Dalla danza iraniana in drag di una compagnia svedese a quella radicalmente queer di un gruppo danese, e non manca una coreografia italiana per due danzatori senza veli. Un omaggio a Pippo Del Bono e un’intensa interpretazione di Anna Buonaiuto: questo e molto altro a Kilowatt Festival.

La notte – foto di Luca Del Pia

 

Vent’anni rappresentano un traguardo importante, e lo ha tagliato Kilowatt Festival, diretto da Lucia Franchi e Luca Ricci della compagnia Capo Trave. Per l’occasione la rassegna si è sdoppiata: dopo la prima tranche nella storica location di Sansepolcro (dal 12 al 16 luglio) ha passato il testimone a Cortona (dal 20 al 24).  “Eccesso di realtà” è il titolo scelto per l’ultima edizione ed emblematica l’immagine che lo accompagna: un uomo disteso beatamente su una bella spiaggia assolata, ma prossimo a essere lambito da un’ondata carica di orribili rifiuti.

Fedele alla sua formula collaudata che prevede una miscellanea di prosa, danza, stand up comedy, circo e musica, ha presentato un totale di 70 spettacoli, 57 compagnie ospiti e 24 tra prime e anteprime nazionali, molte delle quali troveremo nei cartelloni della prossima stagione teatrale.

Il programma di Sansepolcro ha visto un omaggio a Pippo Delbono comprendente il monologo La notte, rivisitazione di La notte poco prima della foresta di Bernard-Marie Koltès (pregno di suggestioni omoerotiche nella figura del protagonista, un magrebino in cerca di un amico che gli offra un tetto sotto cui rifugiarsi) e il suo documentario autobiografico Il grido nel quale gli sono accanto compagni di vita e di lavoro come Pepe Robledo, lo scomparso Bobò, Nelson Lariccia e Mario Intruglio.

Tra le altre proposte ricordiamo il Woyzeck di Georg Büchner, riletto dalla drammaturga Letizia Russo, per la regia di Carmelo Alù e con Marco Quaglia; Pietre nere, ideato e interpretato da Enrico Castellani, Valeria Raimondi e Francesco Alberici della compagnia Babilonia Teatri che, con voci, suoni, immagini e storie, si sofferma sul concetto di casa; Uno sguardo estraneo, testo di Linda Dalisi, firmato da Paolo Costantini in cui si esplora il rapporto che abbiamo con la percezione del tempo e il legame con la concezione della felicità. A Elena di Troia è ispirato Opa, scritto e interpretato dalla greco-svizzera Mélina Martin mentre il regista Enrico Baraldi si confronta, in maniera del tutto originale, con un classico di Cechov in Non tre sorelle che schiera un cast di attrici italiane e ucraine.

Tra le numerose partecipazioni, la danza ha visto schierate la compagnia Dewey Dell in I’ll do, I’ll do, I’ll do, su un raduno magico di streghe. Fluttuante tra balletto, performance art e teatro fisico è Mass Effect del coreografo Andreas Constantinou per l’ensemble danese HimHerandIt che sta compiendo una ricerca sull’identità di genere, sulla costruzione del maschile e femminile e sulle metamorfosi del gender bender nella società contemporanea. Sofia Nappi ci immerge invece nelle atmosfere giapponesi con Wabi–Sabi, proponendo una visione del mondo incentrata sull’accogliere la transitorietà delle cose. Silvia Gribaudi e Tereza Ondrova in Insectum in Sansepolcro si rapportano al mondo animale attraverso l’esplorazione e la messa in discussione dei propri corpi.

Boxes – ph. Luca Del Pia

Ha fatto seguito la seconda tranche nella medievale Cortona, uno scrigno colmo di tesori artistici, racchiusi in chiese, musei e palazzi, tra cui spiccano i dipinti di Luca Signorelli, Beato Angelico, i lavori di Gino Severini e gli imperdibili reperti etruschi. Assai incoraggiante è stata la fattiva risposta delle istituzioni e del pubblico locale.

