Igor & Moreno, ballerini e coppia artistica e nella vita, hanno presentato a Napoli una loro celebre coreografia nel corso dell’ultima sezione di Campaniateatrofestival dedicata alla danza contemporanea, che ha offerto un’avvincente sguardo anche su altri nostri giovani talenti.

foto Ivan Nocera

 

Con la terza e ultima parte interamente dedicata alla danza contemporanea, si è chiuso il Campaniateatrofestival 2021 diretto da Ruggero Cappuccio, kermesse ormai diventata uno degli appuntamenti più interessanti nella miriade di offerte che affollano il panorama culturale estivo e autunnale.

Sono stati invitati giovani coreografe e coreografi che con le loro compagnie si stanno affermando in ambito non solo nazionale. Dopo l’apertura con Delayer, creazione di Valeria Apicella, e Bisbigliata creatura, ideato da Mariella Celia, la nostra attenzione si è soffermata su due proposte in particolare. L’odore della pelle al teatro Sannazzaro è la prima.

foto Sabrina Cirillo

La coreografia di Nyko Piscopo (con la direzione artistica di Annamaria Di Maio, concept e regia di Francesca Giammella) parte da una riflessione sul sentire l’altro attraverso il senso dell’olfatto: questo permette un riconoscimento completo e incondizionato che trascende parametri quali la razza, il colore e l’identità di genere.

Non è un caso che nello spettacolo multimediale animato dai sensuali danzatori dell’Arb Dance Company (ensemble noto per le produzioni in spazi museali e le creazioni dedicate all’infanzia e per il quale il compianto Ismael Ivo – per molti anni curatore della Biennale Danza – aveva firmato per loro due coreografie, Mishima e Le Sacre du Printemps) l’incipit sia una proprio una proiezione video in cui sul corpo nudo di uno statuario ragazzo nero compaiano in sovraimpressione le parole DIVERSITÀ, RAZZA e COLORE.

Con il supporto di una struttura metallica i ballerini danno vita a una serie di quadri che sconfinano nell’ambito del teatro danza con la costante della percezione dei loro corpi attraverso l’olfatto. L’odore manifesta desiderio, attrazione sessuale, ma anche violenza e sopraffazione: ecco infatti apparire immagini agghiaccianti di povertà e degrado di cui sono vittima anche i bambini negli slum del terzo e quarto mondo.

foto Sabrina Cirillo

Subito dopo con un imprevedibile cambio di registro, vediamo i performer cospargersi di crema solare arancione quasi volessero mutare etnia ed ecco che la voce di Edoardo Vianello irrompe a tutto volume con la sua sempreverde Abbronzatissima. Detersi e ritornati nel finale al loro colore naturale, ci pare vogliano invitarci a un ideale di inclusione che abbatta ogni barriera culturale, ideologica e sociale.

Avevamo conosciuto tempo fa allo Stabile di Cagliari fa la coppia artistica, oltre che nella vita privata, composta da Moreno Solinas e Igor Urzelai, e abbiamo seguito nel tempo il lavoro della compagnia Igor x Moreno, fondata nel 2012, benché il loro sodalizio artistico fosse iniziato nel 2009 con la creazione del Bloom! Dance Collective. Moreno, sassarese, e Igor, originario del Paese Basco, si erano conosciuti a Londra e avevano deciso di viverci, rimanendoci a lungo e raccogliendo ampi consensi e una messe di premi per il loro lavoro. Quest’anno, anche a causa della sciagurata Brexit, hanno deciso di ritornare in patria, fissando il loro quartier generale a Sassari.

Al festival hanno proposto un cavallo di battaglia della compagnia, Idiot-Syncrasy, non solo coreografato ma anche danzato da loro. Il titolo di questa creazione, che di primo acchito suona criptico, nasce dalla fusione dei termini “idiozia”, “sincronia” e “idiosincrasia”. L’autorevole The Guardian a proposito dello spettacolo sì è così espresso, “Caldo, favoloso e divertente, ma che ci rende anche vividamente e inquietantemente consapevoli degli stati alterati che noi e i ballerini possiamo attraversare nel corso di una performance”.

foto Ivan Nocera

Per l’inizio Igor e Moreno scelgono di attingere a un canto popolare sardo del XVIII secolo che, dapprima solo modulato sottovoce, diventa man mano sempre più forte sfociando nel canto, fino a coinvolgere i corpi che, in un richiamo irresistibile, non possono che lasciarsi trascinare e cominciare a muoversi ritmicamente. Il loro ballo si esprime via via con una serie ininterrotta di salti perfettamente sincronizzati a cui si accompagnano azioni assai semplici mediate dalla routine quotidiana. Nel corso di queste Igor sembra voler imitare le improvvisazioni di Moreno con il risultato di apparire ingenuo e disarmante, in preda a una sorta di tenera idiozia che ci fa sorridere: a questa Moreno contrappone talvolta una stizzita insofferenza, molto prossima all’idiosincrasia.

