A raccontare la rivolta di Stonewall, che ha segnato la nascita del movimento gay e lesbico e le successive lotte per i diritti civili, ci aveva pensato solo il cinema: adesso è il teatro a farci ricordare questa tappa miliare della nostra storia.

 

È un grande piacere e motivo di speranza vedere che ogni anno il numero di giovani e giovanissimi partecipanti alle sfilate del gay pride aumenta: ma saranno tutti a conoscenza del perché la data del 28 giugno è entrata nella storia?

A molti gli anni sessanta sembrano appartenere a un’altra era geologica ma è proprio da quel periodo che tutto è iniziato. A New York le retate della polizia nei pochi bar per omosessuali erano la norma: seduttivi agenti in borghese adescavano i presenti e poi li arrestavano (spesso i nomi finivano pubblicati sui giornali) con l’accusa di “comportamento indecente”, inoltre nei locali che servivano da bere a tre o più omosessuali veniva revocata la licenza per la somministrazione di liquori, imputando loro anche legami con la mafia e la presenza di equivoci go-go boys.

 

Le cose migliorano un poco nel 1965, quando Dick Letisch fonda la Mattachine Society, ispirata alle azioni per il riconoscimento dei diritti civili delle minoranze, prima di tutte quella di colore. Letisch ottiene che a ogni fermo operato da un agente in borghese sia presente un testimone e che dopo un simbolico “sip in” (l’atto di sorseggiare una bevanda, sul modello dei sit in) la misura venga revocata, così come il divieto di baciarsi tra uomini.  

Nel ’69 però la situazione precipita: giocandosi tutte le carte per farsi eleggere a sindaco, John Lindsay chiede alle forze dell’ordine un energico “repulisti” della città. Il risultato è che nella notte tra il 27 e il 28 giugno gli agenti fanno irruzione allo Stonewall Inn in Christopher Street ma questa volta gli avventori non sono più disposti a subire umiliazioni e violenze: non si sa chi sia stata/o a innescare la miccia ma inizia un uprising ovvero una sommossa spontanea.

Gli scontri proseguono tutta la notte con l’arresto di 13 persone, molti percossi selvaggiamente e 4 agenti feriti, e continuano anche nei giorni seguenti con l’intervento delle squadre anti sommossa, le stesse usate per reprimere le manifestazioni contro la guerra in Vietnam: a fronteggiarsi sono 2.000 dimostranti (comprese alcune drag queen che pacificamente intonano canzoni) e oltre 400 poliziotti.                      

Terminata la fase cruenta, a fine luglio i militanti, in rotta con il movimento omofilo, fondano il Gay Liberation Front, ritenendo che per far sì che la società si apra all’integrazione e ai diritti civili occorra una svolta rivoluzionaria: alla fine dell’anno il Fronte è presente in tutte le università americane e viene adottato il termine “gay” con una nuova accezione. Il 28 giugno 1970 ha luogo la prima marcia che si snoda dal Greenwich Village a Central Park con la partecipazione di circa 10.000 persone.      

Il cinema non poteva ignorare questo pezzo di storia e due film (entrambi intitolati Stonewall) lo hanno celebrato: il primo nel 1995 con la regia di Nigel Finch e il secondo diretto da Ronald Emmerich nel 2015. Se Finch sposa una tesi più suggestiva, cioè che siano stati i funerali di Judy Garland celebrati il giorno prima (si stima che su 22.000 presenti 12.000 fossero gay) a fornire la motivazione alla ribellione, Emmerich è più fedele alla cronaca.                                                                  

A dare un ulteriore contributo alla conoscenza di questo basilare capitolo provvede ora Triennale Teatro di Milano che inaugura la rassegna teatrale Fog Vol.2 con Come Out! Stonewall Revolution, uno spettacolo di cui Margherita Mauro firma testo e drammaturgia, Michele Rho cura la regia e Marcos Vinicius Piacentini con Maria Roveran (che ricordiamo al cinema protagonista di Piccola Patria di Alessandro Rossetto) sono gli interpreti.            

                   

A cinquant’anni dagli eventi l’intento della pièce è quello di raccontare un dentro e un fuori, un prima e un dopo, di fissare un confine dopo il quale nulla è più come prima. “Parlare di Stonewall – affermano i due autori – significa parlare di libertà ed esporre i fatti legati alla rivolta, perché dobbiamo ricordarci che i diritti non sono un’eredità acquisita, ma qualcosa che deve essere confermata ogni giorno.”                                                                                                            

A corollario dello spettacolo, FOG dedica un ciclo di incontri (tutti a ingresso libero) per riflettere su tematiche legate alla democrazia e al valore della narrazione pubblica. Martedì 6 alle 18.30 Carlotta Cossutta discuterà con Marie Moise su “Rotture e continuità nelle modalità di lotta e di vita dei movimenti” e domenica 11 (al termine della replica delle 16) Lapsus – Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo incontra il regista Michele Rho e la drammaturga Margherita Mauro per parlare della ricostruzione storica e documentaria che ha portato alla messa in scena dello spettacolo.