Durante il regime fascista per la legge gli omosessuali maschi ufficialmente non esistevano, però si poteva essere identificati come “pederasti” o “invertiti” e correre il serissimo rischio di essere mandati al confino a San Domino, una sperduta isola dell’arcipelago delle Tremiti. Un potente testo teatrale ci immerge in uno dei momenti più bui della nostra storia LGBT nazionale.
A pochi giorni di distanza dal Giorno della Memoria 2024, che commemora le vittime della Shoah e che si celebra il 27 gennaio, data in cui nel 1945 le truppe sovietiche liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, al teatro Litta di Milano è andato in scena Ricino scritto da Antonio Mocciola e Pasquale Marrazzo che ne firma anche la regia. Lo spettacolo sarà ripreso a Napoli dal 19 al 21 aprile alla Sala Assoli.
Il testo, che originariamente aveva come titolo L’isola degli invertiti, andò in scena in prima nazionale a maggio 2021 durante la nona edizione del festival “Lecite//Visioni”, rassegna di spettacoli di prosa a tematica LGBT, con la direzione artistica di Mario Cervio Gualersi al teatro Filodrammatici, dove fu accolto con successo e incredibile interesse.
La repressione omofoba del regime fascista, infatti, è un argomento di cui si sapeva molto poco, e che emerse grazie alla premiata graphic novel In Italia sono tutti maschi scritta da Luca de Santis (qui una sua intervista del 2009) e illustrata da Sara Colaone, edita da Kappa Edizioni nel 2008. Tradotta in oltre 10 paesi, un’edizione con contenuti extra è attualmente disponibile da Oblomov Edizioni.
Ricino si svolge a Napoli alla fine degli anni ’30, dove assistiamo a una sorta di triangolo erotico che vede coinvolti tre personaggi interpretati da Diego Sommaripa, Antonio D’Avino e Vincenzo Coppola. Alberto è un padre autoritario che lavora nella polizia come questore, suo figlio Umberto sposato e con due figli, invece, ha da poco scoperto l’amore verso un altro uomo con Vito, di professione sarto e, in caso di necessità, marchetta spudoratamente effeminata che riceve e consuma gli amplessi in una casa di appuntamenti tenuta sotto controllo, a loro insaputa, dalle forze dell’ordine.
Il padre di Umberto conosce bene Vito anche fisicamente, e questo fa supporre che potrebbe essere un omosessuale represso, e quando scopre la frequentazione clandestina tra lui e il figlio tenta di salvare la posizione di potere, l’onore e la reputazione familiari con minacce e violenze su entrambi. Davanti alle prove schiaccianti raccolte li abbandona al loro destino di confinati che prima di partire subiscono umilianti interrogatori a base di ispezioni fisiche rettali per capire se sono “pederasti attivi o passivi”, differenza che comporta se la condanna durerà due o fino a cinque anni.
Il titolo della pièce fa riferimento al famigerato olio di ricino, estratto dai semi dell’omonima pianta e potente lassativo utilizzato dagli squadristi e dalle camicie nere che costringevano gli avversari politici a berne in quantità tale da provocare una forte scarica di diarrea (la “purga del sovversivo”). La vittima si defecava addosso, i pantaloni spesso e volentieri erano legati con una corda affinché non si potessero sfilare e si era costretti a rientrare a casa imbrattati come ulteriore umiliazione. Il messaggio simbolico di questo gesto, legato a quell’epoca storica, era “l’avversario se la fa addosso, quindi non è un vero uomo”.
Tra il 1938 e il 1942 circa 300 omosessuali italiani vennero mandati al confino politico e comune nelle colonie di Ustica, Favignana, Tremiti e altri luoghi definiti “isole sataniche”. Le condizioni di vita e prigionia erano tragiche, però paradossalmente ritrovarsi in tanti omosessuali insieme permise di essere se stessi, e impensabilmente nacquero anche amicizie e relazioni d’amore troncate dal ritorno a casa dove si ritornò a vivere sottotraccia.
È dolorosamente comprensibile che pochi ex-confinati omosessuali accettarono di parlare di questa esperienza, ed è una fortuna che le loro vite non siano state totalmente cancellate ma recuperate per tempo dall’oblio. Chi fosse interessato a saperne di più, questo articolo di La Falla, il giornale di Arcigay Bologna Il Cassero, pubblica anche un’interessante bibliografia sul tema.
L’importanza di Ricino sta nella capacità di saper parlare attraverso il linguaggio teatrale a chiunque, persona LGBT o no, raccontando al presente (dove la Russia di Putin, l’Ungheria di Orbán e facciamo dovuta attenzione agli infidi e sottili attacchi ai temi arcobaleno del governo Meloni in Italia…), anche che la Storia si può ripetere.
Negli anni in cui si svolge la vicenda siamo ancora ben lontani dai moti di Stonewall a New York del 1969, che segnarono un giro di boa epocale per la costruzione di un’immagine positiva di noi e l’inizio del percorso di un’affermazione politica come categoria sociale avente diritti civili specifici da riconoscere e tutelare. Era persino inimmaginabile che sarebbe potuto accadere qualcosa del genere.
Vigeva la regola per cui ciò di cui non si parla non esiste o si fa finta che non esista, o “si fa e non si dice” e se esiste lo si sopprime a forza. Ciò di cui non parliamo a noi stessi, soprattutto se indotti a farlo da una repressione sociale o culturale, però crea traumi profondissimi. Quindi per noi e per chi fu sacrificato prima di noi, è doveroso con ogni mezzo possibile ricordare, riscrivere e ritrasmettere alle nuove generazioni la verità dei nostri fatti senza abbassare mai più la guardia.