Come aggettivo o come sostantivo, cisgender è diventato un termine onnipresente nelle comunicazioni a tematica LGBT. Ne conosciamo però le origini, e capiamo i limiti e le sfide che l’uso di questa espressione comporta? È un’ulteriore etichetta che rimette in equilibrio le differenze o un derogatorio simbolo di privilegio rispetto a chi si identifica nel ventaglio transgender?

 

Il termine cisgender nasce originariamente in tedesco come zissexuell in opposizione a transsexuell, e come autore del conio viene oggi indicato il sessuologo tedesco Volkmar Sigusch, che lo avrebbe usato per primo in un saggio del 1991.

Secondo le spiegazioni etimologiche in questo momento di moda, il conio avrebbe utilizzato la simmetria antinomica fra i prefissi latini “cis-” e “trans-“, che indicano rispettivamente “al di qua” e “al di là” di un punto geografico preciso. Esempi sono cispadano, che è di qua dal Po rispetto a Roma, e transpadano; cisalpino e transalpino; Cisgiordania e Transgiordania o Transleitania e Cisleitania, aree separate rispettivamente dal fiume Giordano e dalla Leita, tributario del Danubio, che un tempo formava una frontiera tra Austria e Ungheria.

In realtà in questa spiegazione esiste un malinteso, che influisce anche sul senso da dare a cisgender. Il prefisso latino “trans-” ha, infatti, due utilizzi distinti: nel primo indica una collocazione toponomastica equivalente “al di qua” di un punto in una mappa, come appena illustrato; nel secondo indica, invece, un movimento, non necessariamente reversibile, attraverso qualcosa, oppure da una cosa a un’altra e in questa seconda possibilità non presuppone affatto una simmetria, vedi le parole trasformazione, tragitto, trasporto, trasferimento, traduzione…

Magnus Hirschfeld

Ebbene, fu nel secondo e non nel primo senso che Magnus Hirschfeld utilizzò “trans-” per creare “trans/sessuale”, indicando una trasformazione del sesso che non presuppone nessuna reciprocità. Non esiste la “cisformazione”, perché l’assenza di trasformazione è lo stato originario.

Dunque non esiste una “necessità di simmetria”, contrariamente a quanto viene spesso invocato, che richieda obbligatoriamente l’utilizzo della parola cisgender. Non a caso Hirschfeld stesso non aveva pensato di creare il contro-corrispondente di transessuale, né lo fecero coloro che avevano usato questo termine nel secolo successivo.

L’Oxford English Dictionary, che ha accolto il lemma nel 2015, ne segnala l’apparizione in inglese già tramutato in cisgender “alla fine degli anni Novanta”, tuttavia un suo utilizzo online è già segnalato nel 1994. La definizione presente è “Designa una persona il cui senso dell’identità personale e il genere corrispondono al suo sesso alla nascita; o a qualcosa relativa a persona di questo tipo”.

Per Wikipedia, invece,”Il termine cisgenere (in inglese cisgender) indica le persone la cui identità di genere corrisponde al genere e al sesso biologico alla nascita”. Ancora secondo il sito italiano Gay.it, di solito vicino alle posizioni queer “Con cisgender si indica una persona che si riconosce nel sesso con il quale è nata, ovvero la sua sessualità coincide con la sua identità di genere. Quindi, se una persona è nata con gli attributi maschili (sic) e si riconosce come maschio, è un uomo cisgender. Una persona nata con le caratteristiche femminili sarà una donna cisgender solo se anche la sua identità di genere sarà femminile”. Si noti qui la confusione tra “sessualità” e “sesso biologico” e il riferimento agli “attributi maschili”, che contraddice apertamente la teoria queer.

Infine, secondo Transhub.org.au, un sito australiano di informazioni per persone trans, che utilizza correttamente le categorie di linguaggio dell’attivismo trans queer, “Cis, abbreviazione di cisgender (…), è un termine che indica che qualsiasi genere tu abbia adesso è lo stesso che è stato presunto per te alla nascita. Questo significa semplicemente che quando un genitore o dottore ti ha chiamato ‘un bambino’ o ‘una bambina’ quando sei nata/o, ci ha azzeccato. Le persone cis possono essere uomini o donne, perché questi sono i generi con cui i dottori etichettano la gente alla nascita. Il genere di una persona non s’identifica con la sua sessualità, pertanto puoi essere cisgender ed etero, gay, lesbica, bisessuale, queer, o di un’altra sessualità, esattamente come puoi essere trans e di qualsiasi sessualità”. 

L’antonimo di cisgender, ossia transgender, era già ampiamente in uso in inglese prima del conio di cisgender, quindi la nascita di un simmetrico per indicare il “non-transgender” era praticamente scontata. Dopo un utilizzo all’interno del mondo queer e dell’attivismo trans, cisgender è stato popolarizzato fra il grande pubblico nel 2007 dal successo del libro Whipping girl dell’attivista trans Julia Serrano.

