Al tempo della dittatura di Pinochet a Santiago del Cile vive la Fata dell’Angolo, protagonista del romanzo “Ho paura torero” dello scrittore gay Pedro Lemebel. Il regista Claudio Longhi ha messo in scena al Piccolo Teatro di Milano questa struggente storia d’amore tra un travestito e un rivoluzionario comunista.

foto di Masiar Pasquali

 

Con il titolo “Il Corpo delle Parole” dato alla stagione 2023-24 del Piccolo Teatro di Milano dal direttore Claudio Longhi, per la prima regia del suo mandato una scelta più coerente non si poteva operare. Sono le parole che troviamo nell’originalissima, barocca lingua dello scrittore cileno Pedro Lemebel (1952-2015), anche performer (nel 1987 insieme al poeta Francisco Casas fonda il collettivo artistico Yequas del Apocalipsis che realizza eventi pubblici con performance di trasformismo, video e installazioni), cronista, docente (poi allontanato per la sua omosessualità), speaker radiofonico, attivista politico durante la dittatura di Augusto Pinochet, e in prima fila per i diritti LGBT.

Autore in Italia sinora poco noto, ma popolarissimo in tutta l’America Latina, Longhi ha portato in scena il suo unico romanzo Ho paura torero, scritto nel 2001 e da noi pubblicato da Marcos y Marcos, che prende il nome da una canzone del repertorio popolare spagnolo interpretata da Sara Montiel, attrice e icona per gay, travestiti e persone transessuali.

“Oltre al fascino del linguaggio – dice Longhi – credo sia importante fare i conti con la storia e con ciò che è stato. Agli occhi del lettore italiano è un romanzo di nicchia, per i lettori sudamericani è un grande classico del Novecento, la cui diffusione è legata all’incredibile popolarità di Lemebel, una sorta di eroe nazionale in Cile per la strenua resistenza al regime di Pinochet, regime che ha attraversato rimanendo intoccabile (nonostante la ben nota omofobia del dittatore) proprio in ragione dell’autorevolezza che gli era riconosciuta.

Oltre alla poeticità della sua scrittura, fortissima nelle accezioni metaforiche, al contempo oniriche e letterarie, va aggiunto che Ho paura torero è anche un romanzo-canzone: il testo è infatti costantemente caratterizzato da citazioni di canzoni che funzionano da sottotesto di molte parti del romanzo. Più che a una trasposizione sulla scena ho pensato a un’edizione teatrale, affidandola al drammaturgo e regista argentino Alejandro Tantanian e prelevando la pagina romanzesca portandola in palcoscenico senza un filtro di adattamento, bensì giocando sulla vertigine narrativa della memoria, quindi del personaggio principale che parla di sé e si racconta.”

Protagonista della vicenda è La Fata dell’Angolo, nell’originale La Loca del Frente, la Checca del Fronte, un travestito più che quarantenne. La parola “pazza” in spagnolo ha un doppio senso gay mentre “del Fronte” da un lato si riferisce a come la chiamano i vicini del quartiere perché abita nella casa davanti al negozio di alimentari, dall’altro è un rimando al FPMR, il Fronte Patriottico Manuel Rodríguez, un’organizzazione guerrigliera cilena con un’ideologia politica marxista-leninista e un orientamento patriottico e rivoluzionario in cui è attivo Carlos, il giovane di cui è innamorata, e alle cui attività politiche segrete collabora senza esserne del tutto consapevole.

Di lei non conosciamo il vero nome, solo che ha un passato assai sofferto alle spalle: orfano di madre, a scuola i suoi compagni di classe lo deridono e i suoi insegnanti sostengono che venga portato da un medico per rendere rauca la sua voce effeminata e cambiare il modo in cui cammina e si muove. Il padre lo picchia con la cintura per “raddrizzarlo” ma una notte, ubriaco, lo violenta. Fuggito ancora adolescente da casa, aveva trovato rifugio presso alcuni travestiti e il più autorevole tra loro l’aveva messo sotto la sua protezione, insegnandogli l’arte del cucito e del ricamo fino a farlo diventare un sarto esperto, stimato e ricercato dalle signore dell’alta borghesia che gli affidavano la loro preziosa biancheria.

