In occasione dell’International Transgender Day of Visibility 2020, Giovanni Dall’Orto onora la memoria di una donna transessuale italiana autentica pioniera delle lotte per i diritti LGBT. Riportiamo, con la concessione dell’autore, la sua incredibile storia.

Prima pubblicazione su https://giovannidallorto.wordpress.com

 

Uno degli aspetti più sgradevoli del “pensiero unico” è l’eliminazione deliberata di tutte le storie “locali” e la trasformazione della storia dell’Impero nella Storia Unica, obbligatoria, di tutti quanti. Quando la Francia era un impero, i bambini algerini studiavano che “i nostri antenati erano i Galli”, anche se a casa loro parlavano berbero o arabo, e l’unica cosa di celtico di cui avessero mai sentito parlare era il dispensario.

Allo stesso modo, oggi, la Sinistra Imperiale (a cui si compiace di appartenere il movimento lgbtqi+-) nel 2019 ha celebrato con lacrime di commozione l’anniversario di Stonewall, senza mai ricordarsi che decorrevano anche i 120 anni del Codice Zanardelli del 1889 che, in Italia, concesse quella decriminalizzazione dei comportamenti omosessuali che nel 1969 le nostre sorelle d’oltre Oceano stavano ancora solo sognando. Molto, sognando.

Eh già, per i seguaci dell’Impero la nostra storia inizia a Stonewall, e infatti nessuna celebrazione è per ora prevista da noi per il cinquantenario della fondazione del Fuori! (il primo gruppo gay nato in Italia) nel 1971. Si parla forse di fare qualcosa per il cinquantenario della Manifestazione di Sanremo, boh, bah, vedremo. Ma di quello che abbiamo fatto noi, non importa un fico a nessuno. Non è hollywoodiano, you know.

Analogamente, se chiedessi a tutti i miei amici che oggi celebrano la giornata internazionale della visibilità transgender,  di nominare le persone che col loro esempio hanno reso possibile tale visibilità, so che sentirei nominare Sylvia Rivera, o  Christine Jorgenssen, oppure Roberta Cowell, o al massimo, dai più raffinati di loro, Lili Elbe o Coccinelle. Nomi italiani, zero.

Credo pertanto che, vista la ricorrenza, un tributo sia dovuto a chi in Italia ha posto per prima la questione della transizione, ha tastato il terreno, ha impegnato la legge e i tribunali, ha stabilito un precedente e un principio. Aprendo la strada alla legge sulla riassegnazione anagrafica di sesso. Parlo di Rola Casciotti, un nome che fin qui abbiamo sentito nominare in pochi.

Nata nel 1931 a Rocca di Papa, un comune dei Castelli Romani, Rola ebbe, come tutte le persone trans della sua epoca, una vita conforme al genere assegnato fino all’età adulta: dopo essersi diplomata come maestr* elementare fece il servizio militare e divenne tenente (dettaglio che negli articoli di giornale sul suo caso non ci si dimenticava mai di menzionare, perché in quegli anni la naja era spacciata come “prova” di virilità).

Dopo aver sentito parlare degli esperimenti (perché a quell’epoca, tali, erano ancora) di chirurgia plastica dei genitali, scontratasi con la legge fascista (oggi abolita) che puniva qualsiasi medico che avesse reso “inabile a generare” un uomo o una donna, Casciotti si risolse a un gesto dettato da un’assoluta, e francamente anche un po’ folle, disperazione: il 14 gennaio 1954, dopo aver studiato libri di anestesia e chirurgia, si operò da sola.

Prevedibilmente, fu ricoverata d’urgenza in ospedale con una violenta emorragia, ma a questo punto i chirurghi erano ormai liberi d’intervenire perché non erano più imputabili del reato di sterilizzazione, e nel corso dei successivi tre anni, dopo varie operazioni di chirurgia plastica e dopo un ciclo di ormoni femminili, Maria ottenne infine il corpo femminile che aveva fin lì sognato.

