Agarthi, un regno leggendario che si troverebbe all’interno della terra, è stato la fonte d’ispirazione per il secondo lavoro discografico di Sem&Stènn, un concept album tutto cantato in italiano, che segna un’importante svolta artistica per il duo. Li abbiamo incontrati di nuovo per parlare di musica, di fluidità di genere e del nostro futuro.

 

A marzo 20218, quando Pride era ancora una rivista su carta, dedicammo a Sem&Stènn la copertina e li incontrammo per un’intervista, in quanto “rivelazione gay” di X Factor 2017, mentre il loro primo album Offbeat era ancora in lavorazione. Di seguito li vedemmo in concerto e, con il passare delle edizioni, X Factor Italia diventava sempre più LGBT-friendly, tanto che nel 2020 la quota dei e delle partecipanti arcobaleno era totalmente sdoganata (potete leggere la nostra intervista a Vergo qui).

Sembra passata un’era geologica considerando che in un’intervista a Rolling Stones in occasione del video di Baby Run, secondo singolo estratto da Offbeat e realizzato insieme a Manuel Agnelli (che li sceglie come opening performers al Mediolanum Forum di Assago, data unica celebrativa dei 30 anni degli Afterhours), loro dichiaravano: “È più oltraggioso un bacio gay che un uomo sui tacchi”.

A settembre 2021, scelti da Simone Bisantino e Protopapa, gli artefici del line up sonoro della 35a edizione del MIX Festival di cinema gaylesbico e queer culture di Milano, sono saliti sul palco del teatro Strehler a presentare dal vivo alcune canzoni di Agarthi, secondo lavoro discografico uscito a inizio di quest’anno. Per noi è stata un’occasione speciale per incrociarli e aggiornarci reciprocamente su quello che stavamo facendo.

Sono passati tre anni dal vostro primo album, Offbeat, un album musicalmente caratterizzato da ciò che ha contraddistinto il vostro percorso musicale, la vostra crescita, le vostre passioni, ossia il pop elettronico degli anni ’80. Depeche Mode, certamente, ma anche Pet Shop Boys, il tutto confezionato e arrangiato ad arte e che conteneva anche l’ospitata di Manuel Agnelli, vostro “padrino” a X-Factor. Cosa è accaduto nel frattempo?

Sem – In realtà cosa “non” è accaduto. Dopo la fine del primo tour, c’è stata una decompressione cognitiva pesante, perché eravamo sempre in viaggio saltando da una città all’altra, anche qualche data all’estero, avevamo l’adrenalina a mille. Poi arriva il momento fisiologico di fermarsi e di iniziare qualcosa di nuovo ed è stato tosto. Molti, anche Manuel, ci parlavano di questa decompressione post tour come una botta pesante.

Il primo disco è uscito nel 2018, in un momento in cui in Italia esplodevano l’indie e la trap e noi eravamo totalmente offbeat, controcorrente, abbiamo proprio avuto l’esigenza di arrivare in modo ancora più diretto con il nostro progetto che infine è diventato Agarthi. Ci siamo sentiti per certi versi ancora più outsider, e da lì abbiamo iniziato a ricercare una dimensione nostra, facendo pace con il nostro essere diversi e sentendo la necessità di creare un mondo nostro.

Già nel 2019 avete iniziato a pubblicare alcuni singoli che poi sarebbero finiti in Agarthi e la prima differenza che salta all’orecchio è che mentre per Offbeat avevate prediletto canzoni in lingua inglese, il nuovo corso di Sem&Stènn sembra essere la lingua madre.

Sem – Sì, un’altra prova è stata quella di lanciarci a scrivere in italiano.

Stènn – Per due motivi di base. Il primo motivo era quello di arrivare alle persone. Percepivamo che la lingua impediva di veicolare certi messaggi, può sembrare strano, ma era così. Quando si parlava del nostro disco non si parlava dei testi e questo un po’ ci dispiaceva, perché i testi contenevano dei messaggi che era importante sottolineare. Abbiamo iniziato a scrivere in italiano, quindi, per un’esigenza comunicativa. Poi c’era l’idea di fare qualcosa in italiano che non era mai stata fatta prima. Da qui scaturisce il secondo motivo: sperimentare con la lingua, utilizzarla come mezzo per fare qualcosa di nuovo. Da questa sperimentazione è partita la scrittura di questo disco. L’idea di guardare alla musica del futuro sempre consapevoli di quello che siamo, con un aggancio a quelle che sono le nostre radici, a cui ovviamente siamo molto affezionati.

Agarthi, un titolo mistico: cosa racchiude e rappresenta per voi?

