Esistono questioni a tema transgender alquanto ostiche da comprendere, e i dibatti che ne seguono diventano spesso talmente polarizzati e divisivi da creare tentativi di manipolazione che rasentano la caccia alle streghe invece che confronto e dialogo. In Gran Bretagna questo vento sta iniziando a cambiare direzione.

articolo apparso su giovannidallorto.wordpress.com con il titolo “Il passo indietro di Stonewall”

 

La settimana scorsa è successa una cosa importante, nel Regno Unito. Nancy Kelley, amministratrice delegata di Stonewall UK (la più grande e potente ONG LGBT+ d’Europa), si è infine lasciata intervistare da un programma radiofonico della BBC (qui la registrazione)

Questa è già di per sé una notizia, perché Stonewall UK è l’alfiere nonché la quintessenza della cultura del “no debate”, che rifiuta il dibattito e il confronto di idee, secondo l’efficace slogan: Our lives are not up for debate (sulle nostre vite non c’è nulla su cui dibattere).

Cultura che nasce non da un capriccio, bensì da una precisa strategia, i cosiddetti “Denton principles“, consigliati in una consulenza dal “più antico studio legale del mondo” quando Stonewall UK, verso il 2015, dopo avere ottenuto col matrimonio egualitario tutto quanto era nella sua lista di rivendicazioni, si mise a cercare nuove ingiustizie da sanare. Era una questione di vita o di morte perché, se non le avesse trovate, o almeno inventate, sarebbe stata costretta a rinunciare a un business ormai multimilionario.

Nancy Kelley

Fu così che si buttò, con la furia di chi rischia di vedere sfumare stipendio e poltrona, sia sul transgenderismo, sia su qualunque altra minoranza riuscisse a inventare o scovare, buttando a mare lesbiche, gay e bisessuali, ormai non più redditizi.

Una volta decisa il “cosa”, restava da trovare il “come”, visto che la quasi totalità delle richieste rendeva necessario infrangere i diritti garantiti per legge ad altri gruppi sociali, prima di tutto le donne (i cui diritti, a quanto pare, possono essere tranquillamente dibattuti, e cancellati), ma anche le e gli omosessuali.

I “Denton principles” consigliavano quindi di evitare il dibattito aperto, che avrebbe richiamato l’attenzione su questa riduzione di tutele già esistenti, preferendo l’azione lobbistica a porte chiuse, i contatti al vertice delle istituzioni, e l’inserimento delle richieste legislative all’interno di leggi su altri argomenti. Da evitare quindi le proposte di legge “ad hoc”, che avrebbero potuto attirare l’attenzione su misure a cui la maggioranza dei cittadini, se le avesse conosciute, sarebbe stata contraria.

Evidentemente Stonewall UK ha dovuto prendere atto del fatto che questa strategia oggi non funziona più. Ormai, essendosi aperti altri spazi, quando Stonewall boicotta il confronto i dibattiti si tengono lo stesso, solo, senza di loro.

La stessa BBC ha appena ritirato la sua adesione al programma di indottrinamento gestito da Stonewall UK, ha augurato buon proseguimento di carriera al responsabile notizie LBGT (clamorosamente beccato troppe volte a censurare e distorcere le notizie in modo sfacciato – lui però ha fatto scrivere che è andato via per il terribile clima di “transfobia” della BBC), e ha trasmesso un’inchiesta sulla tesi secondo cui rifiutarsi di fare sesso con una persona transgender è “transfobico”, che ha fatto rizzare sulla nuca i capelli a molti ascoltatori e soprattutto ascoltatrici.

Come se non bastasse, la direttrice della BBC ha fatto sapere agli impiegati che dovranno abituarsi ad ascoltare anche punti di vista diversi dai loro. E il fatto che abbia dovuto proclamarlo la dice lunga su dove si fosse ormai arrivati, con il Pensiero Unico.

