Si avvicinano le elezioni amministrative in numerose città e molte persone LGBT hanno deciso di candidarsi a vari livelli. Qual è la posta in gioco per noi, come si dovrebbe affrontare un impegno del genere e quali prospettive si potrebbero aprire? Abbiamo incontrato un amico militante candidato a Milano per discuterne insieme.

foto: Robin Worrall per Unsplash

 

Verde è il colore della speranza, ma anche dell’ecologia. La speranza attuale come comunità LGBT è indirizzata principalmente verso l’approvazione del DDL Zan, mentre per i giovanissimi in generale è di poter vivere in un pianeta eco-sostenibile e di salvarlo dal disastro. Come si dice in inglese usando un gioco di parole tra piano e pianeta, non c’è un Planet B a disposizione.

Due temi distinti, ma forse non così distanti. Abbiamo cercato degli intrecci e degli intralci nei due cammini insieme a Davide Leonardo Meda, candidato sia al consiglio comunale sia nelle zone 1 e 3 della città con il partito Europa Verde che sostiene Beppe Sala nella sua seconda corsa a sindaco di Milano. Oltre a essere un amico di lunga data e militanza, è stato il portavoce del Coordinamento Arcobaleno per tre anni, e la combinazione ci sembrava perfetta per fargli qualche domanda. Si definisce di origine rumena, ecologista da sempre, permalos*, antifascista, ateo e scientista.

Partiamo da un tuo recente post su Facebook in cui hai scritto “senza diritti sociali non sarei esistito mai; senza diritti civili non esisterei ora; senza diritti ambientali non esisterò più”. Come hai scelto di candidarti e di farlo con i Verdi che tornano in campo dopo 10 anni?

Principalmente per la storia dei Verdi in ambito di ecologismo, sotto certi aspetti nacquero per questo quarant’anni fa, però i Verdi non sono solo questo. La prima consigliera comunale transgender in Italia fu Marcella Di Folco eletta con loro a Bologna nel 1995. Moltissime altre persone LGBT partirono politicamente con i Verdi per poi spostarsi. Adesso ci chiamiamo Europa Verde, ma c’è sempre stata attenzione sui temi dei diritti civili oltre che di quelli sociali e naturalmente di quelli ambientali.

Il ventaglio dei diritti da migliorare è molto ampio. Se mi permetti, vorrei limitarmi per questa intervista a quelli LGBT. Per me Milano dovrebbe o potrebbe essere la locomotiva arcobaleno della nazione e non lo è. Come la vedi tu che conosci l’associazionismo cittadino benissimo?

Questo è un argomento più complicato effettivamente. Milano per numero di persone è sicuramente una delle principali città in Italia riguardo alle nostre questioni. Sia la comunità nel senso di chi eroga servizi pensati per la popolazione LGBT sia le associazioni da cui dipendono trattano però poco il tema politico e fanno poca scuola ed elaborazione del pensiero in tal senso.

Tempo addietro io proposi un progetto che si chiamava “Agorainbow” per fare una sorta di formazione su temi di nostra attualità, ma questo non attecchì. Moltissime persone meneghine, legittimamente peraltro, preferiscono pensare agli aperitivi. Forse siamo rimasti un po’ troppo Milano da bere e da chiacchierare e meno Milano che dibatte o pesta i pugni sul tavolo per i diritti civili e non solo.

Al MIX Festival di cinema gay lesbico e cultura queer appena concluso, tra proiezioni e dibattiti è lampante una frattura generazionale. Chi è sopra i 35 anni si auto-identifica come persona LGBT (e all’inizio del nostro movimento la parola gay comprendeva a ombrello chiunque). Chi è sotto questa soglia di età vuole essere queer, pansessuale, genderfluid, non binario ecc. Un passaggio epocale naturale che forse crea una fragilità strutturale. Il mondo eterosessuale non ci conosce e anche tra noi non ci capiamo facilmente. Come risultato le nostre voci non fanno né coro né chiasso. Siamo un (im)movimento che si è arenato? 

È una questione culturale. Siamo figli e figlie del nostro tempo e del nostro territorio però viviamo anche molte istanze che non sono solo nostre in quanto oramai vengono da tutto il mondo e di continuo. Il fatto di avere un’identità ampia e forte sicuramente può dare spazio a tantissime persone che si potrebbero sentire sole. “Sono solo io ad avere attrazione per gli uomini o per le donne?”, “Sono solo io a non rispecchiarmi nel genere maschile o femminile?” per esempio sono domande ancora attuali a cui se ne stanno aggiungendo di nuove.