Lo incontriamo nel modesto alloggio nei sobborghi della capitale e la sua vita è alquanto solitaria, lontanissima dalla politica e scandita dalle romantiche, zuccherose canzoni trasmesse dalla radio, sua fedele compagna. Pur continuando a sognare l’amore, l’unica trasgressione sono i fugaci incontri sessuali con aitanti giovanotti che si vendono per denaro. Scrive Lemebel, in uno spagnolo cileno molto ampolloso, Su son maraco al vaivén de la noche, al vergazo oportuno de algún ebrio pareja de su baile, sustento de su destino por algunas horas, por algunas monedas, por compartir ese frío huacho a toda cacha caliente, il suo suono frocio al va e vieni della notte, al colpo di cazzo opportuno di qualche ebbro compagno del suo ballo, sostegno del suo destino per qualche ora, per qualche moneta, per condividere quel freddo bastardo a ogni scopata calda. 

Lino Guanciale – ph. Masiar Pasquali

A interpretare la Fata è Lino Guanciale che è stato anche il motore del progetto.

“Il romanzo l’ha scoperto mia moglie – dichiara l’attore – me l’ha fatto leggere, io me ne sono immediatamente innamorato e l’ho proposto a Claudio che conosco da vent’anni e con cui da tempo eravamo alla ricerca di un’idea per la sua regia al Piccolo. Più ancora che per la grande storia che si respira, mi ha affascinato lo stile, la qualità della scrittura di questo piccolo romanzo fluviale. Davanti all’opzione di metterlo in scena si presentavano due strade fondamentali: la prima è quella di ridurlo e adattarlo come accade nel cinema e in televisione, la seconda di operare invece una riduzione teatrale del romanzo, in questo modo non rinunciando alla terza persona né alla scrittura originaria con tutte le sue implicazioni di spazi descrittivi e di costruzioni di volumi.

È una strada che ha illustri precedenti nel Pasticciaccio di Carlo Emilio Gadda diretto da Luca Ronconi e in Ragazzi di vita di Pasolini con la regia di Massimo Popolizio. In Tantanian abbiamo trovato una sponda geniale ed essenziale per trarre, negoziandola con noi, una prima versione del materiale da portare in scena. Si è lavorato mettendo in luce il nesso tra eros, desiderio e politica.

Del personaggio ho cercato di sottolineare la grazia, il coraggio, la furbesca ingenuità, le stesse che ritrovo nelle immagini dei travestiti scattate dalla fotografa Lisetta Carmi. Per certi versi è un’eroina dei nostri tempi che crea un ponte fortissimo coi giovani che vivono con grande impegno la realtà e ci insegna che non è mai troppo tardi per interessarci a quello che riguarda tutti noi. Non è possibile un risveglio politico che non coincida con un risveglio o una educazione sentimentale-erotica, specialmente oggi che tanto si dibatte sull’educazione relazionale ma ci si dimentica quanto di politico ci sia in questo discorso. Vestire i panni della Fata mi sta insegnando quanto coraggio ci voglia a rivelare a se stessi e agli altri ciò che si è e non si può fare mistero di essere”.

Francesco Centorame e Lino Guanciale – ph. Masiar Pasquali

A somiglianza di quanto accade al travestito Molina in Il bacio della donna ragno di Manuel Puig, quando in carcere si trova a dividere la cella con il prigioniero politico Valentin, la monotona quotidianità della Fata (in abiti femminili solo nell’intimità della casa, vista la repressione all’esterno) viene sconvolta dopo l’incontro con il giovane e seduttivo Carlos, nome di battaglia del sedicente studente universitario bensì in realtà militante del Fronte Patriottico Manuel Rodriguez, che in clandestinità progetta un attentato contro il sanguinario dittatore.

La Fata se ne innamora all’istante e asseconda la sua richiesta di tenere nell’appartamento riunioni con i compagni e stivare enormi casse di libri che in realtà sono colme di armi. La loro relazione platonica (Carlos è fermamente eterosessuale) prosegue tra alti e bassi, slanci di tenerezza e scene di gelosia quando all’orizzonte appare Laura, la fidanzata del ragazzo.

La loro vicenda si intreccia con quella del dittatore e della moglie Donna Lucia, arrivando quasi a sfiorarsi quando i primi organizzano un picnic al Cajòn del Maipo, località sulle alture sopra Santiago, dove i Pinochet hanno una residenza. Qui il generale, scorgendo dall’auto in moto la coppia, convinto si tratti di due omosessuali, li associa subito agli odiati e pericolosi comunisti da eliminare.

Arianna Scommegna e Mario Pirrello – ph. Masiar Pasquali

La frequentazione di Carlos porta la Fata a risvegliare la sua coscienza politica e al posto delle struggenti canzoni d’amore, comincia ad ascoltare i comunicati di Sergio Campos di Radio Cooperativa. Pur non manifestandolo, comprende bene cosa contengano le casse e infine si convince consegnare un misterioso pacco a uno sconosciuto.

