Approdato finalmente in Italia il musical Kinky Boots che porta le firme prestigiose di Harvey Fierstein e Cindy Lauper. È possibile trasformare una tradizionale fabbrica di scarpe in una fucina di creazioni esagerate per i piedi delle drag queen, e finire sulle passerelle delle sfilate milanesi? Ce lo racconta il regista Claudio Insegno che lo ha scoperto e adattato per il nostro pubblico.

 

Come salvare dal fallimento una gloriosa fabbrica di scarpe i cui manufatti non sono più concorrenziali sul mercato? A Steve Pateman venne l’idea geniale di proporre “stivali eccentrici” destinati alle performance delle drag queen: vinte le resistenze e le ironie dei dipendenti, le originalissime calzature si rivelarono un successo, salvando posti di lavoro e rimpinguando le casse.

A questa storia vera si è ispirato il film Kinky Boots diretto nel 2005 dall’inglese Julian Jarrold, ma la fama è arrivata con l’omonimo musical firmato per il libretto da Harvey Fierstein, attore e autore del teatro e del cinema gay (Amici, compici, amanti), e per musiche e canzoni da Cindy Lauper, icona pop degli anni ottanta ma ancora in piena attività.

È stato un trionfo a Broadway nel 2013 con ben 7 Tony Awards (l’Oscar del teatro) conquistati e a Londra è in scena all’Adelphi dal 2015. A farlo conoscere in Italia ci ha pensato Claudio Insegno, attore sul palcoscenico e sullo schermo, e dal 2008 regista di spettacoli di prosa come Fiori d’acciaio e Risate al 23° piano. Ma è nel musical che ha trovato la più autentica vocazione: negli anni si sono ripetuti i successi di Joseph e la strabiliante tunica dei sogni in technicolor, La febbre del sabato sera, Hairspray, Spamalot e nella scorsa stagione Jersey Boys.

Con Kinky Boots è stato amore a prima vista. La storia del giovane inglese Charlie Price che a Northampton si trova a ereditare dal padre un’azienda in crisi e, avvicinatosi per caso al mondo delle drag, promuove poi la prorompente Lola a stilista responsabile della nuova linea che approderà alle sfilate del MICAM di Milano, è stata una calamita irresistibile.

Insegno, supportato dalle coreografie di Valeriano Longoni e dall’orchestra di Angelo Racz, lo ha portato al teatro Nuovo di Milano, anche produttore, dove è stato in scena oltre un mese con enorme successo. Lo abbiamo sentito dopo il festeggiato debutto sold out.

Presenza delle drag queen a parte, a qualcuno può sembrare che il tema della diversità sia piuttosto semplificato a beneficio di un vasto pubblico.

Da noi si tende ancora a identificare il musical come uno spettacolo per famiglie, ma negli Stati Uniti, dove gli spettatori sono più spregiudicati, sono molto più avanti. Se ci pensiamo bene, Kinky Boots ci racconta che prima dell’appartenenza a un genere o una razza esistono le persone che non sono certo tutte uguali. I bambini non fanno alcuna differenza tra etero e omosessuali, tra diversi colori di pelle o religioni: gli adulti dovrebbero imparare da loro. Abbiamo lavorato per renderlo più appetibile al palato nostrano: dandogli più ritmo e imponendo un tocco italiano.

Ha raccolto le impressioni di qualche spettatore gay?

Sono state in generale più che positive. Mi ha poi fatto piacere notare che qualcuno del pubblico al primo impatto con le drag abbia storto il naso (proprio come l’omofobo e razzista Don fa nella fabbrica) ma poi sia entrato nel gioco, cogliendo lo spirito del musical che è quello di parlare di ciò che vorremmo essere e di ciò che siamo, con leggerezza e il sorriso sulle labbra. Vuol essere un inno alla vita, perché è la gioia di nascere fortunati, di sviluppare un sentimento verso un lavoro, un’amicizia, un amore, un gruppo con cui si sta insieme.

L’amicizia tra Charlie e Lola ha infatti un peso rilevante nella storia.

È la base di tutto anche nella vita. È la storia della nostra esistenza: stare insieme a una persona e condividerne scelte e emozioni è quanto di più bello esiste al mondo.

Come ha trovato gli interpreti giusti per i ruoli?

Non cerco volti noti perché non necessariamente la fama coincide con la bravura. Servono performer completi e tutto il cast è fondamentale: una quarantina di persone che si sono preparate in maniera eccelsa. Abbiamo provinato quasi 900 candidati ma non c’era nessun attore italiano in grado di ballare e cantare sul tacco 12. Alla fine siamo andati a Parigi e abbiamo scoperto Stan Believe che era il protagonista francese di Hairspray: strepitoso e perfetto per la parte di Lola, in poco tempo ha anche imparato l’italiano.

La scelta di un protagonista straniero può dipendere dal fatto che il musical non appartiene alla nostra cultura e che la formazione delle scuole di teatro si basa più sulla recitazione. È difficile trovare attori e attrici che sappiano al contempo cantare, ballare e recitare in modo egregio.

Non sono d’accordo. Stanno emergendo nuovi talenti che sanno coniugare queste abilità: un esempio è Marco Stabile, già con me in Jersey Boys, che è un ottimo Charlie.

Avete dato grande rilievo a scene e costumi…

Ci siamo indirizzati verso uno stile esagerato: 200 vestiti strepitosi disegnati da Lella Diaz, stivali pazzeschi, per non dire delle parrucche, realizzate lo stylist di RuPaul, drag queen stellare. Le scene, firmate da Francesco Fassone, hanno un impatto strepitoso, come quel tapis roulant dove scorrono i modelli delle scarpe come in una vera fabbrica.

Prossimi impegni o progetti?

A Roma ho appena diretto l’eclettica Barbara Foria in Euforia, poi nei prossimi mesi uscirà al cinema la mia ultima fatica da regista e, infine, stiamo valutando le proposte per la tournée di Kinky Boots, in un teatro che ci garantisca una lunga tenitura, proprio come a Milano.