Sem – Ci sentivamo purtroppo ancora ancorati a Offbeat nel panorama nazionale, quindi abbiamo cercato di trasformare questa cosa in una narrazione più diretta e di raccontarla pensando a un immaginario unico che appartenesse solo a noi. Avevamo già scritto i testi e senza volerlo, facendo brainstorming su quello che poteva essere l’impatto visivo del disco, è venuta fuori la storia di Agarthi, che poi abbiamo approfondito. Facendo ricerche siamo quindi approdati a questa leggenda induista, dove quello che per noi è il paradiso o l’olimpo degli dei si trova al centro della terra. Questo ci affascinava un sacco, perché nel nostro immaginario in Occidente, invece, lì c’è l’inferno. Parliamo di toccare il fondo per trovare l’oro, per raggiungere il nostro nirvana. Questo filo rosso accompagnava tutto il discorso emotivo che abbiamo fatto. Per arrivare a riprenderci dal disagio emotivo che stavamo vivendo, avevamo bisogno di schiantarci di testa, di toccare il fondo, ed è qualcosa che può accomunare chiunque.

Stènn – Viviamo in un mondo abbastanza ostile e l’idea di crearsene uno, non immaginario ma possibile, un mondo futuro, è una sorta di sogno che cerchi di mantenere vivo per mantenere vivo te stesso in qualche modo. Agarthi per me è stato proprio un viaggio, un mondo andare verso quella percezione e quell’idea. I pezzi sono legati dal percorso “insoddisfazione, fuga, arrivo”. Il disco è variegato perché racconta questi passi. L’esigenza di scappare e partire insieme, fino a pezzi come Champagne in cui c’è l’arrivo, la festa. Un disco che parla un po’ di tutte le fasi, di schianto e di ripresa.

Non solo un cambio di lingua, ma anche le sonorità sono cambiate, sono più elaborate. Notiamo una ricerca sonora più accentuata. Avete prodotto tutto da soli?

Stènn – Offbeat era un po’ un biglietto da visita. Noi veniamo da queste basi: tutte le sonorità elettroniche degli anni ’70 e ’80, synthpop, sonorità rivoluzionarie che hanno sviluppato un mondo elettropop che ci appartiene. In questo disco, invece, volevamo essere meno nostalgici e proiettarci più verso il futuro e abbiamo portato in italiano qualcosa che secondo noi all’estero lo rappresenta il futuro. Principalmente hyperpop come A.G. Cook, una ricerca in questo panorama. Fare la stessa cosa due volte per noi è poco stimolante. Anche se ci sono delle impronte di quello che è stato Offbeat, questa volta sentivamo il bisogno di mettere la nostra firma su qualcosa, di fare qualcosa che fosse esclusivamente nostro. Questo è stato l’obiettivo del nuovo album.

Sem – È stato prodotto da pochissime mani, principalmente le nostre. Abbiamo lavorato con gli ETNA su Champagne e con Kylome (Valentino Nicastro) per KO, La notte con il sole, OK Vabbè e 18 anni; per il resto lo abbiamo plasmato da soli.

Il cambio di passo si sente però soprattutto nei testi. La genuinità, la spontaneità si ascolta sin dalle prime tracce… Abbiamo trovato questo disco molto “out”, parlateci di Froci e normali, in cui denunciate uno stereotipo che non ha più senso di esistere.

Stènn – Froci e normali è stato proprio il primo pezzo scritto in italiano, ed è nato dall’idea di depotenziare una parola che per certi aspetti è pericolosa, e farla nostra per renderla innocua. È il principio per cui è nato il brano. C’è poi sempre questo scontro tra oppressori e oppressi, una battaglia costantemente in atto in qualunque contesto: sessuale, razziale, sociale… Mi ha sempre colpito il fatto che debbano esistere sempre due fazioni, i nemici e gli amici. Il nostro obiettivo è ovviamente quello di distruggere questo conflitto e vivere eternamente in pace in un mondo possibile. Bisogna crederci nelle battaglie per vincerle.

Nei brani di Agarthi parlate di vacuità, di notti passate in discoteca. Il Covid ha di fatto tolto due anni di vita a tutta quella fetta di giovani abituati ai sabati sera in discoteca, ai rave party: improvvisamente è come se fossero invecchiati precocemente. Leggevamo per esempio di ragazzi che due anni fa avevano acquistato il biglietto per il concerto dell’idolo hip-hop di turno e che ora – posticipato il concerto al 2022 – non sanno che farsene, perché nel frattempo i gusti musicali sono cambiati o è cambiata la situazione che determinava la loro voglia di partecipare a quell’evento. Cosa ne pensate?

Sem – Questo disco doveva uscire un anno prima e avevamo pensato nel dettaglio un megatour. Rispetto agli adolescenti di oggi, noi per fortuna abbiamo avuto la possibilità di abbondare di notti brave in giro in precedenza. La cosa triste è che nessuno ci ridarà indietro il tempo che abbiamo perso. Anche noi abbiamo riflettuto sul tempo e sul fare sempre cose che ti fanno veramente felice.

Ci sono brani che avevate concepito prima della pandemia, due tre anni fa – tipo Ho pianto in discoteca – che ritenete ancora attuali o altri che magari già guardate con uno sguardo al passato e magari oggi non li avreste rifatti?