A questo punto, e siamo nel 1957 o 1958, chiese all’ufficio di stato civile di Rocca di Papa di applicare la legge relativa agli errori di attribuzione di sesso di un neonato, affinché correggesse il suo certificato di nascita da maschile a femminile e la registrasse come Maria Casciotti. I documenti con cui circolava, ed è una storia ben nota a molte persone trans anche oggi, affermavano infatti che Maria era un uomo, ma nei “segni particolari” aggiungeva: “indossa abiti femminili”.

L’Anagrafe oppose però un rifiuto, affermando (non senza ragioni) che la legge non poteva essere applicata in quel caso in quanto, come dimostrava il fatto che Casciotti aveva fatto il militare, era stato riconosciuto fin lì come validamente di sesso maschile. Occorreva, fu suggerito, una sentenza di tribunale che imponesse all’Anagrafe di fare quanto Maria chiedeva. (Anonimo, Giuliano diventa Maria ma non per lo Stato Civile, Avanti!, n. 229, 26.09.1958, p. 7).

E qui iniziò un calvario che durò per ben tredici anni, andando oltre ogni ragionevolezza. Si tenga conto del fatto che all’epoca i casi di transizione erano rarissimi, tanto da poter essere contati letteralmente su due mani in tutta la nazione, e che il significato da attribuire alla transizione era incerto. Quindi una certa elasticità era ancora possibile. Perfino la Chiesa cattolica fu, a tutta prima, presa di contropiede: quando Coccinelle chiese di sposarsi in chiesa utilizzando le norme fino lì applicate per il matrimonio degli “ermafroditi” (intersessuali), incredibilmente acconsentì. (Peccato che questa strada sia stata poi resa impraticabile dalla stessa Coccinelle che, quando decise di divorziare, sostenne di essere sempre stata un maschio, e che l’operazione non l’aveva certo reso femmina. Al che la Chiesa dichiarò sì nullo il suo matrimonio, ma proibì anche ogni ulteriore matrimonio religioso alle persone transizionate).

Maria avrebbe insomma potuto avere una vicenda meno travagliata se avesse incontrato un funzionario più “creativo” (come in quegli anni avvenne più d’una volta) che avesse accettato di “scoprire” un errore nel suo atto di nascita. Ma no, i funzionari vollero coprirsi il cu… le spalle, e vollero a tutti i costi la sentenza.

Che non arrivò. La prima udienza fu fissata per il 14 gennaio 1959, (Guido Guidi, L’istruttoria sull’ex tenente che sarebbe diventato donna, “La stampa”, n. 260, 01.11.1958, p. 11), ma senza riuscire a cavare un ragno dal buco, per cui il 9 aprile furono nominati tre periti per far luce sulla questione (Anonimo, (Il giovane di Rocca di Papa). Tre periti per stabilire se è uomo oppure donna, “La stampa”, 04.09.1959, p. 8Anonimo, La singolare vicenda dell’ex-tenente Casciotti, diventato donna dopo una pericolosa operazione, “Stampa sera”, 05.10.1959, p. 3).

Nel frattempo Maria aveva chiesto di essere chiamata “Rola” (diminutivo del secondo nome anagrafico, Roland*) e le era stata attribuita una storia d’amore con un contadino “dagli occhi verdi” (Anonimo, L’uomo diventato donna ha un giovane innamorato, “La stampa”, 03.10.1958, p. 4;  Anonimo, È un contadino dagli occhi verdi il fidanzato di Rolando Casciotti, “Il Tempo – cronaca di Roma”, anno XV, n. 275, 04.10.1958, p. 5). Si trattava di un certo Federico Nuti, che fu costretto a smentire la storiella scrivendo lettere ai giornali (che probabilmente avevano così mandato all’aria la relazione, spubblicandola).
Ancora il 5 ottobre 1958 un articolo si disse ottimista sul fatto che la vicenda sarebbe stata risolta entro breve (Anonimo, La singolare vicenda dell’ex-tenente Casciotti, diventato donna dopo una pericolosa operazione, “Stampa sera”, 05.10.1959, p. 3). Invece non solo la sentenza tirò per le lunghe, arrivando nel novembre 1962, ma fu pure una doccia fredda, anzi, fu un pasticcio, un mostro giuridico che di fatto peggiorava la situazione.