Non è stata ancora fatta, invece, una ricerca sull’anno della prima attestazione in italiano di cisgender e “cisgenere”. Il vocabolario Treccani, che non riporta cisgender in quanto termine straniero, segnala però l’espandersi di “cissessuale” a partire dal 2015 circa, non casualmente in traduzioni dall’inglese americano o in riviste possedute da editori americani (come Vice). In effetti il settimanale L’Espresso lo utilizza già nel 2015 nel titolo dell’articolo di Antonio Sciotto “Siamo tutti cisgender o trans gender”.

Il prefisso cis-, risignificato per definire “non-transgender”, è entrato inoltre a far parte di una serie di neologismi creati dal gergo queer, particolarmente diffusi sui social media e nella generazione più giovane di attivisti LGBTQ. Oltre al già citato “cissessuale” e “cis-sessualità”, abbiamo infatti l’usatissimo diminutivo “cis”, nonché “cisnormativo” e “cisnormatività”, o “cissessista” e “cissessimo“, e altri ancora.

In considerazione del carattere estremamente polemico del dibattito sul cosiddetto “genere”, l’uso stesso di questo termine ha scatenato polemiche molto accese sia a favore sia contro. Da un lato i sostenitori del suo uso indicano che questa parola è logica e necessaria in un dibattito sulle persone transgender, così come quando si parla dei problemi e dei diritti delle persone non-udenti è necessario disporre del termine “udenti” per chiarire di chi si sta, di volta in volta, parlando, senza dover ricorrere a termini discriminatori e spesso insultanti, come “normale” o “sano”.

Sul sito di cosmesi ed estetica Spinkup! nella rubrica “Moda e Lifestyle” è pubblicato un articolo dal titolo “Cisgender: cosa significa cis-sessualità?” in cui si legge “Sbagliando, molti definiscono i cis-sessuali come persone normali, andando a creare un divario (difficilmente colmabile) tra chi non si riconosce della categoria e, talvolta, rischia di sentirsi diverso e a disagio. Occorre dunque educare le nuove generazioni per far sì che questo elemento della personalità eviti di coincidere con la creazione di gruppi etichettati”.

immagine @briar.rolfe

Nel dibattito di lingua inglese, in cui la conoscenza del latino è praticamente nulla, s’è diffusa una paraetimologia che fa derivare la simmetria fra cisgender e transgender dalla chimica, dove “trans” e “cis” indicano due possibili conformazioni di molecole isomere, cioè uguali ma diverse nella disposizione spaziale degli atomi. Cisgender sarebbe quindi, secondo questa etimologia, un termine che indica una condizione simmetrica a quella indicata da transgender.

Nello stesso articolo di Transhub.org.au, è scritto “La chimica ha usato le parole ‘trans’ e ‘cis’ per parlare dell’organizzazione degli isomeri, che sono molecole o ioni che hanno la stessa formula ma una differente struttura. Sono usate per descrivere la struttura di una molecola, o per dire se un atomo stia dallo stesso lato di un atomo simile, o da un altro lato”

Purtroppo, nel clima surriscaldato dei social media, cisgender è rapidamente divenuto un termine ingiurioso, anche abbreviato e in associazione con altri, come “maschio bianco cis” o “cis gay”. In inglese si usa il gioco di parole “cis-tem” al posto di system in frasi d’insulto come fuck the cis-tem o destroy the cis-stem, per evocare di mandare a quel paese o distruggere il sistema “cis”. Fra il 2011 e il 2015 assurse a “meme” la frase “Die cis scum“, “Crepa, feccia cis”, anche accompagnato da minacce di violenza. 

In questo uso quindi cisgender o “cis” o anche, se riferito a maschi gay (“cissy” per assonanza con sissy, checca), indica derogativamente l’individuo non solo non-transgender, ma anche profondamente transfobico, arroccato in difesa dei privilegi che la sua condizione di non-transgender gli garantisce, e che rifiuta di condividere con “la più oppressa minoranza al mondo”. L’individuo “cis” è schierato su posizioni patriarcali, trans-escludenti, borghesi, colonialiste, razziste.

Ovviamente il rifiuto opposto dalle persone “gender critical” a identificarsi come cisgender è letto qui come un chiaro esempio del “privilegio cis”, consentito solo a chi, facendo parte d’un gruppo che detiene il potere, può permettersi di negare l’evidenza, in quanto così facendo nasconde l’esistenza stessa di tale privilegio e potere.