Raggruppando per generi le molteplici proposte di questa seconda parte, cominciamo proprio da quella a cui è difficile dare un’etichetta precisa: percorso iniziatico, installazione o teatro di figura? Boxes della compagnia Unterwasser è un po’ tutto questo. Cinque spettatori alla volta sono condotti, quasi per mano all’interno del Chiostro di Sant’Agostino, uno per uno, al cospetto di sei capienti scatole che potremmo definire delle piccole macchinerie colme di sorprese. Muniti di cuffie e con occhi ben posizionati su spioncini, a guisa di forzati voyeur, cominciamo a interagire pigiando pomelli e alzando o abbassando leve, sfiorando piume o agitando ventagli mentre all’interno si muovono figure in miniatura o voci di bambini che fanno domande impossibili a cui gli adulti non sanno rispondere. Ci sentiamo regredire all’infanzia in una discesa nella dimensione della poesia e della tenerezza difficili da dimenticare.

Nata tra Londra, Edimburgo e New York, la stand up comedy da molti anni si è affermata anche in Italia. A Kilowatt è stata rappresentata da Luisa Merloni, fondatrice con Manuela Cherubini della compagnia Psicopompo Teatro, e Davide Grillo del collettivo teatrale Sgombro. Con Aristotele’s Bermuda, la prima affronta, con leggerezza e autoironia, i problemi della donna single con relative illusioni e disillusioni, la difficoltà di trovare sintonia con una parte dell’universo maschile, ma nella sua performance sconfina anche in una dimensione surreale come nell’incontro nella metropolitana romana con il filosofo, ridotto a vendere sandali greci e pantaloncini. Grillo, invece, con Il tempo stinge prende spunto da suoi canovacci per una dissertazione spesso sarcastica e impietosa sul tema del tempo e il suo inesorabile trascorrere con relativo, inevitabile epilogo, attraverso una serie di personaggi assai originali se non talvolta borderline.

70 anni – ph. Elisa Nocentini

Per le arti circensi i Carpa Diem (Katarina Gruner e Luca Sartor) in Doppio zero fanno acrobazie con la bicicletta, i francesi Cie Monad si dedicano alla giocoleria con rimandi alla disciplina del thai chi e Leo Bassi ci ha di nuovo avvinti con sue le doti di istrionico affabulatore in 70 anni. L’importante compleanno è l’occasione per una cavalcata nel passato (illustrata da immagini e spezzoni) dove si sdipana la storia sua e della famiglia, sin dai bisnonni (immortalati in uno dei primi film girati dai fratelli Lumière), ai nonni e ai genitori, tutti, volenti o nolenti, artisti di circo. Lo vediamo giovane esibirsi a New York, poi in giro per il mondo, dall’Africa alla Norvegia e per ogni tappa c’è un aneddoto esilarante, un video o una fotografia. Se il presente, con gli acciacchi che lo affliggono, è amaro comunque persiste il gusto per il paradosso e l’autoironia corrosiva: sul deambulatore innesta un manubrio di motocicletta stile Harley Davidson e scorrazza per il palco allestito nella magica piazza del Duomo.

Uno spazio importante è stato riservato alla danza con significative presenze internazionali quali il Kunstgruppen Ful, collettivo svedese che fonda il proprio lavoro sull’ideologia femminista e indaga sulla diaspora mediorientale postcoloniale: in Baba Karam si ispira all’omonimo stile di danza iraniano che prevede l’uso del drag maschile, mettendo in discussione le tradizionali rappresentazioni di genere e lasciando libero sfogo al desiderio queer.

Together – ph. Elisa Nocentini

La coreografa olandese di origine caraibica Donna Chittick ha mostrato Together, una creazione per sole donne che insieme reagiscono alle pressioni della società con l’arma della solidarietà femminile. Dalla Spagna proviene invece la compagnia Ivona, fondata da Pablo Girolami, che con Manbushona ci conduce, attraverso i plastici corpi di cinque danzatori, in un viaggio nel tempo e nello spazio che inizia lento e via via acquista ritmo e velocità sia nelle evoluzioni di gruppo che nei sensuali assoli, mentre francese è il coreografo Aloun Marchal che in Sonor sceglie per quattro danzatrici la via della performance ritmica basata sui suoni con accenni al teatro kabuki e ai canti popolari ucraini mentre i corpi si trasformano e deformano.