Un episodio per lei indimenticabile è la festa di compleanno organizzata per Carlos alla presenza di una torma di bambini poveri del quartiere che divorano la gigantesca torta. Rimasti soli loro due, scorre molto alcol. Felice per il pomeriggio, Carlos cade addormentato (o così sembra) sul divano e lei si prende la libertà di portare a termine un rapporto orale che però poi rimarrà sospeso tra realtà e immaginazione.

Si arriva al settembre 1986 e viene finalmente programmato l’attentato a Pinochet, messo a segno con le armi prima nascoste in casa, che come la storia ci ha consegnato purtroppo fallisce per un soffio, lasciando però liberi i responsabili. La Fata in quel momento si trova in un cinema dove sullo schermo c’è Sean Connery in Goldfinger: lei è più interessata alle doti di una marchetta in sala ma, col pensiero rivolto alla sorte di Carlos, rinuncia a consumare.

È scontata la repressione seguita all’attentato e Santiago ormai è un terreno che scotta per i rivoluzionari. Carlos si dilegua e solo dopo parecchie settimane la Fata in ambasce ha notizie di lui da Laura che le intima di lasciare la città per la loro e la sua salvezza nel caso la polizia arrivasse al gruppo. Lei accetta a patto di rivedere, anche per l’ultima volta, l’innamorato. L’incontro avviene in una località sul mare dove Carlos, in maniera del tutto inaspettata, le offre di fuggire con lui a Cuba, lasciandole però intendere che tra loro ci potrà essere soltanto amicizia. Accetterà la Fata questa per lei sofferta proposta se gli risponde: “Perché Lei, principe, sarà l’eletto che chiude il sipario della mia ultima illusione”?

ph. Masiar Pasquali

Come detto la regia di Longhi privilegia l’uso della terza persona che talvolta soverchia i dialoghi tra i personaggi però ci regala intatto il barocchismo della lingua, arricchendo la vicenda con il forte impatto visuale tramite video tra cui spiccano preziosi reperti d’epoca, poster e coloratissimi murales, felicemente alternando l’azione tra Carlos e la Fata a quella tra Pinochet e la moglie, questi ultimi caratterizzati da forti e gustosi toni caricaturali: lui preda di incubi notturni e ossessionato dagli omosessuali o ritenuti tali, lei più interessata al lusso e all’alta moda di Parigi che alla disgraziata politica del marito.

Non mancano le funzionali canzoni (basti citare la voce di Violeta Para in Gracias a la vida) e lo spaccato sulla gente comune, spaventata e ridotta in miseria, di cui si fanno portavoce madri e congiunti dei tanti uccisi o scomparsi che reclamano giustizia. A questo proposito induce tristezza pensare che, caduto il regime nel 1988 e ripristinata l’anno seguente la democrazia con libere elezioni, lo scorso maggio i cileni chiamati alle urne abbiano dato il 35,48% al Partito Repubblicano di estrema destra guidato da Josè Antonio Kast, padre tedesco nazista e lui stesso dichiarato ammiratore di Pinochet.

Lino Guanciale e Francesco Centorame – ph. Masiar Pasquali

Nel ruolo della Fata Lino Guanciale si prodiga in una performance davvero eccellente. Prima remissivo e rassegnato alla solitudine, poi infiammato d’amore e infine consapevole e battagliero. Francesco Centorame dà al suo Carlos accenti riflessivi e spesso teneri, lontani dallo stereotipo del macho che ci si poteva aspettare. Godibile e esilarante la Donna Lucia sopra le righe di Arianna Scommegna e altrettanto divertente il macchiettistico Pinochet di Mario Pirrello.

Si dividono generosamente in diversi personaggi Daniele Cavoni Felicioni, Michele Dell’Utri, Diana Manca e Giulia Trivero. Il difficile compito della traduzione è stato benissimo eseguito da M. L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi. La scena di Guia Buzzi, più focalizzata sull’interno dimesso della casa a cui fanno da contraltare i sontuosi murales e le affiche. Costumi sobri (tranne quelli sfarzosi di Donna Lucia e gli scialli e cappelli della Fata) propri degli anni Ottanta di Gianluca Sbicca. Visual design di Riccardo Frati e luci di Max Mugnai. Ho paura torero, prodotto dal Piccolo Teatro, dal festeggiato debutto alla sala Grassi è stato esaurito sino all’ultima replica e quindi è quasi certa la ripresa nella prossima stagione.