Si noti come la strategia basata sui Denton principles (che peraltro è usata di continuo da tutte le lobbies, da quella degli armamenti a quella del petrolio a quella dei farmaci), rompa con quella, democratica, usata per mezzo secolo dal movimento LGBT, che ha sempre puntato a convincere la società della giustezza delle proprie richieste, attraverso un incessante dibattito e confronto pubblico con gli oppositori.

Nonostante tutto ciò che ho appena scrito però la vera novità dell’intervista sta in quanto la Kelley vi ha detto, incalzata da una giornalista che stranamente ha fatto il lavoro per cui è pagata (qualcuno ci ha pure scherzato su: “Ma come è stato mai possibile che, nonostante i controlli, senza che nessuno se ne accorgesse, una giornalista sia riuscita a infiltrarsi nella BBC?“). E cioè:

  • Che non è possibile cambiare sesso biologico. Si possono modificare alcuni caratteri sessuali esteriori, ma non il sesso (anche se “le donne trans sono letteralmente donne”).
  • Che è inaccettabile cercare di coercere qualcuno ad avere rapporti sessuali con una persona trans usando il ricatto morale dell’accusa di transfobia (anche se “rifiutare di fare sesso con una persona solo perché è trans è discriminatorio”).
  • Che J.K. Rowlings non è transfobica, e che le sue idee sono legittime (anche se “alcune cose da lei dette hanno danneggiato la comunità trans”).
  • Che non è necessario, per essere inclusivi, cancellare termini legati alla realtà biologica del sesso, come “madre”, anzi lei stessa è madre.

La cosa che lascia senza parole non è che in Gran Bretagna decine di persone abbiano perso il lavoro e/o siano state sottoposte a campagne di linciaggio mediatico per avere affermato anche solo una di queste cose (l’ultima è Kathleen Stock), ma che ognuna di queste dichiarazioni smentisce una qualche presa di posizione passata di Stonewall UK. Un dietro-front sbalorditivo.

Kelley ha insomma fiutato il vento, e ha capito che sta arrivando il contraccolpo contro le tesi più stupide, fanatiche e balzane sostenute dalla sua organizzazione (la crescita inarrestabile di “LGB Alliance” in soli due anni è del resto sotto gli occhi di tutti). Quindi alleggerisce la barca, buttando a mare la zavorra dei casi psichiatrici e delle loro pretese demenziali, che ormai sa che è impossibile difendere al di fuori delle bolle dei social media e dei campus universitari.

Io dico che tutto ciò è un bene, checché ne dicano alcun* esponenti del campo “Gender Critical”, a cui non basta così poco, e che vorrebbero vedere scorrere il sangue del nemico sconfitto (“Abbiamo tutti gli screenshots, non permetterò a quei bastardi di farla franca dicendo che non hanno mai detto l’opposto!“).

Chiaro, io non credo neppure per un secondo alla sincerità di Kelley, perché chi rinnega ciò che ha dimostrabilmente detto fino a dieci minuti fa, ci metterà solo dieci minuti anche a rinnegare il rinnegamento. La Kelley non ha onore, crede solo nella sua poltrona e nel suo stipendio a cinque cifre, e basta. Come del resto fa tutta la dirigenza delle ONG e istituzioni LGBTQIAE, che sono ormai solo un racket politico e stipendificio, e basta.

Tuttavia, mi faccio andare bene lo stesso il suo ripensamento, perché in qualche modo da questa sterile polemica queer dobbiamo pure uscire, ed è già ampiamente ora di smetterla di permettere ai casi psichiatrici di stabilire loro, sui social media e nelle università, i temi e i toni del dibattito di tutt* noi. Se qualcuno nel loro campo dice infine, dopo anni, qualcosa di sensato, io stendo passerelle d’oro ai suoi piedi, e organizzo pure una festa di benvenuto fra noi.

Certo, anche se Kelley e compagn* di merende accettano finalmente di dibattere, e anche se lo fanno con quel tono, fra loro e noi resteranno pur sempre motivi di dissenso. Però non potranno certo essere più gravi di quelli per cui ci si accapiglia nel mondo omosessuale da mezzo secolo in qua. E se siamo sopravvissuti a quelli, sopravviveremo anche a questi.