Anche quest’anno il Campania Teatro Festival ha proposto in cartellone alcuni spettacoli a tematica LGBT di grande rilievo. Dalle cupe atmosfere di Enzo Moscato all’evento per sole donne di Silvia Gallerano passando per l’inedita coppia formata da Dalida e Roberta Lidia De Stefano e due originali ritratti di Pier Paolo Pasolini, il palcoscenico arcobaleno italiano di qualità è più interessante che mai.
Si è da poco conclusa la XVIII edizione del Campania Teatro Festival, organizzato dalla Fondazione Campania dei Festival e diretto da Ruggero Cappuccio che ha dato alla rassegna l’appropriato claim “Battiti per la Pace”, assemblando un programma comprendente 150 eventi spalmato in un mese nelle tradizionali nove sezioni, a cui hanno assistito ben 40.000 spettatori nelle sale e anche nei suggestivi spazi della città, vedi il cortile di Palazzo Reale oltre che a Ercolano, Salerno e Benevento.
Non sono mancati come sempre spettacoli a tematica arcobaleno, e ricordiamo che su queste pagine lo scorso anno avevamo parlato di Laguna cafè, di cui è autore Giuseppe Affinito e Benedetto Sicca è regista. Finalmente lo potremo vedere anche a Milano nel corso della prossima stagione al teatro Fontana il 9 e 10 maggio.

Ad aprire la Sezione Italiana di questa edizione è stato lo stesso Affinito che ha firmato la regia e interpretato Pièce noire (Canaria) di Enzo Moscato, scomparso lo scorso anno e fra i più valenti drammaturghi della Scuola Napoletana, insieme ad Annibale Ruccello e Mario Santanelli.
Il testo, scritto nel 1983, vinse nell’85 il Premio Riccione ed è contenuto nel volume L’angelico Bestiario, pubblicato da Ubulibri. Il debutto avvenne nel 2009 proprio al Festival (allora Napoli Teatro Festival) con un cast che comprendeva lo stesso autore. Con il suo immaginifico linguaggio intriso di barocchismi, evocativo di miti e rituali ancestrali, ma non privo di echi di altri drammaturghi come Artaud, Genet e Pasolini, autore di capolavori come Rasoi, Scannasurice, Orfani veleni, qui Moscato ci conduce nei Quartieri Spagnoli dove conosciamo La Signora, una ex prostituta che, diventata molto ricca, possiede numerosi locali notturni di gran lusso e persegue l’inquietante obiettivo di cercare e poi far crescere alcuni ermafroditi (forse reclutati nel mercato clandestino dei bambini) da offrire all’ammirazione dei clienti.
Lo scopo è quello di farne delle creature perfette da manipolare e dalle quali esigere gratitudine e castità totali. Con lei interagiscono in loschi traffici prostitute e travestiti come Shangai Lil e Hong Kong Suzy. Nella sua rivisitazione Affinito elimina questi due personaggi insieme ad altri dodici, focalizzandosi, oltre che sulla protagonista, su Desiderio, bellissimo orfanello, oggetto del sogno malato della Signora, cresciuto come un essere asessuato, colto, elegante e bravissimo nelle esibizioni nei locali, e Giggino, il suo impresario e sodale nel procurarle giovinetti che fungono da cavie. La perfezione tanto agognata però è destinata a infrangersi contro la realtà. A interpretare La Signora è la sempre eccellente Cristina Donadio (diventata celebre anche in TV come la Scianel della serie TV Gomorra) e con lei ci sono Nando Paone (Giggino) e il piccolo Leonardo Grimaccia.

Pièce noire (edizione 2009)
Rivolto esclusivamente a un pubblico di donne e per chi si sente tale, Svelarsi è un interessante evento teatrale diretto e interpretato da Silvia Gallerano, che ricordiamo da dieci anni in scena in Italia e all’estero con La merda di Cristian Ceresoli. Gli uomini non sono ammessi, non per un desiderio di esclusione generico bensì per escludere quel tipo di sguardo predatore, giudicante e sminuente rivolto in particolare al loro corpo, che spesso fa sì che siano le stesse donne a non accettarsi. L’intento è quello di creare uno spazio in cui liberarsi di ruoli, posture e bugie per scardinare alcuni obsoleti punti di vista che una società tuttora eteropatriarcale insegna alle donne sin da piccole a limitare i loro desideri e accettare l’invasione del corpo maschile, a mettersi in disparte sino a finire con l’esplodere, non sopportando più costrizioni e discriminazioni.
Si tratta di un lavoro collettivo a opera delle attrici (oltre alla regista Giulia Aleandri, Elvira Berarducci, Smeralda Capizzi, Benedetta Cassio, Livia De Luca, Chantal Gori e Giulia Pietrozzini) che vi hanno contribuito con la scrittura e i loro corpi mostrati senza veli in scena. L’intento è quello di favorire un momento di riflessione non serioso e un percorso di ricerca su temi quali il femminismo, la rivalsa, il senso di colpa e l’autodeterminazione, a partire da vissuti diversi che hanno una nota comune di umiliazione, mutilazione e invisibilità, rivelatrice di meschini soprusi. Vengono esibiti, infatti, i ritratti di donne oggettificate, ritenute dall’uomo incapaci di stare al suo ritmo, quindi perennemente in competizione, sempre in ritardo, perse in chiacchiere e invase da richieste. Direzione artistica di Michela Cescon, contributo di Serena Dibiase e voce di Greta Marzano, Svelarsi sarà replicato al teatro Duse di Bologna il 10 ottobre e all’Ambra Jovinelli di Roma il 2 e 3 dicembre.