Tra questi il lavoro che più abbiamo apprezzato all’Auditorium Sant’Agostino è stato Shoes On, ideato da Luna Cenere per Michele Scappa e Davide Tagliavini che, nudi durante tutta l’esibizione ma con le scarpette ai piedi, nella prima parte s’intrecciano l’uno nell’altro per diventare un unico corpo muscoloso, una sorta di bizzarra creatura acefala che con le schiene arriva a formare un insolito cuore, ricordandoci a tratti le invenzioni dei Momix di Moses Pendleton. Tutto cambia, comprese le musiche di Renato Grieco che da ipnotiche si fanno ritmiche e quasi pop, nella seconda parte quando i due si separano e si sollevano muovendosi in perfetta sincronia e innestando nella danza elementi di sottile humor, come nel finale: si tolgono le scarpe che rappresentavano il loro vestito, rimanendo solo ora nella loro totale e innocente nudità.

About Lolita

Un panorama variegato e di ottimo profilo è stato quello destinato alla prosa. In occasione del passaggio al Campaniateatrofestival abbiamo già parlato su queste pagine della Macchia, drammaturgia e regia di Fabio Pisano per la compagnia Liberaimago. All’iconico personaggio creato da Nabokov s’ispirano i Biancofango per About Lolita: due uomini affrontano la sfida del tempo al cospetto di una fanciulla che scatena fantasie erotiche all’insegna della potenza del pensiero. Approdiamo nell’hinterland romano con Salto di specie del Controcanto Collettivo. Il tema del rapporto tra gli animali e l’uomo è certo controverso e spesso al centro delle cronache e qui assistiamo alla presa di coscienza di un trasportatore di bovini destinati al macello. Comprende, forse anche complice l’attrazione per una vicina di casa che gli affida il cane da custodire, di non poter più fare quel lavoro e si licenzia. Nonostante la buona prova del cast, diretto da Clara Sancricca, la pièce soffre di alcuni tempi troppo rallentati, mancando il bersaglio che si proponeva.

Il teatro dei Borgia, compagnia fondata e diretta da Giampiero Borgia ed Elena Cotugno, uniti anche nella vita, si è fatta conoscere con la trilogia La Città dei Miti (Eracle, l’invisibile; Filottete dimenticato e Medea per strada, interpretata dalla pluripremiata Elena) che sarà in tournée dal 13 al 18 settembre a Trieste, dal 20/9 al 2/10 a Zona K di Milano; mentre separati Medea ed Eracle saranno al festival Linguaggi Creativi di Sarzana il 3 e 4 agosto e il Filottete dal 4 al 9/10 a Vicenza.

Giacomo – ph. Luca Del Pia

A Cortona, invece, hanno presentato la loro nuova produzione Giacomo (a Sarzana il 5/8), dedicato alla figura di Matteotti, nella forma di monologo affidato alla voce di Cotugno. È la ricostruzione di due interventi (31 gennaio 1921 e 30 maggio 1924) in Parlamento del segretario del Partito Socialista Unitario. Come riportato dai verbali d’aula, il primo è una drammatica denuncia delle violenze perpetrate dalle squadracce fasciste sui cittadini non allineati mentre il secondo, nella sua ultima seduta prima di essere assassinato, denuncia i brogli e i soprusi avvenuti nelle elezioni, chiedendone invano l’annullamento e la ripetizione. Sono parole potenti a cui l’attrice dona un cangiante registro vocale di grande impatto, ora sommessa, ora veemente: su una scena che ricostruisce (ma in posizione sghemba) i banchi dell’aula, usa magistralmente anche il corpo, ora ritta, ora supina, suscitando nello spettatore indignazione, strazio e pietà.

