Il festival FOG alla Triennale di Milano, fra le molte prestigiose presenze di artisti internazionali che spaziano tra danza, musica e teatro, ha ospitato Our Son, una pièce del drammaturgo, regista e attore gay Patrick Lazić che ci raccolta un difficile coming out in famiglia.

 

È una rassegna di teatro, danza e musica davvero unica per la provenienza internazionale di artisti che assai raramente abbiamo occasione di vedere e sentire in Italia: parliamo del Festival FOG, organizzato da Triennale Milano Performing Art, giunto all’ottava edizione e diretto da Umberto Angelini. Nel corso di due mesi e mezzo (l’evento termina a metà aprile) negli spazi diffusi della Triennale e in altre sedi si sono succeduti 46 tra performer e compagnie provenienti da 22 Paesi tra Europa, Africa, Stati Uniti, Sudamerica, Medioriente e Asia; 38 gli appuntamenti in programma tra cui 7 produzioni e coproduzioni; 7 prime assolute e 12 prime nazionali.

La danza contemporanea ha come sempre avuto grande rilievo: dalla coreografa belga Cindy Van Acker che ha mostrato Quiet Life per il quale si è ispirata alla poetica dello scrittore Paul Auster, allo spagnolo Marcus Morau che con gli statuari danzatori della sua compagnia La Veronal ha presentato Totentanz, richiamandosi alla pittura di Goya e Velasquez, poi Anne Teresa De Keersmaeker, Marlene Monteiro Freitas, Raffaella Giordano, Claudia Castellucci, il giapponese Saburo Teshigawara con Rihoko Sato, la sudafricana Mamela Nyamza e il 15 aprile sarà Ariella Vidach con la compagnia AIEP di cui è direttrice artistica a concludere il ricco programma con Improvvisazioni itineranti in Parco Sempione.

Una performance, ma soprattutto una protesta contro la repressione del regime iraniano è stata quella del regista Ali Asghar Dashti e della drammaturga Nasim Ahmadpour. Seduti dietro un tavolo hanno potuto solo illustrare a parole i passi della loro coreografia Come to Dance: il governo ha infatti intimato a coreografi e ballerini di astenersi da qualsiasi attività relativa al movimento e alla danza contemporanea. Tra le presenze nel cartellone della musica ricordiamo Theo Teardo con il suo Concerto al buio, l’iraniana (però residente in Olanda) Nastaran Razawi Khorasani che sì è esibita in Songs for No One con le canzoni che danno voce a un bambino e una bambina costretti a vivere sotto la dittatura islamica. A chiudere il Festival il 15 aprile sarà Night Reign, il concerto della cantante, compositrice e produttrice pakistana Arooj Aftab, vincitrice del Grammy Award 2022 per la categoria Best Global Music: la sua musica fluttua tra minimalismo classico e new age, poesia devozionale sufi e trance elettronica con strutture jazz.

Pur in minoranza nella selezione, la prosa è stata benissimo rappresentata: il regista svizzero Milo Rau ha portato a Milano il suo Medea’s Children di cui abbiamo diffusamente parlato su queste pagine in occasione del debutto alla Biennale Teatro la scorsa estate. Vogliamo, invece, soffermarci su uno spettacolo che abbiamo molto apprezzato e sul suo autore, regista e interprete, tra i più interessanti della nuova generazione. Si tratta del serbo-croato Patrik Lazić e di Our Son, in cui ci racconta del controverso rapporto di un figlio gay con i genitori che non accettano la sua omosessualità, vivendo in un precario equilibrio tra amore incondizionato e un’identità diversa da quella che loro avrebbero desiderato.

Nastaran Razawi Khorasani – ph. Julian Malwald

“Considero il progetto di Our Son – afferma Patrik – come un tentativo di comprendere la mia sessualità, giocando con elementi autobiografici e propri della mia famiglia, sul confine tra verità e finzione, applicando teorie psicologiche e parapsicologiche. Volevo offrire agli spettatori un’esperienza teatrale intima in uno spazio non convenzionale, dove assistono a un incontro tra madre, padre e figlio in cui vengono messi in discussione conti da saldare e ferite guarite e non, bisogni soddisfatti o meno e molte paure. Dopo oltre 60 repliche, la partecipazione a una decina di festival europei e le reazioni toccanti del pubblico, credo di poter dire che molte famiglie si sono riconosciute nel silenzio della mia. Ho scritto di cose che ai miei genitori non potevo e non sapevo dire a voce. A Belgrado molti giovani dopo aver visto la pièce sentono il bisogno di portare con loro l’intera famiglia: il testo diventa per loro uno spunto per affrontare il tema della non accettazione. Molti ragazzi hanno fatto coming out con genitori e amici grazie al nostro spettacolo o hanno iniziato a parlare della violenza vissuta in famiglia.”

La piccola Sala Artisti della Triennale si trasforma in una modesta cucina dove si sta preparando una cena golosa e due genitori attendono l’arrivo del figlio (non conosciamo i loro nomi) che vive e lavora a mille chilometri di distanza. Il pubblico è seduto a pochi passi degli attori che quando non sono in scena, a turno prendono posto tra gli spettatori. Avvertiamo subito che l’atmosfera non è serena, bensì carica di tensione e presto il dialogo tra madre e padre diventa un aspro confronto.