Svelarsi
Abbiamo sempre seguito il percorso artistico di Roberta Lidia De Stefano dai suoi esordi nella compagnia delle Brugole insieme ad Annagaia Marchioro, sino al recente, drammatico monologo Kassandra di Sergio Blanco. A Napoli ha presentato Hotel Dalida, un testo di Irene Petra Zani di cui cura anche la regia oltre a scene e costumi. Sola in scena, la vediamo nei panni di una reporter di guerra (ispirata alla figura di Marie Colvin) che si sveglia prigioniera nella stanza di un albergo distrutto da un’esplosione. È reduce dal Cairo dove ha assistito alle proteste di studenti e manifestanti in piazza Tahir, e questo è l’unico ricordo che ha della sua vita recente, né i sequestratori le danno altri elementi.
Dall’esterno si sentono le canzoni di Dalida, tragiche e disturbanti, che interrompono il flusso dei suoi pensieri. Avvertita dapprima come una nemica, la donna si renderà presto conto di avere molto in comune con questa cantante amatissima nel mondo francofono e icona gay d’Oltralpe (a Parigi c’è una piazza a suo nome con un suo busto, N.d.R.), tanto che cerca di decifrare quanto le sta accadendo sia attraverso le parole delle sue canzoni sia intrattenendo un dialogo surreale con una sua immagine dialogante creata con l’intelligenza artificiale, che sembra più vera del vero. Entrambe sono fuggite dai rispettivi Paesi per inseguire una vocazione totalizzante, così come sono alla ricerca di una verità assoluta da trasmettere a chi segue il loro percorso. La visionarietà dell’artista e il bisogno di trasmettere la realtà della reporter alla fine si fondono in un unico personaggio.

Danilo Napoli
È un thriller psicologico, ma anche una storia di omofobia e transfobia, di fanatismo religioso e di chiusura mentale Rumore bianco di e con Danilo Napoli, presentato nella Sezione Osservatorio dedicata a giovani artisti e compagnie anche del territorio campano. Protagonista è un serial killer di donne transgender che in un atto estremo rapisce la madre per costringerla ad ascoltare la storia di Rossella, la sua prima vittima, una transessuale che lui amava appassionatamente. L’uomo imputa questa furia omicida alla violenta repressione che ha subito da quando era un ragazzo da parte dei genitori che, resisi conto delle sue pulsioni omosessuali e terrorizzati del giudizio della gente, anteporranno il salvare le apparenze al suo benessere psicologico. Il profilo della vittima finisce così per sovrapporsi a quello del carnefice.
Il messaggio che la pièce vuole veicolare è che condizionamenti esterni o dogmi religiosi non dovrebbero inibire la felicità dell’individuo, perché alla fine delle nostre storie, delle battaglie e della vita non resta che un rumore bianco, un fruscio nel vuoto cosmico, come quello che usciva dai vecchi televisori quando mancava il segnale. Regia di Yuri Gugliucci con i contributi in voce di Gennaro Ciotola e Michele Vargiu.
Due sono stati i lavori che hanno visto al centro Pier Paolo Pasolini. Generazione Pasolini è scritto e diretto da Marta Bulgherini, anche in scena con Nicolas Zappa. Articolato in due parti, è una stand up comedy e un serrato dialogo a due, che affronta con leggerezza temi assai complessi e domande senza risposte. Il fatto che l’autrice lo chiami Paolino (lo stesso modo in cui lo appellava Fellini) indica già l’approccio irriverente e riservato al personaggio. All’inizio si mostra un po’ disorientata dalla precocità del suo talento (a sette anni compose la prima poesia e a sedici il primo testo teatrale) e dall’eclettismo dello scrittore che si è cimentato in più settori della creazione artistica, tuttavia in seguito non ha remore nel criticare la sua poesia, definendola noiosa, e alcuni suoi libri (vedi Petrolio) considerati difficili da afferrare appieno. Bulgherini cita però Walter Siti che attribuisce la difficoltà nel comprendere il pensiero pasoliniano alla mancanza di complessità della nostra società.

Marta Bulgherini e Nicolas Zappa
Terminato il monologo a ruota libera, arriva il momento del confronto, quando il poeta è evocato in forma di fantasma e nel dialogo l’ironia corrosiva lascia il posto alla mediazione. Viene preso seriamente in considerazione, infatti, anche il suo pensiero sulla critica alla società dei consumi e sul concetto di omologazione. In definitiva è un flusso di coscienza scanzonato, un viaggio dentro il personaggio fatto di frustrazione e rabbia, nonché di rispetto, gratitudine e amore.
L’altro spettacolo, ospitato nella Sezione Sportopera è Il gioco sacro, liberamente tratto da Reportage sul Dio di Pasolini, testo di Albert Ostermaier, interpretato da Riccardo Festa che ne cura anche la regia. Che lo scrittore amasse il calcio è cosa nota: lo giocava con passione e agonismo in squadre di ragazzetti di borgata o in sfide tra colleghi e amici. Ne scriveva anche con competenza, immaginava storie e scenari, cercando intorno al fatto sportivo una chiave di lettura del mondo. Tifoso del Bologna, discuteva di moduli e formazioni ed era affascinato dalla dimensione collettiva e tribale, una sorta di religione moderna fatta di tribù, domeniche tra stadi e radiocronache. Impossibile per lui restarne solo spettatore, a dispetto di chi riteneva blasfemo che un intellettuale impegnato a 360 gradi in campo artistico e civile potesse abbassarsi a un piacere tanto triviale.