Sem – Mille pugni è nata in piena pandemia, quando abbiamo girato il video per 18 anni. La cosa strana è che il mio cellulare è andato in crash, come diciamo nel testo, e ho perso tre anni di foto e di ricordi, e io da segno zodiacale cancro ne ho sofferto tremendamente. Anche su questo c’è stata una riflessione intensa sul tempo e i ricordi…

Stènn – Questo disco è stato terapeutico: quello che ci mancava nella vita reale lo abbiamo ricostruito lì. Anche la dimensione del clubbing, della corporeità, dello stare ammassati, del viversi. Noi abbiamo cercato di inserirlo inserirlo in questo disco perché era giusto che, non potendolo fare, anche le persone che volessero ascoltare il nostro disco lavoro percepissero quell’idea e si nutrissero di quella cosa. Nel mondo del pop molti dischi uptempo sono usciti in quel periodo e secondo me hanno fatto bene a uscire perché c’era bisogno di quella cosa lì, c’era bisogno di una botta di vita.

Sem – Basta pensare a Future Nostalgia di Dua Lipa, disco pop per eccellenza del 2020. Ricordo che lei era tristissima e si è messa anche a piangere durante una live perché questo disco era fatto per far ballare la gente e pensava che nessuno lo ballerà, né lo ascolterà. Invece è stato il disco dell’anno proprio perché andava a soddisfare un’esigenza.

Ci raccontate com’è nata la collaborazione con Andrea Di Giovanni e il remix di Rebel?

Con Andrea non ci siamo mai visti, perché lui vive a Londra e noi un po’ fuori Milano. Abbiamo trovato su Instagram delle connessioni e tramite lui abbiamo anche scoperto tutta una scena queer estera che è molto solidale, molto più di quella italiana possiamo dire. Lui vocalmente ci piace molto, ci siamo trovati bene. Aveva un disco in uscita, ma ci siamo detti di fare qualcosa insieme, così abbiamo deciso per un remix e Rebel per noi era la traccia più adeguata, un po’ di noi e un po’ di lui.

Il video di Champagne è molto forte, ed esteticamente rappresenta un passo avanti nel vostro percorso estetico sempre più “genderless”. Secondo voi il mondo è davvero pronto alla frantumazione delle espressioni di genere, con conseguente significato politico, o vi sentite ancora dei pionieri almeno in Italia?

Sem – Pionieri… Non vorrei sembrare arrogante, ma quattro anni fa, subito dopo essere apparsi a X Factor, ci siamo presi un bel po’ di insulti. L’immaginario del gay in TV era raro ed era molto macchietta, mentre noi ci siamo presentati con molta naturalezza perché venivamo dalla scena clubbing milanese, quindi una bolla protetta, e con ingenuità e spontaneità soprattutto ci siamo presentati al grande pubblico per quelli che eravamo, non era veramente niente di studiato. Quando abbiamo letto la prima mezz’ora i commenti eravamo devastati, ma poi ci siamo dati una pacca sulla spalla come sempre e siamo andati avanti, però non ce lo aspettavamo. Negli ultimi due anni vediamo che questa cosa inizia un po’ a sdoganarsi e ci fa comunque piacere. Spesso, soprattutto in Italia, lo sdoganamento di questa estetica genderfluid/queer arriva da persone che non sono propriamente della comunità LGBT. Questo va bene perché è importante il fine e il messaggio, ma d’altra parte ci piacerebbe anche avere la possibilità di rappresentarci da soli in certi contesti.

Per citare i Beastie Boys ci abbiamo messo decenni di fight, di lotte arcobaleno, per ottenere our right to party, il nostro “diritto alla festa”, ma il Covid ha bloccato il DJ. Qual è la vostra idea (generazionale) del nostro futuro comune o cosa vorreste che accadesse?

Stènn – È strano perché percepisci l’evoluzione del mondo, ma al tempo stesso avverti che qualcuno vuole che non succeda e ti dà l’illusione che il mondo stia fermo. Io penso che gran parte della società civile sia cambiata nel frattempo, che l’Italia sia molto diversa da quella delineata da chi ci dovrebbe rappresentare. Il futuro è complesso anche prevederlo e, ingenuamente forse, io avrei detto che il dibattito sulla legge Zan sarebbe stato un altro.

Sem – Rispetto alla nostra infanzia/prima adolescenza adesso grazie ai social c’è più comunicazione, c’è anche modo di informarsi…

Stènn – Scusami. È proprio questo l’assurdo: tramite i social o tramite altri mezzi non istituzionali si diffondono dei messaggi condivisi da molte persone, e poi in altre situazioni secondo me più vecchie o più istituzionali invece c’è un opinionismo che è completamente diverso.

Sem – C’è un clima di base politico che influenza anche una fetta delle nuove generazioni. Ti faccio un esempio: questa estate sono rimasto veramente scottato da un incipit di un attacco omofobo che ho letto in rete. È la prima volta in 12 anni che mi accade. Da quando sono dichiarato e vivo ed esprimo la mia omosessualità con libertà, non era mai successo in tanti anni di vedere un attacco omofobo di quel tipo e questa cosa mi ha fatto riflettere e mi ha un po’ terrorizzato.

Stènn – Io invece ho un po’ di paura.

Sem – Per tutti e tutte noi, ovviamente sudando mille camicie, c’è però sempre la speranza di fare un altro passo avanti.