Un altro anno è trascorso e nell’universo LGBT di cose ne sono accadute molte. Parlare di tutto è certamente impossibile, ma riflessioni se ne possono fare anche se soggettive e immancabilmente parziali, tra il serio e il faceto pur se abbiamo ben pochi motivi per ridere.

 

Che cosa resterà nei libri di storia arcobaleno del 2021? Nazione che si va ad analizzare e risposte ben diverse che si trovano. In Francia è passata una legge che impedisce le terapie riparative. In Gran Bretagna la nuova banconota da 50 sterline su un lato ha l’effigie di Alan Turing. Negli Stati Uniti la marina militare vara una nave intitolata a Harvey Milk.

Il Pakistan apre la sua prima scuola pubblica per studentesse transgender. L’Angola cancella la legge che penalizzava le relazioni omosessuali. Il Giappone ospita le Olimpiadi con il maggior numero di atleti e atlete arcobaleno della storia: 182 rispetto ai 56 del 2016 e ai 23 del 2012. Il Cile approva il matrimonio egualitario che prevede anche l’adozione e la tutela dell’omogenitorialità.

In Italia il primo posto sul podio delle notizie LGBT non può che spettare all’affossamento del DDL Zan e relativo tentativo di rilancio da aprile 2022 da parte del Partito Democratico di Enrico Letta, con relativi primi borbottii poco comprensibili di primo acchito. Dei 40 anni della scoperta del virus HIV se ne è parlato decisamente di meno, come del fatto che è arrivato un trattamento in puntura sulla coscia ogni due mesi, che sorpassa la pillola giornaliera.

Questo è il testo del comunicato stampa emesso da Arcigay Nazionale in data 20 dicembre. “Ogni sforzo fatto, specie in sede legislativa, nella direzione del contrasto all’omotransfobia è per noi da accogliere con attenzione e spirito di collaborazione. In questo senso apprezziamo lo spirito con cui il segretario del Pd e l’onorevole Zan hanno annunciato un nuovo iter legislativo sul tema del contrasto ai crimini d’odio. Tuttavia, visto l’esito dell’iter dell’ultimo ddl contro l’omotransfobia e soprattutto considerato il Parlamento che l’ha determinato, ci chiediamo, non senza preoccupazione, se a monte delle agorà verranno definiti punti fermi e irrinunciabili nel testo, e come e se verrà sventato il rischio che l’apertura del dibattito significhi l’apertura di una nuova trattativa al ribasso.”: così Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay”. 

Credo che il tema rimasto senza soluzione, nascosto tra le righe citate, sia l’inclusione o meno del termine “identità di genere”. Al riguardo avevamo pubblicato un articolo di Nathan Bonnì quando il dibattito era ancora in corso, e dopo l’insabbiamento del decreto legge l’opinione di Giovanni Dall’Orto su quali sensi possa avere questo concetto. Vi rimandiamo a entrambe le letture per approfondimenti su punti di vista non convergenti.

C’è chi considera che la parola “transessuale” comprenda solo un’insufficiente porzione di persone T: quelle inserite nel percorso medicolegale. Rimangono fuori chi non l’ha ancora iniziato, tra cui i giovanissimi e le giovanissime, e chi questo percorso non intende farlo. Questa frazione, invece, può essere inclusa e protetta sotto l’ombrello “identità di genere”.

Se da un lato c’è chi afferma che il corpo in cui è capitato di nascere non può determinare la nostra essenza, di ben altra opinione è una parte del mondo lesbico, che considera un pericolo il cambio di paradigma per cui basta affermare “io m’identifico come donna” e si può decidere di esserlo. Si controbatte e spiega a chiare lettere, che se il genere del corpo non è oppressione il maschile può appropriarsi del femminile attaccando gli spazi delle donne.

È comprensibile quindi che si sia creata confusione tra le persone eterosessuali e in molti e molte di noi, perché le definizioni che stiamo dando sono sempre più ampie, complesse e non condivise in maniera univoca nei loro significati. Adesso è più corretto, infatti, parlare di orientamenti sessuali (al plurale) e di identità ed espressioni di genere (al plurale).

Ho già scritto che era tutto più innocente e semplice negli anni ’70, all’inizio del nostro movimento moderno di liberazione, quando la parola “gay” comprendeva tutto e chiunque fosse LGBT. I tempi però cambiano e dobbiamo capire e confrontarci con l’acronimo LGBTQIA+: persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali, asessuali e altro. Aggiungete a questo che cento anni fa non ci si presentava come biglietto da visita con la propria sessualità.

La domanda che allora si para come un macigno davanti al nostro cammino è “come continuare a difendere i nostri fragili diritti conquistati, e ampliarli, se le parole cambiano di significato e se ci combattiamo dall’interno?” Tento di dare opinioni dalla piattaforma egoistica della mia esperienza privilegiata di maschio biologico, razza caucasica, genere solido, omosessuale perché m’innamoro e provo attrazione erotica verso i maschi XY (e altro se gioco la carta dell’intersezionalità).

Aggiungo poi al vocabolo gay l’aggettivo inglese enduring, duraturo, durevole, così mi definisco un enduring gay: un maschio omosessuale da sufficientemente tempo continuato da ritenere che tale esperienza e annesse storia, cultura e specificità proprie esigano il dovuto rispetto da parte delle altre lettere dell’acronimo. Sembra sarcasmo, però vi assicuro che non lo è. C’è chi afferma, anche aggressivamente, che rifiutare un o una partner che si identifica trans “solo” perché ha il corpo del sesso opposto è transfobico. La complessa questione di cosa sia il desiderio l’ho già analizzata qui.

