La tormentata vicenda di un adolescente che intende cambiare genere, narrata nel romanzo di Silvia Ferreri “La madre di Eva”, diventa una pièce teatrale adattata, diretta e interpretata da Stefania Rocca. Al suo fianco sul palco due ragazzi che stanno affrontando lo stesso percorso. Abbiamo incontrato l’attrice in occasione del debutto nazionale.

 

È di poche settimane fa la notizia che Brianna Ghey, sedicenne MtF, è stata uccisa a coltellate in una località della contea del Chesire nel Regno Unito. Responsabili due quindicenni (un ragazzo e una ragazza) che da tempo la bullizzavano. È solo l’ultimo atto di una catena di violenze, soprusi e discriminazioni che, in paesi teoricamente civili, si trova a subire chi ha deciso d’intraprendere il lungo e doloroso percorso della transizione di genere, spesso ostacolato anche da obsoleti cavilli burocratici.

Oltre che nella letteratura, il cammino verso l’agognata identità di elezione è stato descritto anche attraverso il cinema, pensiamo a The Danish Girl di Tom Hooper, Girl di Lukas Dhont, Tomboy di Céline Sciamma e Un uomo felice di Tristan Séguéla ora sugli schermi. In Italia possiamo citare Mery per sempre di Aurelio Grimaldi, Le favolose di Roberta Torre o Mater natura di Massimo Andrei. Più avaro di proposte è stato il teatro, però ricordiamo i recenti lavori della drammaturga e regista Marcela Serli con la sua compagnia Atopos, MDLSX dei Motus con la performer Silvia Calderoni, ancora in tournée dopo anni dal debutto, e Delirio di una trans populista di Andrea Adriatico con Eva Robin’s.

A questa complessa tematica si è avvicinata Stefania Rocca, una delle nostre più sensibili e poliedriche attrici, fattasi conoscere e apprezzare col personaggio di Naima in Nirvana di Salvatores, in virtù anche delle esperienze all’Actor’s Studio, a Londra e in Russia e alla capacità di recitare in più lingue. Per il cinema ha lavorato poi con registi del calibro di Godard, Branagh, Ferrara e Minghella, gli italiani Treves, Comencini e i fratelli Taviani. In televisione l’abbiamo vista in alcune fiction di successo come Tutti pazzi per amore, La grande famiglia, Cops, Tutta colpa di Freud e in autunno sarà nella seconda serie di Vita da Carlo con Carlo Verdone.

La sua carriera non poteva trascurare il teatro, a cominciare dall’incontro con il geniale regista canadese Robert Lepage che l’ha voluta protagonista in Polygraf, per proseguire poi con Ricorda con rabbia di Osborne, diretta da Luciano Melchionna, Scandalo di Schnitzler per la regia di Franco Però e nella scorsa stagione Il silenzio grande di Maurizio De Giovanni, firmato da Alessandro Gassmann. Per il suo ritorno in palcoscenico ha realizzato un ambizioso progetto che la vede in veste di regista e interprete di La madre di Eva, tratto dal romanzo di Silvia Ferreri che Stefania stessa ha adattato per la scena.

La vicenda racconta la lotta intrapresa da Alessandro, nato Eva, che sin da bambino non ha mai accettato l’appartenenza al sesso femminile e ha prestissimo maturato il proposito di diventare un maschio prima del suo diciottesimo compleanno. L’abbiamo definita una lotta, perché Alessandro si ritrova subito a fronteggiare il rifiuto dei genitori, in particolare della madre, all’idea di iniziare il percorso di transizione. Tale è però la sua determinazione che prima riesce a vincere le resistenze del padre e pian piano anche quelle della mamma, legata a modelli sociali e familiari tradizionali, che acconsente a farlo seguire da una psicologa e a un conseguente trattamento ormonale.

Data la minore età del ragazzo, per arrivare al traguardo dell’operazione è necessario l’avallo di un giudice: quando il magistrato, sentiti i genitori e la psicologa, esprime parere negativo, Alessandro, disperato ma non domo, si rassegna ad attendere i 18 anni per poter agire in autonomia senza più necessità di autorizzazioni e nel frattempo si rivolge a una clinica di Belgrado per sottoporre il suo caso. A sorpresa la madre torna su suoi passi e, prima di quella data, decide di accompagnarlo e assisterlo nei durissimi momenti prima e dopo l’intervento chirurgico.