Dopo 50 minuti di balzi sempre più veloci e potenti che mettono alla prova la resistenza fisica dei danzatori, senza mai scontrarsi pur orbitando vicini come due satelliti, una volta raggiunto il culmine, le gambe si fermano e le voci si fondono questa volta in una suggestiva melodia basca per finire in un forte, simbolico abbraccio.

Per saperne di più sul loro percorso artistico e su questa bella storia d’amore, poche ore prima dell’alzarsi del sipario al teatro Nuovo, incontriamo Igor che si fa portavoce per entrambi.

foto Ivan Nocera

“Vengo da un piccolo centro vicino a San Sebastian e la mia formazione di ballerino era cominciata nel gruppo folk del paese, ma allo stesso tempo avevo anche il desiderio di diventare attore e quindi sono andato a Madrid a studiare in una scuola di teatro. Mi piaceva ma ho capito che la parola non era il mio veicolo favorito per comunicare. Mi sentivo più portato per il fare, per l’azione, così dopo 4 anni ho lasciato e, benché già diciannovenne, sono stato ammesso al conservatorio di danza. Ci sono rimasto 3 anni e poi nel 2006 ho deciso di trasferirmi a Londra per apprendere le basi per diventare anche coreografo. Dovevo fermarmi un anno e poi tornare a Madrid e invece ci sono rimasto 15 anni! All’inizio è stata dura passare dalla libertà e grande apertura della comunità LGBT madrilena alla difficoltà di intessere conoscenze e rapporti sociali sperimentata a Londra, nonostante la sua fama nel resto dell’Europa. Poi però ho conosciuto Moreno…”

È stato un incontro nell’ambito della danza oppure del tutto fortuito?

“È successo nel corso di un’audizione, quasi un cliché: noi due alla sbarra, uno sguardo e… colpo di fulmine. Poi, in attesa dei risultati, lui è tornato in Italia e io a Madrid, quindi non ci siamo visti per qualche mese. Non avevo internet a casa e per poter comunicare con lui andavo in un ristorantino. Al ritorno a Londra abbiamo capito di amarci ed è iniziato il nostro percorso artistico e personale: naturale è stata la scelta di convivere e oggi siamo più uniti che mai, cosa che mi inorgoglisce.”

Il passo successivo è forse quello che vi avrebbe portati a decidere di fondare una vostra compagnia.

“Veramente non è successo subito. Diplomati alla London Contemporary Dance School, accettiamo lavori in altre compagnie e nel 2009 creiamo un collettivo molto queer e inclusivo con basi a Londra e Budapest che produce tre lavori e opera sino al 2012, quando nella capitale ungherese con l’avvento di Orban comincia a essere molto ostacolato. In tre anni avevamo affinato il modo di lavorare insieme e un anno dopo comincia a prender forma l’idea di creare un progetto firmando le nostre creazioni. Sin dal principio non abbiamo mai fatto una scelta circa un tipo preciso di stile di danza: ci interessa più l’azione e il creare esperienze che uno stile di movimento o percorsi didascalici. Intendiamo il teatro come luogo d’incontro e di catarsi per la comunità.”

 

E chi volesse definire il vostro lavoro o avvicinarvi a celebri modelli?

“Possiamo dire che la nostra danza è minimalista e non concettuale: lavoriamo in uno spazio bianco e sulla reiterazione. Ci sentiamo vicini al collega Alessandro Sciarroni, ma ci ha ispirato anche il lavoro di Anne Teresa de Keersmaeker. Un ulteriore passo nel nostro percorso è stato quello di creare coreografie per altri: Beat che lo scorso giugno è passato alla Triennale di Milano, è stata la prima. Doveva essere un assolo per me, ma abbiamo pensato che era più importante invitare Margherita Elliot e confrontarci con lei, un modo per schiudere nuovi orizzonti. Tra i lavori a cui ci sentiamo più legati ricordo ancora al tempo della scuola un’installazione che verteva già sui temi della sincronia sia tra di noi che con lo spettatore. Era ispirata al mito di Castore e Polluce, con noi due quasi nudi, dipinti d’argento in uno spazio pieno di uova. L’intento era quello di mostrare con orgoglio la relazione – anche la nostra – attraverso il corpo. Siamo una coppia gay, ma ci interessa soprattutto l’affermazione del rapporto fisico-emozionale tra corpi in scena. Poi devo menzionare City, una collaborazione del collettivo tra quattro coreografi e un compositore che ci ha permesso di focalizzare le nostre priorità. Da lì Moreno e io ci siamo allontanati dalla narrativa avvicinandoci alla danza contemporanea con l’innesto dell’umorismo, della sorpresa e della comicità. Vogliamo divertire anche con l’autoironia”.