Infatti, cercando di essere salomonici (della vicenda si era ormai interessato il Ministero dell’Interno, quindi la questione era diventata politica) ma riuscendo solo ad essere pilateschi, i giudici sentenziarono che Casciotti non era più un uomo, ma non era diventato una donna: in pratica non era né l’uno né l’altro (Guido Guidi, Peggio di prima per Rolando Casciotti. Ora, per i giudici, “né uomo né donna”, “Stampa sera”, 30.11.1962, p. 13;  R. S., Negato il mutamento di stato civile all’ex tenente che si ritiene donna, “La stampa” 30.11.1962, n. 271, p. 9).

Una bestialità, questa, che cozzava con una lunga giurisprudenza secondo cui se non altro la perdita dei genitali maschili non aveva mai comportato la perdita della condizione anagrafica di maschio  (si pensi solo a quante persone, durante la guerra conclusa da poco, erano state mutilate dalle mine anti-uomo, che esplodendo maciullavano piedi, gambe e appunto genitali).

Fu necessario quindi ricorrere all’appello. La prima udienza del quale fu tenuta il 9 dicembre 1964 (R. S., (La causa in Appello). Un giovane dei Castelli romani sostiene di essere una donna, “La stampa”, 10.12.1964, p. 13). Dopodiché il caso sparì dai radar dei giornali, per i quali evidentemente aveva ormai perso l’elemento di novità.

Se ne sarebbe risentito parlare di nuovo solo nel 1971, quando la tanto agognata sentenza sarebbe infine arrivata. (Guido Guidi, Ex ufficiale (ora maestra) di fanteria diventa donna anche per l’anagrafe, “Stampa sera”, 18.01,1971, p. 2). In questa occasione si apprende che Maria, arrivata ormai a quarant’anni, vive a Rocca di Papa, dove è riuscita a realizzare un’integrazione sociale insospettabile per quegli anni, lavorando come maestra in una scuola elementare (e dall’andamento della vicenda è palese che la famiglia Casciotti debba avere sempre spalleggiato Rola, che altrimenti da sola non ce l’avrebbe potuta fare). Apprendiamo inoltre della decisione di registrare in Anagrafe un nome diverso da Maria, ossia ”’Carola”’ (Rola per gli amici).

La sentenza presentò elementi francamente innovativi. I giudici riconobbero infatti che in Rola permanevano sì elementi anatomici maschili accanto a quelli femminili, cosa che creava una situazione “intersessuale”, tuttavia nella Casciotti l’aspetto psicologico (quello che noi chiameremmo oggi l’”identità di genere“) era totalmente femminile. Pertanto acconsentirono infine a ordinare la modifica dell’atto di nascita.

Dopo questo esito non ho trovato ulteriori tracce di Carola Casciotti, nonostante un articolo (non troppo rispettoso) del 1966 avesse additato in lei la vera pioniera della battaglia trans in Italia (Valerio Breno, Il signore vuole il visone, “ABC”, anno VII, n. 5, 30.01.1966, pp. 16-18). Non so se sia ancora fra noi (avrebbe 89 anni, età non impossibile) e se sia ancora possibile intervistarla sulla sua storia.

Se qualcuno avesse ulteriori notizie, farebbe cosa gradita condividendole con me,  ma in ogni caso, spero che Carola abbia vissuto quella vita serena, in mezzo ai suoi affetti, godendo del rispetto dei suoi compaesani, per la quale ha lottato con tanta ammirevole determinazione.

Post scriptum: a chi non capisce a cosa serva il lavoro di raccolta e scrittura testi che stiamo facendo su Wikipink rispondo: a questo. Semplicemente).