Simon Sisti Ajmone

La pièce inizia proprio con Alessandro già nella sala operatoria e lei che attende trepidante l’esito. Da qui inizia una serie di flash back che ci illustrano le tappe salienti della vicenda, sin da quando la piccola Eva confida alle amichette di essere un maschietto, la presa di coscenza nella pubertà, la determinazione nell’adolescenza di nascondere il seno e usare un supporto per urinare in piedi, il vestirsi e l’atteggiarsi a uomo e la continua ricerca d’informazioni su come mutare la sua condizione.

Lo stesso mezzo è usato per ripercorrere il percorso della madre, oppressa dai pregiudizi della società, l’intransigente rigore di suo padre, l’arrendevolezza del marito e il mancato supporto delle amiche. Il confronto con il figlio assume così i contorni di un tipico conflitto generazionale.

Ricordando e mettendo a frutto la lezione di Lepage, Stefania Rocca firma un’incisiva regia in cui nell’adattamento multimediale contamina teatro e cinema, usando le riprese in video che si legano all’azione in scena per i personaggi minori: da Eva bambina (Maeva Guastoni), il padre (Francesco Colella), Il nonno (Diego Casale), il medico serbo (Vladimir Aleksic), la psicologa (Selene Demaria) e l’avvocato (Emanuele Fortunati), tutti validi e convincenti e che ai ringraziamenti appaiono in forma di ologrammi.

Per Alessandro la regista ha scelto due giovani interpreti che si alternano nella parte: Bryan Ceotto (23 anni, attivo sui temi dell’identità di genere e già ospite in diversi programmi televisivi) e Simon Sisti Ajmone (16 anni, in palcoscenico da quando ne aveva 9) che hanno entrambi intrapreso il percorso della transizione. In scena noi abbiamo visto Bryan: bravo sia quando, combattivo e risoluto, persegue il suo sogno, sia quando lascia trasparire la fragilità e i tormenti dell’adolescente.

Bryan Ceotto

Al ruolo della madre (che nel testo non ha nome) l’attrice presta al meglio diversi registri: dolcezza, comprensione ed empatia alternati a rabbia e disperazione, portandoci per mano in una sorta di viaggio di coscienza e riuscendo a non far pesare la matrice letteraria. La musica di Luca Maria Baldini suonata dal vivo ha notevole rilevanza, le scene funzionali, eleganti, ma essenziali sono di Gabriele Moreschi e gli effetti speciali sono di Marianna Sannino.

Per conoscere meglio la genesi e le ragioni di questa inedita tappa della sua carriera abbiamo voluto sentire Stefania alla vigilia del debutto a Milano.

Come è nata l’idea di questo progetto?

Sul tema della diversità avevo già portato diversi film sull’argomento a OFFF- Otranto Film Fund Festival nella sezione Connecting World che dirigo. Mi ci sono avvicinata per curiosità, essendo attenta ai diritti, al non rimanere incanalati nei binari nei quali la società ti pone. Mi sono innamorata della storia raccontata nel romanzo quando ho capito che io stessa non avevo gli strumenti per approfondire quella problematica, e che sarebbe stato utile portarla a teatro per offrirli sia ai genitori sia ai giovani che magari non sono direttamente coinvolti in un processo di transizione, ma che forse lo vivono attraverso amici. Ho così iniziato a informarmi, a incontrare associazioni di ragazzi, di padri e madri, scoprendo un’emotività e un’umanità incredibili in un viaggio di amore e sensibilità da cui ho appreso molto.

Che scelte ha operato nella trasposizione del libro sulla scena?

L’autrice affronta diverse tematiche e nel mio adattamento per il teatro ho giocato su vari livelli, dal conflitto madre-figlio al senso di maternità e nascita. L’identità di genere è messa in crisi dal nascere in un corpo che non è il tuo e quindi si fa strada il proposito d’intraprendere una battaglia per rinascere come tu ti senti. Questo presuppone il taglio del cordone ombelicale con la madre che però non può accettare di partorire metaforicamente un nuovo figlio o una nuova figlia. È un rapporto ancestrale di odio-amore tra i due personaggi, che però si allarga al rapporto madre-figlio in generale: spesso noi genitori pensiamo d’insegnare e invece ci accorgiamo che i nostri figli ne sanno più di noi.