Parliamo allora di Idiot-Syncrasy, diventato quasi un classico.

“È nato nel 2013, chiedendoci cosa volevamo condividere e perché invitare gli spettatori a vederlo. Facciamo ironicamente riferimento al pensiero utopico di cambiare il mondo e creare un’energia. Il collettivo si era dissolto ed eravamo in una condizione economica difficile, ancora nella crisi mondiale iniziata nel 2007: era facile iniziare, ma difficile crescere. Volevamo parlare di resilienza con pochi elementi, lasciando da parte gli aspetti materiali della vita per far parlare solo il corpo”.

foto Ivan Nocera

Privilegiando ovviamente la trasversalità del pubblico, ci si chiede se intendete suscitare una sintonia particolare con la comunità LGBT.

“A Idiot-Syncrasy sono state attribuite diverse letture e non ne abbiamo negata nessuna. Ci sono due uomini sul palco e tra loro c’è un rapporto di vicinanza emozionale che sfocia in un’attrazione: non l’abbiamo né cercata né evitata. Siamo riusciti a portarlo in Armenia dove il programmatore di un festival sapeva di presentare un lavoro che celebrava il desiderio e l’affettività gay in un contesto dove non era consentito farlo apertamente. In Russia ci avevano invitato a una rassegna teatrale, ma gli organizzatori ci avvertirono che non potevano né supportarci né garantire la nostra sicurezza da possibili atti violenti e quindi abbiamo desistito. Siamo stati nello Zimbabwe dove l’omosessualità ufficialmente non esiste: attraverso il British Council abbiamo cercato di metterci in contatto con le organizzazioni gay che siamo riusciti a incontrare dopo lo spettacolo, dando loro stimoli ed emozioni con il nostro lavoro, ma offrendo anche un ascolto sulla difficile situazione in cui versano. Se Idiot-Syncrasy non è cosi dichiarato, la creazione successiva, A Room for All Our Tomorrows, è decisamente più esplicita. Ci rifacciamo anche nello spazio a un teatro più tradizionale: ci sono due sedie, un tavolo, una macchina del caffè e noi due che danziamo urlando, cantando e piangendo. L’abbiamo presentato a Cagliari, Sassari e a Bologna al festival Gender Bender”.

Visti i molti anni trascorsi a Londra ci piacerebbe conoscere la vostra testimonianza di artisti ed espatriati sulla frastagliata galassia gay, lesbica e transgender.

“Abbiamo avuto certamente la fortuna di poter essere chi siamo e ci siamo sentiti partecipi di una comunità queer. Preferisco usare questo termine, perché non abbiamo interagito con gruppi di attivisti o rappresentativi di tutta la comunità. Abbiamo comunque imparato molto: nelle arti performative è palese la ricerca dell’identità, specie quella sessuale. Nel trasferimento da Londra a Sassari non ho trovato difficoltà e ho trovato una comunità molto aperta che vuole esplorare e capire. Penso dipenda dal mio carattere e dal privilegio di vivere in un contesto che ci supporta, infatti collaboriamo anche con il Movimento Omosessuale Sardo. Di positivo in Italia trovo che le comunità e la cultura in generale siano decentrate. Di Londra mi mancano l’alterità e le differenze culturali e di pensiero, senza la necessità di far parte di una realtà strutturata. La grande delusione in Italia mi è arrivata dalla politica: una vergogna che sia finito così il disegno di legge Zan.”

foto Ivan Nocera

La ricetta ideale, lavorando e vivendo insieme, per superare incomprensioni, divergenze e magari anche gelosie?

“Pazienza, ascolto e molto rispetto. Capacità di trasformare le differenze in opportunità.”

Per chiudere la terza parte del festival è stato scelto il progetto Med Focus Danza, nel quale sono confluite altre stimolanti proposte come Querida Gala, firmato da Antonello Apicella ed Elettra, coreografato da Niko Piscopo, poi le Danze Pandemiche con le coreografie di Gabriella Stazio, infine il docufilm Autobus 2857 con Vinicio Marchioni: tributo all’afroamericana Rosa Parks che nel 1955 a Montgomery in Alabama si rifiutò di cedere il suo posto a una donna bianca, dando così inizio alla caduta della segregazione razziale negli Stati Uniti. Un’analisi dei fatti crudele e poetica al tempo stesso che a molti servirebbe di monito anche oggi.