparare a tollerarci a vicenda, che nessun conflitto è insormontabile se se ne parla, che chiunque ha qualcosa da nascondere o è insicuro o prova frustrazioni inconfessate.

Se non riusciamo a essere onesti alla luce del sole o a superare le nostre idiosincrasie, probabilmente è perché siamo condizionati da costrizioni e costruzioni culturali che fatichiamo ad abbandonare. Non è facile, infatti, trovare il coraggio di lottare per cambiare lo stato delle cose in meglio o farsi accettare, e di certo è più comodo restare ancorati alle proprie zone di sicurezza.

Cos’è allora la normalità, come s’innescano i pregiudizi, perché ovunque nel mondo parlare di politica o di religione equivale ad accendere fiammiferi che incendiano gli animi invece di gettare ponti? Anche se non è tecnicamente perfetto, NIMBY è una metafora dadaista di una parte del mondo occidentale contemporaneo e non dà risposte univoche.

Teemu Nikki

Usando un’impertinente umorismo nero, ma anche buone dosi di assurdità e di violenza, NIMBY può sembrare banale e poco profondo perché mette fin troppa carne al fuoco (un connazionale del regista ha definito il film come “irresponsabile, non irriverente”), ma per me non è ingenuo né retorico. Fa riflettere su temi sociali e culturali che, volenti o nolenti, coinvolgono tutti e tutte noi. Il recente affossamento del DDL Zan, inoltre, ne è una riprova: se tra le parti in conflitto mancano il dialogo, l’empatia e una mentalità aperta si resta bloccati al palo.

Riguardo alla coppia formata da Mervi e Kata traduco il commento presente nella recensione sul sito lesbico inglese Lesflicks, portale di cinema a tema L di cui abbiamo parlato in un precedente articolo. “Nonostante provenienti da mondi diversi, la relazione di Mervi con la sua ragazza Kata non la si percepisce per niente artificiosa; la chimica e gli scambi di battute tra queste due appaiono dinamici e naturali. Tanto che mi sono resa conto solo alla fine che la coppia protagonista si scambiava un solo bacio sullo schermo, cosa che mostra proprio quanto bene hanno raffigurato la loro relazione di un anno con i loro linguaggio del corpo e dialoghi senza doverlo dimostrare con alcun gesto”.

In occasione dell’anteprima italiana al XXXI Noir in Festival di Milano abbiamo incontrato il regista insieme al produttore e co-sceneggiatore Jani Pösö, e abbiamo fatto loro alcune domande.

Nessun film italiano avrebbe come protagoniste due ragazze lesbiche in coppia, e rappresentate in maniera così positiva, intorno a cui girano gli eventi della trama. Cosa vi ha spinto a questa scelta?

T N – In Finlandia non è niente di speciale avere questo tipo di coppie rappresentate. La storia iniziò con questi due personaggi e la prima idea fu quella di Mervi preoccupata se i genitori avrebbero approvato questa relazione. Abbiamo pensato che sarebbe stato divertente se essi fossero stati più che a posto al riguardo, mentre la figlia non poteva tollerare che loro potessero avere questa sorta di relazione non tradizionale con i vicini di casa con cui si divertono a letto. L’arrivo a casa e la sorpresa per gli intrallazzi erotici degli adulti fu proprio la prima scena che scrivemmo per il film.

J P – Nel nostro paese abbiamo avuto Tove Jansson, una scrittrice e artista molto famosa in tutto il mondo creatrice dei Moomin (un fumetto tradotto in più di 50 lingue, N.d.A.), e lei era una donna lesbica dichiarata che si presentava anche al palazzo presidenziale con la sua coniuge.

T N – È assurdamente strano parlare della cultura finlandese e non direi che siamo la nazione più tollerante del mondo. Tom of Finland ci ha messo molto più tempo a diventare famoso in patria e a essere riconosciuto come artista di valore.

Quali sono stati i riferimenti cinematografici per questo film? Io personalmente ho trovato dei segni delle prime opere di John Waters: personaggi queer, nel senso di stravaganti, che lottano tra loro e un messaggio di denuncia del modo di vivere e pensare perbenista della provincia americana.

T N – John Waters non è stato un nostro riferimento su niente…

J P – …ma è davvero bello sapere che a te lo ricordi, è davvero cool

T P – I miei riferimenti sono stati più cinematografici, come Sam Peckinpah e il suo Cane di paglia con cui ci sono delle similitudini. Non io, ma qualcuno ha detto La notte dei morti viventi di George A. Romero per gli zombie che attaccano la casa, ma noi abbiamo nazisti e non zombie (ride). Io direi alcuni film degli anni ’70 per com’erano girati e l’uso dello split screen (immagini in contemporanea divise, N.d.A.), perché abbiamo girato quasi tutto in un’unica location per tutta la durata e questo dà movimento. Per il resto le influenze di ciò che guardavo quando ero bambino.

J P – Per quanto riguarda lo storytelling di quando sono tutti rinchiusi nella villa, abbiamo scritto tre versioni del copione e c’è un riferimento letterario, non cinematografico: l’opera teatrale Il Dio della carneficina della drammaturga e scrittrice francese Yasmina Reza, da cui Roman Polanski ha tratto il film Carnage. Tutto accade in un unico luogo con molti dialoghi, la gente non si capisce e la discussione degenera.

Jani Pösö

Il messaggio che volete trasmettere è la difficoltà della tolleranza, ma già Gesù Cristo più di 2000 anni fa disse: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Apparentemente le cose nel frattempo non sono cambiate molto. Siete più ottimisti o più pessimisti per il futuro dell’umanità?

T N – Direi che sono pessimista sul mio ottimismo (ride). È divertente che le persone abbiamo visto in modi molto diversi questo film. La mia idea era dare talmente tanti argomenti diversi su cui puoi essere in accordo o in disaccordo senza voler esprimere cosa è giusto o cosa è sbagliato. Volevo solo dire get along (andate d’accordo), che suona come una canzone reggae (ride). Alcuni però l’hanno visto come un film molto pessimistico, perché le persone sono persone. Per me è ottimistico e il finale è molto innocente, e volevo avere una conclusione non troppo realistica e ingenua. Il film non si basa proprio sugli argomenti di cui ognuno e ognuna parla, ma sulla gente.

J P – Abbiamo iniziato a scrivere la sceneggiatura nel 2016 più o meno. Una delle prime cose emerse era “noi così simpatici e tolleranti che amiamo tutto il mondo e poi arrivano i villici di campagna e diventiamo intolleranti e razzisti come o peggio dei razzisti”, e questo è un po’ un problema. È facile essere intelligenti e tolleranti quando i problemi sono distanti, meno facile quando arrivano sotto casa.

L’ultima battuta del film è “La violenza non è conversazione”, un concetto molto corretto e illuminante.

T N – Quello che serve è la comunicazione, ma molte persone intolleranti non accetteranno questa frase perché per esempio diranno che non si può parlare con i nazisti, che è impossibile parlare con la parte opposta, e la parte opposta penserà esattamente lo stesso. Il mio pensiero candido è che se i personaggi avessero parlato tra loro venti anni prima non starebbero su barricate opposte, invece… Quando vedi il film è abbastanza ovvio capire cosa noi pensavamo nel realizzarlo, che chiunque naturalmente deve avere tolleranza zero verso i nazisti. La questione però è che se sei incapace di parlare con le persone che di fatto sono in disaccordo con te qualsiasi sia l’argomento, allora non stai facendo la cosa giusta ed è veramente dura. Io perlomeno non sono in grado di comportarmi così.