Patrik Lazić, Dragana Varagić e Aleksandar Djindjic

La donna è piena di rancore nei confronti dell’ex marito (che si è risposato e ha formato una nuova famiglia) e gli rimprovera di essere stato un padre assente, primo responsabile dell’omosessualità del figlio che lei ancora non vuole accettare. A suo dire lui non l’ha mai coinvolto in “cose da uomini” come lo sport o la pesca, accusandolo di pensare solo a voler sembrare più giovane di quello che è. Ovviamente l’uomo respinge le accuse al mittente e le rimprovera l’eccessiva tenerezza e accondiscendenza verso il bambino prima e poi il ragazzo che comunque al calcio preferiva il coro.

Scopriamo che sul “problema” è calato un silenzio di ben 10 anni, in cui si è cercato di cancellarlo, ora però grazie a un libro di un americano sui poteri taumaturgici delle terapie riparative, la madre ha trovato le risposte che cercava. Non solo ha riscontrato nel figlio quelle “tipiche” caratteristiche dell’omosessualità maschile citate dall’autore (sensibilità, effemminatezza, il camminare ancheggiando e il depilarsi) ma anche le cause, come gli abusi mentali (chiaramente quelli del padre) o fisici (quelli di un innocente vicino di casa). Per lei il ragazzo è solo “confuso” e bisognoso d’aiuto e il padre deve fare ora la sua parte, passando tempo con lui per farlo diventare più maschio.

Saburu Teshigawara e Rihoko Sato – ph. Akihito Abe

Ecco che finalmente il giovanotto si palesa, stanco dopo un lungo viaggio in auto, carico di regali per loro e per i nipotini, figli della sorella maggiore. Senza frapporre indugi la madre, giocando sul ricatto affettivo di essere forse malata di tumore, gli chiede una prova di un mese (la durata del suo soggiorno in famiglia) in cui seguire un decalogo per “guarire”, come accaduto ad altri casi citati nel volume: fra i risibili precetti quello di masturbarsi davanti a nudi femminili e non più quei video con al centro daddy sottomessi da partner più giovani che lei aveva scoperto nella sua stanza.

Deve star lontano anche dal “coinquilino” Nikolai (in realtà il suo compagno da 5 anni con cui condivide il progetto di paternità) che il figlio voleva presentare loro, ora sistemato in un albergo. Il ragazzo, che dimostra di conoscere benissimo il testo americano, passa al contrattacco: chi gli suggeriva gli abiti più eccentrici, che gli prestava orecchini e fondo tinta prima di andare in discoteca, chi familiarizzava con i suoi amici e detestava le amiche? Naturalmente sua madre, la stessa che gli ha fatto passare un’infanzia terribile, vittima di un marito violento e a quel tempo alcolista, fuggita più volte da casa col bambino in piena notte per evitare le percosse, ma che poi, anziché separarsi, tornava sui suoi passi. Prevedibile anche il rifiuto del mese per uscire dalla “confusione” e respinto anche il tardivo interesse del padre. Il giovane (che in realtà è venuto senza Nikolai per evitargli un doloroso ostracismo) al termine di una cena da tutti consumata controvoglia, decide di ripartire, forse per sempre.

Mamela Nyamza – ph. M. Wessels

Il punto di forza della pièce (al di là del tema certo non nuovo) è un testo di grande efficacia (non a caso lodato anche dal The Guardian) pur nella sua semplicità: dialoghi serrati sempre pregnanti e privi di autocensure, senza dimenticare la straordinaria bravura e naturalezza degli interpreti. Lo stesso Patrik Lazić, austero, inflessibile nella sua posizione seppur addolorato per la mancanza d’amore e d’empatia, Dragana Varagić che della madre dà un ritratto struggente nella sua presuntuosa ostinazione e arroganza che però nasconde profonda infelicità; Aleksandar Djindjic, padre velleitario, incapace di rappresentare una figura genitoriale, prodigo di parole e non di fatti. Una messa scena spartana che rivela un piccolo gioiello di cui essere grati a FOG per avercelo fatto conoscere, unici in Italia, e vista la risposta entusiasta del pubblico che lo ha seguito per mezzo della traduzione su monitor, con la speranza di saperlo anche altrove.

Patrick non si limita a essere uomo di teatro ed è molto impegnato anche nel sociale. In questo periodo è accanto agli studenti che a Belgrado e nell’intera Serbia da quattro mesi manifestano contro il governo, in un clima che ricorda molto quello del 1968. “È una protesta – precisa Patrik – contro il degrado e la corruzione che ha causato la morte di 16 persone per il crollo di una pensilina alla stazione ferroviaria di Novi Sad appena restaurata. Gli studenti hanno bloccato tutte le università pubbliche e molte scuole elementari e superiori si sono unite alla protesta. Non si tengono lezioni e gli atenei sono presidiati giorno e notte. È stato per me motivo di orgoglio il fatto che Our Son sia stato più volte invitato a essere rappresentato all’interno delle facoltà occupate, il contesto più naturale per uno spettacolo incentrato sulle libertà delle nuove generazioni di sanare i traumi, le ingiustizie e le violenze delle generazioni precedenti. Ho provato le stesse emozioni di quando ho contribuito a raccogliere le 27 mila firme nel tentativo di salvare l’Europride di Belgrado nel settembre 2022, vietato dal Ministro dell’Interno, fagocitato dall’estrema destra.”