K.J. Rawson

K.J. Rawson, docente transgender di gender studies specifica in proposito che “Forse che ‘eterosessuale’ è un insulto? No. Si limita a descrivere un’identità e un’esperienza. Poiché le persone etero di solito non sperimentano la loro eterosessualità come un’identità, molte di loro non s’identificano come eterosessuali – e non ne hanno bisogno, perché la cultura lo ha già fatto per loro. Similmente, le persone cisgender di solito non s’identificano come cisgender, perché le attese sociali presumono già in partenza che lo siano. (…) Ed è un potere incredibile e invisibile non avere bisogno di dare a te stessa/o un nome, in quanto le norme lo hanno già fatto per te. Non hai bisogno di fare coming out come eterosessuale o come cisgender perché ci si aspetta già che tu sia tale. Poiché non si tratta di un termine ingiurioso, coloro che obiettano a esso sono più probabilmente a disagio con le tematiche trans, o forse non hanno nessuna volontà di confrontarsi col loro privilegio.”

Se oggi l’utilizzo del concetto di cisgender da parte di una persona perlopiù indica simpatia per le posizioni filosofiche e politiche queer e dell’attivismo trans, passiamo adesso alle posizioni contrarie. Dopo un breve periodo in cui cisgender è stato usato a volte come semplice termine descrittivo, si è sviluppato un atteggiamento di rifiuto di utilizzarlo. Le ragioni sono esposte in dettaglio da Cinzia Sciutoi in Cisgender sarà lei! Il genere fra identità e stereotipi, ma in sintesi le obiezioni si concentrano su due punti.

Il primo è che il concetto di cisgender dà per scontato che ogni persona debba necessariamente avere un’identità di genere, concetto che la posizione “gender critical” rifiuta. Per questa posizione, infatti, il genere è solo una gabbia socialmente costruita, artificiale, imposta dall’esterno, che va distrutta e non certo abbracciata. Chi rifiuta il concetto stesso di genere non può certo possedere un genere, in accordo o disaccordo col sesso di appartenenza che sia. Quindi essere cisgender, in questa prospettiva, significa semplicemente aderire ad alcuni stereotipi sociali: niente che possa costituire una “identità”.

In occasione dell’uscita del libro Noi, le lesbiche. Preferenza femminile e critica al transfemminismo, con interventi di varie autrici tutte attiviste di Arcilesbica, l’associazione ha pubblicato vari post su Facebook anche inerenti concetti di eterosessualità, omosessualità, transessualità e intersessualità, che implicano la dualità dei sessi. Il sesso per loro “non è assegnato, è riconosciuto alla nascita. Siamo donne ribelli agli stereotipi di genere caricati su di noi in quanto femmine. Dunque – scrivono ancora – non ci si addice il termine cisgender”.

Il secondo punto contrario è che si tratta di un’identità imposta dall’esterno proprio da chi, ironia della storia, afferma di battersi contro l'”inscatolamento” delle persone in identità preconfezionate e standardizzate. Ma imporre a forza l’identità di cisgender a chi non ci si riconosce, corrisponde a ciò che, nel linguaggio queer, è definito “misgendering“, ossia rivolgersi a qualcuno usando un genere in cui non s’identifica. Quest’azione è stata quindi battezzata “cisgendering“, in italiano “cisgenderare”.

Lo scrittore John Boyne, autore del romanzo Mio fratello si chiama Jessica, ha scrittoRifiuto la parola ‘cis’, definizione data dalle persone transgender ai loro fratelli nontransgender. Non mi considero un uomo cis; mi considero un uomo. (…) Rifiuto la nozione che qualcuno possa imporre una definizione non voluta a qualcun altro”. Si noti la contraddizione di aver dovuto comunque usare il neologismo “nontransgender” per distinguere fra due gruppi di persone. Palesemente il problema di cisgender non sta nell’essere inutile, semmai nell’essere ingiurioso e ideologicamente fazioso.

In generale il pensiero “gender critical” afferma che, nella misura in cui nessun essere umano desidera vivere come incarnazione d’uno stereotipo imposto dall’esterno, esistono sette miliardi di identità di genere: una per ogni essere umano, tutte diverse l’una dalle altre. Dunque è impossibile essere cisgender, ossia l’incarnazione d’uno stereotipo.

Per concludere, oggi il rifiuto di utilizzare il concetto di cisgender da parte di una persona perlopiù indica simpatia per le posizioni filosofiche e politiche “gender critical” (TERF per gli avversari, acronimo di trans-exclusionary radical feminist, femminista radicale trans-escludente).

A questa critica però va aggiunta quella della comunità delle persone con DSD (Differenze delle Sviluppo Sessuale, un tempo definite “intersessuali”), che ha obiettato che il binarismo esistente fra cisgender e transgender prescinde totalmente dalla loro condizione, in cui in taluni casi è impossibile determinare in termini non arbitrari quale sia il sesso con il quale l’identità di genere dovrebbe teoricamente combaciare. Secondo tale pensiero il binarismo cisgender/transgender escluderebbe le persone con DSD, e non sarebbe quindi “inclusivo”.