Abbiamo chiesto a Giampiero Borgia le motivazioni che li hanno fatti tornare su questa figura dopo la messa in scena del precedente Studio teatrale sul fascismo. “È il momento in cui il teatro deve riconquistare un posto centrale nella comunità occupandosi dei suoi bisogni. Negli ultimi anni si è ripiegato su se stesso finendo in una sorta di ghetto da cui dobbiamo uscire. Nello Studio sul fascismo avevamo preso in esame gli anni tra il 1915 e il ‘25 con la conflittualità tra Mussolini e Matteotti mostrata attraverso una polifonia di personaggi e su una drammaturgia composta da documenti. Erano anni di democrazia infantile, avevamo un re ma a regnare era l’incertezza. Fino al 1924 all’interno del fascismo sopravvivevano idee di sinistra, peraltro rimaste sino alla Repubblica di Salò. Matteotti fa parte di quella schiera di personaggi profetici come Mazzini o più recenti come Alexander Langer dei Verdi. Lui, vero eroe, previde cosa sarebbe diventato il fascismo. Nel primo discorso alla Camera del ’21 i fascisti non erano ancora rappresentati in Parlamento anche se si facevano forti di una milizia armata che usava la violenza come arma politica. Si poteva fermarli ma con Giolitti al governo non fu fatto e si preferì accarezzare la bestia. Nel secondo discorso del ‘24 i fascisti erano diventati il 66% e Matteotti è un martire che sapeva di essere ucciso.”

I tre protagonisti della Città dei Miti sono Medea, Eracle (entrambi ispirati alle tragedie di Euripide) e Filottete (da Sofocle) che per i Borgia rispettivamente diventano un’esule che per amore di un uomo da cui ha avuto due figli e per la speranza di un futuro migliore finisce in Italia a prostituirsi; la disperazione la condurrà poi verso un tragico destino. Il secondo, simbolo di forza e coraggio, si trasforma in un genitore separato alle prese con problemi economici e traversie psicologiche e sociali che cade preda della depressione e infine Filottete, abbandonato da Ulisse sull’isola di Lemno, oggi è un malato, colpito da una sindrome neurovegetativa, che la famiglia relega in una residenza per anziani, lasciandolo in preda a sofferenza e solitudine.

Chiediamo a Giampiero se, occupandosi nella Trilogia di “diversi” ed emarginati, abbia mai pensato di affrontare in una loro pièce il tema dell’omosessualità. “La Trilogia è un’operazione di arte teatrale che sconfina in un territorio di comunità e desideriamo farla proseguire. Occuparci di omosessualità e transessualità è un progetto che da tempo coltiviamo, però per come funziona il teatro italiano non sempre i progetti diventano cose. Sono due i lavori che abbiamo in cantiere per il 2024, uno ispirato all’Antigone e il diritto al lutto, prendendo spunto dai funerali mancati nei primi mesi del Covid, e l’altro ispirato alle Baccanti, approfondendo il rapporto tra il dio e l’eros, in questo caso Apollo che vuole reprimere il dionisiaco insito nella natura umana. Intendiamo non soffermarci solo sull’omosessualità bensì ampliare il discorso a una panoramica su tutte le libertà sessuali a cui la nostra società, a guisa di Apollo, rifiuta di dare spazio.”

Addio fantasmi – ph. Luca Del Pia

Uno degli spettacoli più attesi a Cortona era Addio Fantasmi (il 9 agosto a La Spezia e il 18/9 al teatro India di Roma, poi in tournée la prossima stagione), tratto dall’omonimo romanzo di Nadia Terranova, di cui Chiara Lagani ha curato la drammaturgia e Luigi De Angelis (insieme fondatori nel 1992 di Fanny & Alexander, glorioso ensemble del Nuovo Teatro) ha firmato scene e regia. A interpretarlo hanno chiamato Anna Bonaiuto e Valentina Cervi.

Sollecitata dalla madre, Ida (Cervi) da Roma torna a Messina nella casa dei genitori che necessita di urgenti lavori di ristrutturazione. Il rispettivo padre e marito li ha abbandonate da molti anni senza più dare traccia di sé e questa fuga ha minato negli anni il loro rapporto. Ida rinfaccia alla mamma di averlo trascurato per dedicarsi al lavoro mentre quest’ultima l’accusa d’ingratitudine per non riconoscere i sacrifici fatti per averla cresciuta da sola. Inevitabile che nei pochi giorni di convivenza i conflitti, latenti e tenuti invano sotto controllo, esplodano. A un piano di realtà se ne accompagna uno onirico, fatto di incubi (soprattutto quelli di Ida che sente la voce del padre e sogna di venir strangolata dalla madre) e appunto di fantasmi, come quello di un giovane operaio morto suicida che, fuori scena, corteggia e invita Ida (il cui matrimonio sta naufragando) a uscire con lui. La casa (leggiamo la sua riparazione come simbolo della riparazione dei guasti dell’anima) pullula di suoni e i bianchi tendaggi che svolazzano fanno pensare a presenze misteriose. Il finale, con la partenza della figlia e un’apparente conciliazione, è giustamente aperto.