Io stessa sono madre di due adolescenti maschi con cui non è sempre facile rapportarsi. Siamo gravati da preconcetti che riteniamo giusti e da una serie di errori che da genitori si fanno continuamente anche per paura, per il desiderio che tuo figlio/a sia integrato/a al meglio nel mondo. Come molti genitori la mamma di Eva non ha gli strumenti – emotivi e non culturali quindi non dipendenti dallo status sociale – per gestire la difficile realtà che le è toccata. Come tante persone all’inizio pensa sia un desiderio passeggero, un fatto di moda legato alle nuove generazioni destinato a essere superato nel tempo. Per lei la transizione è un calvario ingiustificato, un insulto al frutto della sua maternità.

Che idea si è fatta circa la sensibilità dell’opinione pubblica su questa problematica? La gente è più avanti dei politici che ci rappresentano?

È positivo che abbiamo voglia di parlarne e confrontarci. Penso alle battaglie combattute in passato, quella per l’aborto, per il divorzio. Anni fa l’omosessualità era considerata una malattia, gravata da pregiudizi assurdi e ancestrali, oggi la percezione è ben diversa. Tra i genitori incontrati ho registrato reazioni discordi. Chi non ne parla ha paura di perdere quelli che sino a ieri erano i nostri paletti e mettersi in discussione. È necessario ribadire che la transizione non è una moda bensì una realtà, e il fatto che lo spettacolo abbia avuto il patrocinio del Comune di Milano è un segnale positivo. C’è anche chi non ha nessuna intenzione di capire di cosa si stia parlando. Sarà lui o lei l’emarginato perché il mondo e la società stanno cambiando e i giovani sono più avanti di noi.

Com’è arrivata alla scelta dei due ragazzi?

All’inizio il primo impulso è stato quello di chiamare un attore o un’attrice androgini, poi man mano che scrivevo sentivo la necessità di essere io stessa inclusiva in questo argomento. Di seguito parlando con le associazioni e i ragazzi, ho scoperto un mondo incredibile che mi ha portato a decidere di volere un attore che stesse facendo lo stesso percorso. Ho fatto diversi provini e quando ho visto Bryan e Simon mi sono piaciuti entrambi e ho deciso di prenderli tutti e due. Il figlio unico non fa per me!

Nell’ambito del mondo dello spettacolo italiano lei è un’attrice fuori dagli schemi che ha studiato e lavorato all’estero, rinnovandosi e cambiando ma sempre con coerenza nelle sue scelte. Perché è una cosa tanto rara?

Non saprei, forse perché ho cominciato presto a viaggiare acquisendo alcune caratteristiche o forse perché lo sono di natura. Ricordo che al Centro Sperimentale la mia insegnante mi rimproverava, perché ogni giorno apparivo diversa e sosteneva che qui da noi invece bisogna essere riconoscibili: se ti specializzi in un determinato carattere e non crei confusione, sei sicura di andare avanti. Ma trasformarsi non è proprio quello che un’attrice dovrebbe fare? Vai invece negli altri paesi e la pensano così: ho lavorato in Russia e là t’insegnano che il gioco è la cosa principale. Forse le esperienze che ho fatto mi hanno portata a creare un mio metodo che è fuori da qualsiasi preconcetto o scuola di appartenenza.

Oltre che a teatro dove la vedremo in questi mesi? Poi un desiderio e un sogno che tiene nel cassetto.

È uscito il film La primavera della mia vita del regista Zavvo Nicolosi in cui sono l’agente un po’ folle di Colapesce e Di Martino e dal 2 marzo è arrivato nelle sale L’uomo che disegnò Dio diretto da Franco Nero, dove con me ci sono Vanessa Redgrave, Faye Dunaway, Kevin Spacey e lo stesso Nero. Per combinazione nella storia ho un’associazione che cerca di includere nella società persone discriminate come emigranti, disabili ed emarginati. Il desiderio è quello che la gente venga a vederci a teatro. Sono temi non facili e io ce la metto tutta però abbiamo bisogno del sostegno del pubblico. Nel cassetto c’è il soggetto per la versione cinematografica della Madre di Eva che ho presentato con una co-produzione internazionale e che ha ricevuto l’approvazione. Spero che il sogno diventi realtà.

 

La madre di Eva, produzione di Stage Entertainment con Enfiteatro e Ora One, dopo la festeggiata prima nazionale al teatro Lirico di Milano, sarà in scena a Roma al Parioli il 27 e 28 marzo e all’Auditorium Parco della Musica l’11 e 12 aprile. Un bell’esempio di teatro civile che consigliamo ai nostri lettori e lettrici.