Convengo che al presente ci sono categorie come le persone non binarie o quelle asessuali, che stanno compiendo sforzi non indifferenti per conquistare visibilità e accettazione. In questi casi però si tratta di cambiamenti socioculturali non sempre attinenti il campo dei diritti. Nessuna legge obbliga chicchessia ad avere relazioni sessuali consensuali tra persone adulte. La legge in Italia, invece, per ora riconosce solo il binarismo di genere sui documenti.

Per ricapitolare, le realtà identitarie ora sono più differenziate e ci sono voci poco conosciute e non trattate. Questo crea ignoranza che comporta disagio psicologico per gruppi di persone “dissidenti dalle norme” che hanno bisogno di rappresentazioni corrette di sé. L’identità è importante perché è su quella che si creano esistenza e diritti che però non devono essere a scapito di altre persone. Se essere nominati o nominate implica esistere, facciamo attenzione all’uso dei nostri nomi e dei sostantivi in generale. C’è chi ritiene che per non essere offensivi al posto di donna sarebbe più corretto usare la locuzione “persona con le mestruazioni”.

Quello che sta capitando, invece, gli attacchi continui ad Arcilesbica ne sono un perfetto esempio, è che ci stiamo cristallizzando su marginalizzazione mista a ostracismo se si esprimono opinioni non allineate al contemporaneo sentire comune. In questo momento chi obietti o critichi l’inclusione, restando su posizioni legittime non necessariamente condivisibili, passa per “zzz-fobico” anche se lo fa dialetticamente. Il risultato è che si bloccano ogni scambio e interlocuzione.

Dobbiamo essere per forza a favore della gestazione per altri? Bisogna accettare senza repliche che “una donna transessuale è una donna”, anche se loro esperienze e richieste si sovrappongono in parte non combaciando con quelle delle donne XY? Questa situazione ai miei occhi è come una bomba a orologeria: non dobbiamo abolire le differenze ma renderle alleate.

Maddy Morphosis

Da metà 2016 viviamo in un’epoca post legge Cirinnà e sono cambiati i parametri, il perimetro e il registro delle lotte. La rabbia un tempo era espressa con ironia adesso il movimento arcobaleno è mutato ed esclude. Fummo considerati tabù, diventammo rivoluzionari, ora nel cosiddetto mondo Occidentale siamo sostanzialmente accettati e celebrati (economicamente) per un mese all’anno. Il prossimo passo non sarà un passo falso che ci farà implodere?

Non è facile spiegare che sono in atto nuove forme di marginalizzazione basate, paradossalmente, sull’accoglienza di chiunque a ogni costo in qualsiasi nostro contesto. Un esempio “leggero” è la prossima edizione di Ru Paul’s Drag Race, che avrà per la prima volta tra i concorrenti un maschio eterosessuale. Nella stagione precedente, la tredicesima, tra i concorrenti c’era un uomo trans FtM, quindi una femmina che è diventata uomo per travestirsi da donna.

Si potrà proporre di trovare altri nomi per chi fa la drag queen, ma non è un maschio gay? Forse è come chiedere se la mozzarella vegana ha diritto di chiamarsi “mozzarella”. Il mio ragionamento inoltre escluderebbe dalle gare quelle concorrenti che sono diventate donne transgender e, come performer incredibili, riappaiono negli spin off del programma come Ru Paul’s Drag Race All Star.

Conoscete gli homiesexual? Sono giovani maschi eterosessuali che giocano a essere una coppia gay (homie in slang americano indica un amico fraterno), esprimendo affetto omoerotico con lo scopo di accrescere la propria visibilità e popolarità nei social media stuzzicando le fantasie delle ragazze. TikTok è pieno di questi video.

In sintesi è in atto un’autentica colonizzazione eteropatriarcale per cui stiamo perdendo pezzi della nostra cultura e, cosa ben più pericolosa, cedendo spazi di sicurezza fisica, sociale e psicologica. Passando di palo in frasca, per quanto mi riguarda l’uso in italiano scritto del segno fonetico schwa in sostituzione del maschile estensivo per il plurale collettivo, per me le donne non le include: le cancella. Qui, invece, i più blasonati commenti linguistici dell’Accademia della Crusca.

Prima di concludere, dichiaro che quasi tutto quello che ho scritto fino a qui è farina di vari sacchi impastata e infornata da me. Letture di articoli in varie lingue, partecipazione a presentazioni di libri, dibattiti o conferenze dove prendevo appunti, affascinato dal riuscire a capire, spesso per la prima volta, punti di vista e prospettive di altre lettere oltre alla G di gay. Quasi ogni cosa che ho riferito è quindi parziale e si può approfondire a piacere o volontà.In Italia siamo al contempo una popolazione di milioni di persone, una comunità più piccola composta da qualche decina di migliaia di volontari e volontarie che erogano servizi, e un movimento di attivismo politico con un numero imprecisato di militanti che ha contatti diretti con la politica e l’economia.

Pur se unire questi tre gruppi è complesso, se non impossibile, smettiamo comunque per favore di navigare a vista in solitaria e creiamo una flotta che combatte unita in buona compagnia. Di cose da fare e da cambiare in meglio ce ne sono a bizzeffe e resisting is a full time job, resistere è un lavoro a tempo pieno. Anche nel 2022, insieme a chi collabora al portale, continuerò quindi a lanciare ponti per collegare quelle isole autoreferenziali, abitate da pregiudizi e stereotipi e limitate nelle conoscenze reciproche, che compongono il variegato arcipelago LGBT+ italiano.