Al teatro Signorelli Anna Bonaiuto, con il carisma di una grande attrice, ha dato alla madre una molteplicità di registri: disarmante e furibonda, suadente e imperiosa. Il monologo in cui riferisce l’immaginario dialogo di Ida con i vicini di casa è una lezione di recitazione. Valentina Cervi supera le insidie di un personaggio più difficile da trasportare dalla pagina alla scena con ardore e generosità.

Abbiamo domandato ad Anna com’è nata questa collaborazione con Fanny & Alexander e una riflessione sul suo ambivalente personaggio. “Ho sempre trovato il loro lavoro interessante e creativo e poi sono persone deliziose, brave e appassionate. Mi hanno chiesto di fare questa esperienza e gli ho ricordato che sono un’attrice che ama le parole, che ama recitare. Anche loro sono attori, mi hanno capita e non c’è stato alcun problema. Il teatro può essere tutto buono o tutto cattivo, dipende dall’intensità che ci mettiamo dentro, sia da parte di chi lo scrive, di chi lo dirige e di chi lo recita. Il personaggio della madre è quello di una donna contraddittoria, ferita, addolorata: i conflitti tra madre e figlia sono degli archetipi. Le cose si capiscono meglio crescendo, i figli comprendono meglio le madri e per queste è lo stesso. È difficile essere sia madri che figlie. In questo caso si tratta di una donna abbandonata dal marito in maniera inspiegabile e tutte e due hanno vissuto una vita di dolore in cui le tensioni si sono acuite. È forte perché lavora e ama il suo lavoro e questo l’ha salvata e ha fatto la differenza. È sopravvissuta al dolore perché se fosse stata solo madre o moglie nel momento in cui il marito non c’è stato più e la figlia ha cambiato città, avrebbe potuto sentire di non esistere. È difficile dire se questa donna è più vittima o più carnefice, in quanto le persone non si conoscono mai a fondo e i loro comportamenti sono a volte determinati dalla ragione e dal pensiero oltre che dai sentimenti, belli o brutti che siano. Penso che siamo sempre un po’ divisi in due e nessun personaggio ben scritto ha un solo colore come nessun essere umano lo ha. C’è chi è più o meno consapevole di sé e allora possono uscire sia le cose cattive che quelle buone. L’insofferenza tra le due donne è reciproca ma sotto le tensioni c’è amore e comunque è un fatto che il trauma le abbia unite.”

Un altro suo recente personaggio di madre è stato quello in Giusto la fine del mondo di Jean-Luc Lagarce: c’è qualche affinità tra loro? “Sono diverse: quella era una madre più infantile. Dopo la morte del marito ha vissuto solo della bellezza dei ricordi della famiglia, quasi svagata, non è una dura anche se nella vita ha faticato. I figli li conosce bene e vorrebbe che se andassero di casa come ha fatto Louis, il più amato, che è sparito per 12 anni: è l’unica della famiglia che ha capito che non lo rivedrà più. Sapendo di essere destinato a morire a causa dell’AIDS Louis, infatti, è tornato solo per congedarsi da loro senza farli partecipi del suo dramma ma lei, rimuovendo le sofferenze, preferisce non parlarne né con lui né con gli altri.”

Oltre alla ripresa di Addio fantasmi, diversi sono gli impegni che l’attendono. “In autunno per Sky ho girato la serie Il re con Luca Zingaretti: era la mia prima serie ed è andata così bene che ci sarà un seguito, poi farò un’opera prima di Francesco Frangipane (che era il regista di Lagarce) dove ci sarà anche Vanessa Scalera e nel 2023 al Piccolo di Milano il nuovo lavoro del drammaturgo e regista Pascal Rambert che ha scritto un testo per cinque attori (tra cui Sandro Lombardi, Marco Foschi e Anna Della Rosa) scelti da lui solo in base alla stima e simpatia nei nostri confronti.”