Io personalmente mi definisco una persona bisessuale non binaria, e le persone non binary sembra che siano diventate numerosissime in questi ultimi anni (per saperne di più sul tema leggete qui). Se di qualcosa o di qualcuno/a non si parla non esiste, mentre più si è al corrente di una situazione più la si capisce e aumentano la probabilità di accettarla.

Quindi pur se io rifletto molto su chi sono ed elaboro molto su cosa posso dare alla comunità LGBT, sicuramente in questo momento in Italia arranchiamo un po’. Lo si vede nelle proposte che portiamo avanti: anche se siamo molto presenti sui media con il tema del DDL Zan e in tutti i luoghi dove siamo scesi in piazza, al contempo c’è da chiedersi perché troppe volte non siamo ascoltati o riceviamo solo delle belle pacche sulle spalle.

Tu mi conosci e sai che come figura retorica amo l’iperbole. La mia idea è che l’intero impatto dell’Onda pride 2021 è stato pari a zero…

Da voci che vengono da altri pride spesso sento dire che a Milano siamo molto vicini alle tematiche di come avvicinare gli sponsor, cosa che io non tendo tanto a criticare perché effettivamente se una realtà commerciale veramente ci crede io sono contento che abbracci il nostro impegno. Molti marchi sono rimasti malgrado la pandemia e la minore visibilità che potevano ottenere e altri no. La virtù sta nel mezzo (un mio commento sulla situazione qui, N.d.A.).

Siamo una parte di popolazione in grado numericamente di far eleggere chiunque, ma in America si dice che gay people vote with their class not with their ass. Per tradurla in maniera non troppo volgare “i gay votano in base alla loro classe sociale e non in base al loro orientamento”. Come convincere quindi le persone  LGBT (milanesi) a prendere in considerazione di votare candidature LGBT, e perché le persone T tendono a non andare a votare? 

Le persone T che non hanno ancora i documenti conformi alla loro identità si sentono molto a disagio a mettersi in coda nella fila appartenente al genere di nascita e non di adozione e non vanno a votare, facendo perdere la loro voce. La comunità/popolazione LGB, invece, è molto refrattaria e lo posso capire perfettamente.

Se per esempio la prima istituzione con cui entriamo in contatto ovvero la scuola tende a non avere una particolare vicinanza per le nostre istanze, e anzi fa di tutto per sabotarci, è chiaro che le vediamo tutte come qualcosa di estraneo da noi e non ce ne curiamo in specifico. Le lotte fatte in questi 50 anni anche in Italia comunque confermano che per le nuove generazioni it gets better, le cose migliorano (e non “le cose cambiano”, perché qui tendono a cambiare in peggio, N.d.A.).

Il fatto di poter dire “io mi candido” spesso e volentieri può essere visto come un opportunismo, come una persona che vuole salire e accodarsi al carro delle tante persone LGBT che sono già andate nei partiti di maggioranza e che poi a livello concreto hanno deluso. Bisognerebbe essere più vicini alla comunità non solo quando si chiede il voto, e soprattutto rendere effettive le questioni portate avanti facendo poi rapporto agli elettori e alle elettrici che ci hanno sostenuto.

In questo senso le colpe sono un po’ da una parte e un po’ dall’altra: ben venga il divertimento in giro per i bei locali LGBT della nostra città, ma anche una maggiore attenzione alla nostra cultura; chi è eletto/a dimostri di aver soddisfatto le proprie promesse, che siano una nuova panchina arcobaleno o un’azione contro l’omolesbobitransfobia (non dimenticatevi del turismo LGBT per favore, N.d.A.). In questo modo le nostre candidature sarebbero più sentite.

A Milano ci siamo presentati/e in tanti/e, quindi tenere le persone LGBT aggiornate è una promessa che possiamo fare. Come Europa Verde, inoltre, io cerco cambiamenti sia all’interno sia all’esterno, perché nessun partito è perfetto. Ci sono temi caldi su cui tutti i partiti si scontrano, per esempio le questioni di identità/espressione di genere o la maternità surrogata. È una rivoluzione che va portata avanti e io se entrerò in consiglio comunale o in municipio di Zona 1 o 3 lo farò, perché sono sicuro che tu me ne chiederai conto se mi voterai.